Musicista di caratura sopraffina, sassofonista e compositore di eccellenza, Leandro “Gato” Barbieri muore a 83 anni dopo una carriera straordinaria
El Gato, “il gatto”, come il soprannome che gli avevano dato, perché come un randagio, girava di notte con il suo sax, da un jazz club all’altro, tra le strade di Buenos Aires.
Caratteristico quel suo cappello, che portava di lato, sulla testa, che lo rendeva così unico, e caratteristico.
Sono stati i suoi familiari a comunicare ai media statunitensi che Gato Barbieri non c’era più, che era deceduto a New York, in ospedale.
Laura, la sua seconda moglie che gli aveva dato Christian, suo unico figlio che tra poco compirà 18 anni racconta: “Era il mio migliore amico, sono stata fortunata. Ogni volta che suonava, era sempre una nuova esperienza, e voleva che fosse così anche per il suo pubblico”.
Sono in tanti coloro che piangono in queste ore, uno dei più grandi sassofonisti latinoamericani della storia. Una carriera strepitosa, 50 dischi all’attivo, che lo scorso novembre aveva ricevuto un “Latin Grammy”, proprio per la sua “eccellenza musicale”. E lui quel premio lo avevo commentato dicendo che “era sublime, ricevere un riconoscimento alla sua veneranda età”. Ed aveva lanciato un messaggio anche a tutti coloro che volessero intraprendere una carriera da musicisti dicendo che “bisogna fare pratica, pratica, pratica”, e lui, di pratica ne aveva fatta all’infinito, considerati tutti i suoi successi.
Ma in tanti lo ricordano per essere stato il sax del famoso film di Bertolucci, “Ultimo Tango a Parigi”, che fece scandalo e scalpore, in quegli anni. E fu proprio quel film con Marlon Brando e Maria Schneider, a dargli il successo mondiale, e che gli consegnò il Grammy nel ’73. Fece come Bertolucci voleva, e dunque creò una colonna sonora che non fosse né troppo hollywoodiana né troppo europea, ma che fosse “una via di mezzo”, e che raccontasse un tango sensuale, come solo lui, poi, argentino, poteva e seppe fare.
Ma in Italia, Gato Barbieri collaborò con tanti cantautori, da Pino Daniele a Venditti.
Era figlio di un carpentiere che amava il violino, incominciò a suonare il clarinetto a 12 anni ascoltando Charlie Parker, per poi passare al sax contralto. Aveva girato il mondo, con la sua prima moglie, Michelle. Nel ’63 giunse in Italia, a Roma, la città della “dolce vita” e collaborò con all’epoca giovane arrangiatore Ennio Morricone, all’assolo di “sapore di sale” di Gino Paoli. Ricordiamo che era anche amico di Enrico Rava. Ma dopo alcuni anni tornò a New York con Don Cherry, per dedicarsi al free jazz, e poi legarsi alla Liberation Music Orchestra di Charlie Haden.
Il sassofono di Gato Barbieri, era inconfondibile. E dire che lui pensava di poter essere dimenticato. Impossibile. E la sua carriera gli tolse ogni dubbio.
Un suono latino, sì, quello del suo sax ma non solo. Era anche estremamente romantico, ed appassionato…a tratti struggente. Amava fondere la musica internazionale, alla musica latinoamericana, ed il risultato – quel latin jazz che lo rese famoso – fu sempre mirabile.
Se ne va un pezzo di storia del jazz, ma lascia in eredità la sua “concezione” di musica e di jazz. Era colui che diceva che “Il jazz non è la musica, è una musica, ed ognuno la rende sua”.
Simona Stammelluti