Su Ra1, in prima serata, un docu-film per raccontare il coraggio e la tenacia di Libero Grassi, anche attraverso la testimonianza di chi l’ha conosciuto, della sua famiglia, e poi ancora storici, giornalisti, procuratori, fotografi e associazioni

Amava la barca a vela, Libero Grassi, l’imprenditore palermitano ucciso dalla mafia il 29 agosto del 1991. Amava la barca a vela, ed il suo sogno era quello di fare il giro del mondo, una volta andato in pensione, con la usa adorata moglie Pina, la quale qualche giorno prima della sua morte, scattò – proprio durante una gita in barca insieme al figlio Davide – quella che rimane l’ultima foto di Libero, da vivo.
Una storia, la sua, raccontata attraverso immagini di repertorio e ricostruzioni realistiche di quella che fu la sua vita in quella Palermo che lo ignorava anziché sostenerlo. Lui, che viveva a testa alta mentre tutti agivano per screditarlo, mettendo all’angolo colui che fu il portabandiera della lotta alla mafia, in un territorio nel quale l’imprenditoria si era piegata alla regola del “pizzo”. E proprio quando tutto il mondo, parlava di Libero Grassi, che aveva anche rifiutato la scorta, dopo le minacce ripetutamente ricevute, Palermo riusciva ad “ignorarlo”. Washington Post, i giornali francesi, tutti in fila per intervistarlo, per raccontare la sua storia, mentre nella sua terra, quella sua storia non interessava a nessuno.
Ben evidenziato nel documentario, il ruolo che la TV ebbe, nel destino di Libero Grassi, ma che non fu la causa della sua morte, bensì un modo per dare voce a chi sapeva che se non si fosse reagito alla logica della malavita, si sarebbe dovuto solo abbandonare quei luoghi. Ma lui restava e “resisteva”. Le immagini di repertorio della sua presenza alla trasmissione “Samarcanda” di Michele Santoro, restano terribilmente attuali, così come anche la famosa staffetta che la Rai e Mediaset, fecero il 21 settembre del 1991, poco meno di un mese dalla sua morte. Una staffetta per dare un segno di libertà, come quella che Libero Grassi aveva difeso vivendo a testa alta. Personalmente, ho ricordato quell’invito fatto alla popolazione italiana di accendere una luce, come gesto concreto, per lui, lui che voleva i “riflettori accesi”, sulla mafia.
Nel docu-film si susseguono i racconti di collaboratori di giustizia, che raccontano i dettagli di tutto quello che accadde prima, dopo e durante le decisioni circa il “destino” che toccò all’imprenditore, e poi ancora le testimonianze di sua moglie Pina, e dei suoi figli Davide e Alice.
Pina, che aveva organizzato un convegno per gli imprenditori palermitani, che invece quell’incontro lo disertarono, suo figlio Davide, che il 31 agosto del 1991, durante i funerali di suo padre, mentre portava a spalla la bara, insieme a tre suoi amici e a due dipendenti dell’azienda alzava al cielo la mano che mimava una V, in segno di vittoria e non di sconfitta, considerato che suo padre non aveva mai ceduto alla mafia, ed era morto da uomo libero. E poi Alice, che nell’intervista racconta come il non aver visto la scena di suo padre morto assassinato l’abbia aiutata a sopravvivere. Per mesi, dopo la sua morta, la donna ha sognato di dialogare con suo papà, mentre gli chiedeva come salvare l’azienza.
Significativi anche i racconti del giornalista Sandro Ruotolo, che ha raccontato quanto l’umiltà del grande e coraggioso imprenditore si vedesse da quei sandali che uscivano fuori da sotto il lenzuolo, immagine che nei suoi occhi era rimasta impressa quella mattina del 29 agosto del 1991, quando Libero Grassi, esce di casa poco dopo le sette e trenta del mattino, dopo aver sorriso e scherzato con sua moglie, e si allontana a piedi e dopo essere stato chiamato per nome, viene avvicinato alle 7,36 e assassinato a viso aperto.
Simonetta Martone regala il ricordo della lettera ricevuta da Libero Grassi, dalla quale sia nella grafia, che nel contenuto, mostrava l’arrivo della paura, della consapevolezza che proprio quando le minacce avevano smesso di giungere, si avvicinava la sua fine.
Leoluca Orlando, che sottolinea quanto il successo dell’imprenditoria a Palermo, era dovuta all’essere collusa con la mafia e che tali accordi, non avrebbero mai potuto concedere un ruolo attivo nella società. Ed in questo panorama Libero Grassi, che non si piegava a questi meccanismi era visto come un eretico.
E’ proprio con Libero Grassi che nacque il termine “pizzo legalizzato”, riferito alle banche che ponevano dei tassi di interesse sui prestiti agli imprenditori così alti, che gli stessi erano costretti a cedere alla mafia. E quando un banchiere gli disse di “smetterla di rompere i coglioni”, lui gli rispose: “i rompicoglioni sono destinati a soccombere, ma io non smetterò“.
E con lui pure, si incominciò a fare luce sui cosiddetti “voti di scambio”, in politica. Perché fu lui, il primo a parlarne, raccontando come alcuni politici andassero al potere “scambiando” favori con la mafia. Lui, repubblicano, che quando il suo partito incominciò ad andar male, accettò l’incarico di ricostruirlo.
Quando il clan Madonia decide di “risolvere il problema una volta per tutte”, si rivolse a Marco Favaloro, che ci mise poco a capire che nessuno proteggeva Libero Grassi. Favarolo, esecutore materiale del delitto Grassi, viene arrestato il 20 aprile del 1992.
il 30 aprile del 2004 a Palermo accade una cosa insolita. Tutta la città viene tappezzata di adesivi con su scritto: “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Si scopre esserci Pina Grassi, dietro quella iniziativa, con una marea di giovani, che hanno deciso di alzare la testa, per non abbassarla mai più, così come aveva fatto Libero. Ed è stato quello il segno di una eredità lasciata, che non morirà mai.
Ad oggi in tutta Italia ci sono vie che portano il nome di Libero Grassi; A Torino, a Trapani, Lecco, Viterbo, Napoli (nel quartiere Scampia), a Milano, a Monza.
Da quel 29 agosto del 1991, nessuno è stato mai più solo a combattere contro il problema del pizzo, e tutti quelli che hanno conosciuto la sua storia, sono più Liberi.
Resteranno eterne le parole della sua famiglia, le parole del comunicato dopo la morte di Libero Grassi. Poche ma significative parole: “Dichiariamo che Libero Grassi è stato ucciso da uno stato inefficiente e corrotto, ma se anche lo stato fosse più efficiente, non ci salverebbe comunque dal popolo siciliano“.
Ma eterne e come eredità anche e soprattutto per noi giornalisti rimarrà quella sua affermazione detta davanti ad una Italia intera: “Io credo nei giornalisti, perché loro si sono fatti uccidere pur di raccontare la verità“.
Simona Stammelluti