Simona Stammelluti, Autore presso Sicilia 24h - Pagina 82 di 94
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Per ricordare il Pianista che oggi avrebbe compiuto 87 anni, scomparso a New York il 15 settembre del 1980, vi racconto ciò che accadde al trio di Bill Evans, domenica 25 giugno 1961 presso Village Vanguard jazz club di New York City

Era solo un pomeriggio in un jazz club.

Quarantuno anni fa…quando il 25 giugno 1961, tre giovani musicisti jazz – il pianista Bill Evans, il bassista Scott LaFaro, e il batterista Paul Motian – scesero in un seminterrato affumicato di New York, e dopo aver sbadigliato e scherzato un po’, si misero al lavoro.
Il trio suonò tredici pezzi, la maggior parte sofisticati come “My Romance”, “I Loves You, Porgy”, e anche un valzer dal film di Walt Disney “Alice in Wonderland”.
Quella loro performance fu registrata, e fu resa nota nello stesso anno da una piccola etichetta indipendente chiamata Riverside.
Il titolo dell’album fu “Sunday al Village Vanguard.”
Più tardi nel corso dello stesso anno un’altra registrazione di quel pomeriggio fu resa nota con il titolo di “Waltz for Debby“.
Nel tempo, quelle meravigliose due ore e mezzo, furono riconfezionate, rimasterizzate, riconsiderate, e ripubblicate in un album chiamato, “The Village Vanguard Sessions” e “Al Village Vanguard“.

Tutti o quasi, ci hanno provato a raccontare quella performance jazz, in materia di intonazione, passaggi modali e toni di canto. In pochissimi invece sono riusciti a coglierne a pieno la forza emotiva di tali esecuzioni.
In realtà é difficile spiegare la forza che la musica racchiude in se, quando non suona in maniera particolarmente forte.
La stragrande maggioranza delle persone che ascoltano uno di quei pezzi realizzati in quella domenica, la definirebbero esclusivamente come “musica di sottofondo”.
In realtà la musica di Evans, era un ricamo tra melodia e meditazione, tra tormento e passione.
Certo se ci si riscopre “vulnerabili” ascoltando questa musica, vuol dire che si è vulnerabili nei confronti della perfezione.
Bill Evans non ha fans occasionali, questa é cosa certa.
Nel senso che può piacere a molti, ma solo in pochi lo concepiranno come una vera e propria passione.

Dopo quel pomeriggio, il suo nome è diventato sinonimo di una qualità musicale “heart-break” come la definirono i newyorkesi, che non è simile a null’altro, nel mondo della musica.
Lui, Bill, non é mai stato un “giovane smarrito”, ma un “uomo trasparente e malinconico”.
Basti ascoltare gli assoli di Evans su “Alice in Wonderland” e “My Foolish Heart” e, in particolare, “Porgy” – che hanno un tono madreperla – mentre salta da una modulazione all’altra come se fosse in grado di godere – e far godere – di un sentimento puro, ottenuto senza impedimenti, senza inibizioni, come se conoscesse lui solo l’accesso a tanta meraviglia.
In quella esibizione Bill Evans riesce a raccontare la verità segreta di New York, immaginandolo come una sorta di giardino capovolto, con tutti i fiori che fioriscono a testa in giù nei sotterranei.
Questo particolare seminterrato, il Village Vanguard, che si ferma, o quasi si nasconde, sotto “the Seventh Avenue”.
Altre tre persone, erano lì quel particolare pomeriggio, il produttore, un batterista, e il proprietario del club.
Esiste qualche fortunato che é riuscito a parlare con loro e a capire cosa sia accaduto davvero quel pomeriggio, e la loro riflessione si ferma sui temi trattati in quella performance.
Il romanticismo, le luci della città, il tema della morte e il pianoforte che regna, con la grazia che apparteneva solo ad Evans.
Gli avvenimenti della vita di Bill Evans, che lo hanno condotto portato a quel pomeriggio, sono facili da trovare.
Bill Evans, nato nel 1929 nel New Jersey, in una famiglia ortodossa russa, aveva studiato musica presso Southeastern Louisiana College, e fu definito da tutti come un vero prodigio visto che si laureò con il massimo dei voti in flauto, violino e pianoforte.
É stato uno dei primi musicisti jazz che conosceva benissimo Schubert e Nat King Cole altrettanto bene, e pensava che avrebbe potuto ottenere di più dello spirito di Schubert, suonando come Nat Cole più che come Arthur Rubinstein.
Egli arrivò a New York nel 1955, e nel 1968 si unì al gruppo di Miles Davis e fu l’unico musicista bianco nel sestetto, quando registrarono “kind of blue”.
Quello stesso Davis che definì la sua musica, come “acqua frizzante in un bicchiere di cristallo”.
Evans ha registrato tantissimi album con bassisti e batteristi newyorkesi in quegli anni e nel 1959, poi, scoprì il giovane bassista Scott LaFaro, che ha spesso suonato il basso come se fosse una chitarra, liberamente e melodicamente, senza mai costrizioni di genere.
Poi arrivò Paul Motian, che “spennellava di argento” la batterista, e si unì a loro, e così ebbe vita “il primo trio”. Hanno registrato un sacco di cose insieme, quei tre.
Ma per capire a pieno ciò che avvenne quel giorno, si dovrebbe conoscere ciò che accadeva musicalmente in quel periodo storico: il jazz era una musica diffusa, ma non era una musica popolare.
Poi arrivò Bill Evans e le cose cambiarono.
Lui, bravo come molti dell’epoca, aveva in più, genialità e idee.
Prima di Evans, i trii erano formati da un pianista, che veniva “accompagnato”.
Con l’avvento del nuovo trio, ognuno aveva il suo spazio, la sua “aria”, la sua “posta in gioco”.
Bill aveva anche un sensazionale senso dell’umorismo e chi lavoro con lui, lo testimoniò, nel corso del tempo.
Quando Max Gordon aprì il Vanguard, era un posto per poeti.
Quel luogo é stato prima un posto clandestino, poi diventò un teatro, e fu solo alla fine degli anni Cinquanta, che divenne un jazz club.
Il giorno della registrazione del trio di Evans, il pubblico mutò…da pubblico divenne folla e da gente comune, divenì agglomerato di appassionati “rilassati” e felici.
All’epoca Gordon aveva un pianoforte Steinway, che fu sostituito da un Yamaha, che Bill amava.
Bill Evans fu, per la maggior parte della sua vita, un tossicodipendente e Lorraine Gordon, moglie di Max lo vide sbattere la parte sinistra della tastiera con una mano paralizzata dall’eroina che gli aveva colpito un nervo.
Eppure quel pomeriggio di Domenica a New York nel 1961, il trio suonò in maniera impeccabile per circa due ore e mezza…un cadenzato “Waltz for Debby”, un sommesso “My Foolish Heart”, un “Alice in wonderland ” galleggiante, e una sublime “My Romance”.
Poi, per la prima volta quel giorno, Evans ha suonò “I Loves You, Porgy.”

Due settimane più tardi, il 6 luglio 1961, Scott LaFaro morì sul colpo mentre stava guidando sulla Route 20, quando la sua auto sbandò e andò contro un albero.
“Stavo dormendo e il telefono ha squillato…era Bill che mi diceva che scott era morto”, ricorda Paul Motian.
“Ha detto solo, Scott è morto.
Paul a quella telefonata sconvolta di Bill Evans, avrebbe risposto con un semplice “si” e poi sarebbe andato a dormire, e al mattino successivo avrebbe detto a sua moglie di aver fatto un brutto sogno, nel quale BILL gli diceva che Scott era stato ucciso.
Dopo la morte di Scott LaFaro, Bill Evans diventò come succube del dolore; gli ci vollero mesi per recuperare, e in molti pensano che da quell’evento lui non si riprese mai davvero.
Quella registrazione al villag vanguard ebbe due vite.
Una che prese respiro sin da subito, ed una 22 anni più tardi, e la seconda vita di quel disco, fu ancora più grande.

Uno dei misteri della carriera di Evans è che, dopo “quella domenica”, lui ha continuato a suonare “Porgy” più e più volte, quasi ossessivamente – ma mai come allora, e quasi sempre come se fosse solo, come se suonasse mostrando senza vergogna, una mancanza.

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Simona Stammelluti

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Enrico Garozzo, Paolo Pizzo e Marco Fichera, sono i tre catanesi che insieme all’umbro Andrea Santarelli, hanno al loro collo la medaglia d’argento olimpica di Rio 2016, dopo essersi arresi, solo in finale, contro la Francia

foto Ansa

Quell’oro mancato, ma non importa…è sempre una vittoria da podio.

Tornano a casa con una bella medaglia, i giovani siciliani, imbarcati per il Brasile, dall’altra parte del mondo, per una gara il cui anche lo stesso nome, profuma di magia.

Con questo argento, i 4 giovanissimi riscattano le delusioni delle gare individuali e rendono meno amare le Olimpiadi in una disciplina nella quale l’Italia è abituata da sempre, a dominare.

Il più grande del gruppo è Paolo Pizzo, 33 anni, con già un oro vinto ai mondiali proprio a Catania nel 2011.  Enrico Garozzo, classe 1989, ha ottenuto a livello individuale il miglior risultato con il bronzo mondiale del 2014 a Kazan, dove venne sconfitto solo dal sudcoreano Park Kyoung-doo. E poi c’è lui, Enrico Fichera, nato ad Acireale, che è il più giovane di tutti con i suoi 23 anni, e che a Rio ha rischiato di non andare, dopo aver subìto un infortunio durante la tappa di Coppa del Mondo a Parigi che lo ha costretto a saltare gli Europei, ma alla fine non sono ha recuperato, ma in Brasile è stato praticamente perfetto, sulla pedana azzurra che grazie proprio alla spada, chiude l’avventura olimpica con 4 medaglie.

21esima medaglia all’Italia, in una notte d’argento, dunque. Italiani al secondo posto, dopo essersi arresi alla favoritissima Francia, con il punteggio di 43-31.

La Francia ha fatto meglio dell’Italia, è partita forte, con le 11 stoccate di vantaggio sul 30-19.
Cala così il sipario sulla scherma olimpica, ma c’è da esserne fieri. Stringono tra i denti la loro medaglia, i vincitori e così si fanno immortalare in una foto che diverrà storica nella categoria Rio 2016.

Simona Stammelluti

Un po’ come nei film romantici, sul più bello arriva la proposta di matrimonio. Ma in questo preciso caso è tutto vero. Mentre la cinese He Zi è sul podio, con al collo la medaglia che spetta al secondo classificato, le arriva, inattesa, una proposta di matrimonio con tanto di anello

Una giornata proprio fuori dal comune per la cinesina. Chiusa con un secondo posto la finale del trampolino di 3 metri, vede arrivare il suo fidanzato Qin Kai, tuffatore anch’egli, campione olimpico a Pechino.

La scena, in mondovisione, è quella di un uomo innamorato che in ginocchio, pronuncia il discorso alla sua amata, che tra gli applausi compatti, risponde che “sì, vuole sposarlo”, e poi si slancia in un abbraccio, senza però baciarlo.

Dopo aver ricevuto l’anello, pegno di un amore che sfocerà presto in un “e vissero felici e contenti”, He Zi è scoppiata a piangere, lasciando così andare l’incontenibile emozione. Subito dopo sono state le sue colleghe atlete ad abbracciare lei, congratulandosi con la stessa, in un momento per lei “doppiamente” felice.

Un fuorionda emozionante anche per chi era sul posto o davanti alla Tv, considerato che dalla scatola infernale escono molto spesso notizie che fanno sì piangere, ma non certo di gioia e di contentezza. Per cui vedere due ragazzi che si promettono “amore eterno” davanti al mondo, lascia ben sperare in un futuro nel quale l’affetto e le cose “sane” come lo sport, possano spazzar via un odio che sta riducendo a brandelli un paradiso terrestre, ormai perduto.

Simona Stammelluti

Non so che faccia abbia Giuseppe Tassi, il direttore del QS Quotidiano Sportivo, sollevato dall’incarico – per “giustissima causa” con effetto immediato – per aver titolato in quella maniera così offensiva, la performance delle arciere italiane, conclusasi con un quarto posto alle Olimpiadi di Rio 2016.

Non so che faccia abbia e nemmeno voglio saperlo. Come non voglio sapere se è magro o “cicciottello”. Mi basta sapere che in quei suoi panni, che siano taglia Small o Extra Large, proprio non vorrei stare. Perché essere licenziati per il pessimo gusto, per aver “offeso” delle persone e non semplicemente delle atlete, ti mette addosso un marchio che non te lo togli più; Ed un giornalista ci mette una vita intera, a volte, per acquisire credibilità, serietà, utilizzando il garbo, prima ancora che la notizia.

L’editore chiede scusa alla federazione e alle atlete, oltre che ai lettori della testata. Ma basta davvero? Ha anche licenziato il direttore a cui forse non piacciono abbastanza le cicciottelle, direte. Sì, certo, ma a mio avviso non basta. Bisogna fermare la libertà di offendere senza pensarci su, perché la libertà di ognuno, finisce dove inizia quella dell’altro. E poi le scuse a Claudia Mandia, Lucilla BoariGuendalina Sartori, sul Resto del Carlino andrebbero fatte a “Tutta Pagina”.

Il web si è ribellato a quel titolo di cattivo gusto, ha scritto al presidente della Federazione Italiana Tiro con l’Arco, Mario Scarzella e allo stesso direttore del Resto del Carlino, Giuseppe Tassi. Le ragazze cercavano nella stampa un sostegno, dopo aver sfiorato quell’impresa, ed invece allo sconforto della sconfitta si è aggiunta l’offesa per quel titolo: “il trio delle cicciottelle sfiora il miracolo“. Ma che non c’era un altro modo per definirlo quel trio, che non fosse l’apoteosi del cattivo gusto?

Forse una visione fin troppo maschilista nei confronti della donne brave, nei confronti di atlete che praticano sport a livelli così alti e che aspirano a medaglie e non a coroncine da miss, o a sculettare sui tavoli da velina.

Io mi schiero con le arciere azzurre, e con tutti coloro che non ci hanno visto nulla di “simpatico” né di goliardico, in quel titolo, perché ci sono situazioni nelle quali la serietà è d’obbligo e soprattutto il garbo, è d’obbligo. Forse neanche se a gareggiare ci fosse stata sua sorella, il signor Tassi si sarebbe dovuto permettere.

Non vorrei proprio essere nei suoi panni, che siano small o estralarge…perché da colei che conosce bene gli effetti a volte taglienti di una penna, mi meraviglio di come si sia potuto commettere un errore così imperdonabile, quasi ingenuo, pensando che “nessuno si offendesse”.

L’estate manda in vacanza gente che poi torna al proprio posto.
Qualcuno a quel suo posto non tornerà, per fortuna, perché in vacanza nella valigia, avrebbe dovuto mettere anche il buon gusto, che invece è stato dimenticato dietro una porta tirata alle spalle, con le chiavi dentro.

Simona Stammelluti

Si chiamano Rossella Fiamingo, di Catania e Vincenzo Nibali, messinese, fiori all’occhiello di un’Italia che conta e che vince, malgrado tutto

Medaglia d’argento alle olimpiadi Rio 2016, nella specialità “Individual Epee” per Rossella Fiamingo, classe 1991, schermitrice, specializzata nella spada, vincitrice della medaglia d’oro, per due volte consecutive, nella spada individuale ai mondiali di scherma di Kazan 2014 e Mosca 2015. Malgrado un piccolo rammarico – così come lei stessa dichiara a caldo – ha di che sentirsi orgogliosa Rossella, e tutta la Sicilia e l’Italia con lei, considerato che quello vinto è un argento storico, poiché è la prima italiana di sempre, a vincere una medaglia olimpica nella spada individuale, e con le due vittorie consecutive ai mondiali, entra di diritto nella storia della scherma mondiale.

Sfortunata purtroppo l’avventura dell’altro siciliano a Rio, Vincenzo Nibali, classe 1984, ciclista su strada, scalatore, discesista, corridore di corsa a tappe, che dice addio alla sua avventura olimpica dopo la rovinosa caduta, avvenuta in discesa ad 11 km dall’arrivo, riportando una doppia frattura a clavicola e polso. Sfuma così la sua medaglia d’oro e la sua vittoria praticamente “certa”, considerato che era rimasto in fuga con il colombiano Henao ed il polacco Rafal Majika.

Non termina dunque sul podio l’esperienza olimpica di Rio per Nibali, ma in ospedale, in attesa di intervento chirurgico. Il morale del Capitano dell’Italia, soprannominato Squalo, è a terra, com’è giusto che sia, in questo momento, ma resta la consapevolezza di avere in Italia, atleti da medaglia d’oro, figli della sud, che possono e sanno mostrare al mondo, di cosa sono capaci.

Ma le gare continuano.
Continueremo a seguire gli italiani, per capire cosa porteranno a casa, come premio per anni di sacrificio e se sapranno sfruttare a meglio le proprie capacità a dispetto di sfortuna ed errori che magari, sono concessi sono in gioventù.

Simona Stammelluti

Aggiornamento: Agostino Siciliano, ha confessato di aver ucciso la donna

Erano le 15 circa quando gli investigatori del Comando Provinciale di Cosenza, hanno rintracciato e posto in fermo il presunto assassino della donna di Catania, Marina Zuccarelli, mentre presumibilmente cercava di far rientro a Taranto, la sua città natale

Si sta indagando per raccogliere tutti gli elementi utili per cercare di accertare la responsabilità dell’uomo fermato a Torano in provincia di Cosenza poche ore fa.

Lo stesso si era recato in Sicilia, per la precisione a Catania, per cercare una sorta di riappacificazione con la sua ex compagna, conosciuta sul web e con la quale aveva intrattenuto una relazione fin quando la stessa non aveva deciso di troncarla.

Giunto presso l’abitazione della donna, l’uomo 28enne, tarantino, laureato,  è verosimilmente entrato in litigio con la mamma della sua ex, litigio poi degenerato con la morte della donna a seguito di accoltellamento.

A poche ore dal delitto, i Carabinieri sono all’opera incessante al fine di concludere in breve tempo il caso.

Simona Stammelluti

Era così ironica, che scherzava anche sulla morte: “è una cosa che prima o poi accade a tutti”. Ad annunciare la sua morte suo fratello Giovanni, dalle pagine del social: “lo faccio io, prima che lo faccia il tritacarne dell’informazione”. I funerali lunedì nella sua Orvieto

La sua fama è arrivata in Trio, con Tullio Solenghi e Massimo Lopez, ma le tante facce di una grande attrice di teatro, oggi rieccheggiano nei ricordi di tutti coloro che l’hanno apprezzata nelle sue tante ed ironiche parodie: Le signorine del TG, la Lucia manzoniana, la sessuologa, la Sora Flora. Eppure la Marchesini è nata come attrice di prosa.

Era malata da tempo, Anna Marchesini. Era malata di artrite reumatoide – una malattia infiammatoria che l’aveva ridotta come uno scricciolo  – ma viveva con così tanta sensibilità la vita, con pienezza e consapevolezza, che anche l’esperienza della malattia, meritava la sua sottile ironia. “E’ una cosa che accade – diceva – e va vissuta”. Queste le parole di una donna che amava tremendamente la vita.

Tanti gli amici che la ricordano e che oggi la piangono. Tra questi Fabio Fazio, che della Marchesini ne ammirava la sensibilità, l’intelligenza e la bravura oltre che l’ironia, una delle più alte forme che la stessa possedeva per esprimersi. Di lei dice: “Mi mancherà tantissimo l’amica che mi faceva ridere; in fondo è il grande privilegio dei comici, quello di lasciare una risata nel ricordo”.

Era riuscita a vedere sua figlia Virginia, laurearsi. Era quello uno dei suoi ultimi desideri. Intanto il suo ex marito, padre di sua figlia, ha usato il social per esprimere il suo dispiacere nell’aver appreso della morte della ex moglie, della quale non sapeva che le condizioni erano andate peggiorando.

Era riuscita a recitare in teatro fino allo scorso marzo, e le era anche capitato di cadere dal palco del teatro Rossini di Pesaro al termine dello psettacolo, mentre stava salutando il suo pubblico, che le aveva tributato una standin ovation, proprio come quello che oggi, idealmente, stiamo facendo tutti, ringraziandola per quei sorrisi che ci ha regalato nel tempo.

Simona Stammelluti

Jazz & Vento è uno degli appuntamenti più attesi e ricchi dell’estate calabrese “in musica”, per tradizione e alto profilo del cartellone artistico, ed è diretto da Maria Teresa Marzano, che nei prossimi giorni avrò il piacere di intervistare

Il programma in cartellone per il prestigioso festival, si svolgerà dall’8 al 10 agosto a Cortale, splendido borgo in provincia di Catanzaro, la cui amministrazione guidata dal sindaco Francesco Scalfaro, ha previsto un agosto denso di appuntamenti tutti fa godere.
L’attenzione resta alta proprio per quanto riguarda il festival che allieterà lunghi e appassionati con un canto propiziatorio a Eolo nelle immediate pendici del paese a cura del trombettista Franco Suppa, quindi una prosecuzione in jam presso il centro storico.
Quindi il giorno 9 agosto il festival entrerà nel vivo con il progetto “Parientes” a cura del trio  Servillo, Girotto e Mangalavite. Peppe Servillo – che ho avuto il piacere di intervistare lo scorso anno proprio in occasione di una sua performance in trio – è un artista dal talento versatile, già voce degli Avion Travel, al centro di innumerevoli progetti di spessore anche al fianco del fratello Toni. Con lui in tour, due musicisti di grande caratura artistica,  Javier Girotto sassofonista, arrangiatore, compositore e flautista argentino, uno dei più versatili e talentuosi tra i contemporanei, e Natalio Luis Mangalavite, pianista eclettico anch’egli argentino, di Cordoba che ha all’arrivo innumerevoli collaborazioni con il mondo del jazz, del pop e della musica etnica e contemporanea.
Il progetto in cartellone ricordiamo si intitola “Parientes”, terzo capitolo discografico di un rapporto ultradecennale,  un viaggio nei ricordi, nelle persone, nell’immaginario di un popolo migrante che ha dato vita ad un’altra cultura e, nel contempo, ha preservato la propria, portandovi nuova linfa. Nascono, così, avventure d’amore, ricordi, intrecci sentimentali, e tra una milonga, un tango, una cumbia, emergono storie di vita vissuta, di fatiche quotidiane e voglia di riscatto, di legalità e delinquenza, e, perché no, di tradizioni culinarie da esportare e mantenere come tratto imprescindibile e distintivo di una comunità in movimento. In altre parole si tratta di un lungo e stimolante ponte tra l’Italia e l’Argentina , dove non c’è solo il tango, ma una ricca tradizione folclorica piena di ritmi e suggestioni. ‪
Il 10 agosto‬ invece dapprima la Takabum Street Band, quindi la superstar Bireli Lagrene, l’unico erede legittimo della grande tradizione manouche propria a Django Reinhardt e già al fianco di autentiche icone del jazz come Jaco Pastorius, John Mc Laughlin e Paco De Lucia, noto per il suo fluido virtuosismo alla chitarra che suona con irrisoria facilità nelle sua complesse trame. Enfant prodige con una prima apparizione in pubblico a soli 4 anni, Lagrene  a 11 anni aveva già vinto un premio  importante prima di spiccare il volo verso una carriera di grandi riconoscimenti, in cui ha inciso grandi album per etichette di prestigio come Blue Note, Universal e Dreyfus.
Con il suo nuovo quartetto, Bireli Lagrene ha scelto di presentare un tributo alle sue radici non solamente tzigane, riproponendo la formazione, con due chitarre, violino e sax, che rimanda ai giorni ruggenti dell’ Hot Club de France.
Inizio fissato per le ore 22 con ingresso rigorosamente gratuito, grazie al sostegno dell’amministrazione comunale guidata dal Sindaco Francesco Scalfaro e dall’Assessore alla Cultura Simona Papaleo.
Un’estate in musica, lì dove le notti sono cornice di progetti validi e di possibilità di crescita culturale per un territorio che ha bisogno di “vivere” attraverso iniziative come queste.
Simona Stammelluti

Il posto è dei più incantevoli d’Italia e gli artisti sono protagonisti della scena jazz internazionale

Al parco archeologico “Scolarum” di Roccelletta di Borgia, si terrà domani 30 luglio, un concerto di straordinario valore per il mondo del jazz: Il chitarrista John Abercrombie con il suo strepitoso quartetto che vede al pianoforte Marc Copland, al basso Drew Gress e alla batteria Joey Baron.

L’estate è uno dei momenti più propizi per godersi concerti di spessore, di musica “fatta bene”. A proporre un cartellone ricco di straordinario valore per gli appassionati di jazz, il Festival Armonied’arte – diretto da Chiara Giordano –  che propone per domani 30 luglio alle ore 22, un concerto che porta al sud, in Calabria per la precisione, musicisti di grande caratura artistica ed uno spettacolo di musica raffinata ma al contempo ricca di pulsioni oblique e trasversali al linguaggio jazzistico.

John Abercrombie - foto Guy Fonck

Ospite nella serata di domani sera a Roccelletta di Borgia, John Abercrombie, definito uno dei chitarristi jazz e “post jazz” più indispensabili del ‘900 e tutt’ora uno dei più significativi sulla scena internazionale. Strumentista musicalmente versatile, legato alla tradizione jazz – di cui ha esteso e ampliato i confini seguendo il suo istinto di fine improvvisatore – oltre che creatore di emozionanti melodie, ma anche di spigolose e argute composizioni. Abercrombie riesce a coniugare l’evoluzione delle tecniche sonore e strumentali con il significato più autentico dell’espressione jazzistica da lui attraversata con sapienza.

Nella sua lunga carriera  ha collaborato con innumerevoli straordinari musicisti: dagli inizi  jazz-rock del gruppo Dreams, a Gil Evans, Gato Barbieri, Billy Cobham, Ralph Towner, al GATEWAY co-diretto con Dave Holland e Jack De Johnette, per finire ai gruppi con Peter Erskine, Kenny Wheeler e Joe Lovano.

Arriva al festival Armonied’arte con grandissimi compagni di viaggio: Marc Copland, billevansiano, al pianoforte, Drew Gress, fondamentale al contrabbasso e quel gigante di Joey Baron alla batteria.

Si prospetta una serata di grande valore artistico, che merita di essere vissuta tutta, fino in fondo, per poi portare con se, nel tempo, l’esperienza di un concerto da ricordare.

Per gli appassionati, ma anche per i curiosi ricordiamo anche la data del 7 AGOSTO “Napoli trip”, con Stefano Bollani, Daniele Sepe, Nico Gori, Manu Katche.

Simona Stammelluti

A parlare con me, circa quella che è stata definita “la guerra del libro”, Michele Falco, editore quarantenne, pieno di talento e con lo sguardo puntato su un futuro di successi e di solidità imprenditoriale. Uno di quelli che pensa, e poi realizza, che usa l’intuito per riuscire e che verso il futuro ci va con passione. Lui, figlio di un grande intellettuale ed editore, della cultura parla come di una “virtù familiare” poi divenuta vizio.

Mi interessava sapere come un editore di quelli affermati nel settore, vedesse l’attuale situazione che ha diviso il mondo dell’editoria, circa la famosa – e storica – fiera del libro.

D: Dott. Falco, è notizia delle ultime ore che gli editori hanno rotto gli indugi e hanno detto di volere la fiera del libro a Milano. Lei è della stessa opinione? Se no, ci dica perché difende la fiera di Torino.

Gli editori che vogliono che la fiera si sposti a Milano, che hanno deciso sia meglio così, sono solo “alcuni editori” dell’Aie(Associazione Editori Italiana), sono pochi. La fiera del libro di Torino raccoglie da sempre tantissimi piccoli, medi e grandi editori italiani e internazionali, e ritengo in questi anni abbiano avuto –  pur nelle critiche che rivolgo a singoli aspetti organizzativi –  ospitalità e opportunità di rendersi visibile e soprattutto di rendere visibile la propria azione editoriale. Questo è accaduto anche a me, sono proprio testimone di questo.

D: Il presidente della regione Piemonte rilancia; dice che salTo 2017 si rifarà e che ci sono anche nuovi progetti in cantiere. Ci racconta le sue 10 edizioni delle 30, del salone del libro e cose porta, ad una casa editrice “artigianale” come la sua, in termini di visibilità e concretezza, essere a quella specifica fiera del libro.

Le polemiche degli ultimi anni –  che non hanno toccato l’organizzazione interna della Fiera del libro di Torino ma La Fondazione che ne gestisce il funzionamento e soprattutto i finanziamenti a disposizione – non hanno aiutato la credibilità della Kermesse torinese, ma ripeto riguarda questioni interne e politiche, non di rapporto con noi editori. Tutto ciò ha creato le condizioni perchè Milano avesse le motivazioni per farsi avanti. Certo che una fiera con a capo degli Editori – se mi posso permettere – è la pre-condizione del proprio fallimento. Una sorta di “conflitto di interessi”; chi gestisce una Fiera rivolta a tutte Le Case editrici “deve essere” super partes. Galassia Gutenberg, la fiera del libro di Napoli, fallita miseramente, insegna.
Non boccio a priori la fiera di Milano, attendo con ansia quelli che saranno i programmi dei miei colleghi per poter valutare e decidere. Certo, per un editore romantico come me, metà maggio è da oltre dieci anni, dedicato alla città di Torino.

D: Era necessaria secondo lei una tale spaccatura in un momento in cui l’editoria sconta un numero storicamente bassissimo di lettori?

Probabilmente no, ma aspettiamo nel dettaglio cosa propone Milano e se possibile invito formalmente tutti gli operatori a un maggior coinvolgimento di tutti gli editori, che immagino possano solo arricchire di idee e iniziative la fiera del libro che verrà. In fondo il risultato finale deve essere il rispetto del lettore e delle sue esigenze.

D: Feltrinelli ha votato contro, lo spostamento della fiera a Milano. Se dovesse azzardare le loro motivazioni, cosa pensa abbiano detto?

Probabilmente perché in questo momento serve lungimiranza e non gioco di forza.

D: Perché secondo lei Milano non ha proposto una edizione complementare e non sostitutiva? Mi spiego. Torino, Roma…ed anche Milano. Una porta in più dalla quale far passare i lettori, non una decisione sul dove.

E’ proprio quello che invece si dovrebbe fare. Proporre, ingrandendo, integrando e non certo dividendo, o usando soluzioni rigide. I lettori si aspettano un mondo da attraversare e siamo noi, tutti insieme, a dover dar loro questa chance.

D: Si dice che il cambiamento porti in se cose buone. Non se ne comprende il perché in questo preciso caso. Ci spiega le motivazioni che solo un editore come lei, può comprendere anche non condividendole?

I cambiamenti dovrebbero sempre essere considerati in virtù di un processo di miglioramento, e se vige una sorta di caos, difficilmente il cambiamento può portare cose buone, soprattutto in un settore nel quale la costanza, genera il successo.

Michele Falco con suo padre Pasquale

Voglio ricordare a me stesso un antico adagio: “chi lascia la vecchia strada per la nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova”.

Simona Stammelluti