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Torna il terrore, torna la paura, torna lo sconforto nel sapere che il massacro non si arresta

Era un locale omosessuale, ma al suo interno anche giovani etero che insieme ai proprio amici erano andati lì per ballare, ascoltare la musica preferita, divertirsi.

Sono le due di notte, e il nightclub chiamato Pulse, ad Orlando, diventa teatro dell’orrore e torna la cronaca di una strage. Le persone che avevano preso parte alla serata erano state circa 320, quella sera, ma la serata si avviava alla fine ed erano circa un centinaio gli ultimi ragazzi che volevano godersi l’ultimo brano. Un uomo all’improvviso incomincia a sparare sul soffitto e contro la gente che balla sulla pista. Chi è vicino al bancone del bar e che è riuscita a mettersi in salvo, racconta di essersi avviato verso l’uscita posteriore. Molti si stendono sul pavimento. Un ragazzo scrive alla mamma l’ultimo messaggio prima di morire, dal bagno dove ha provato a rifugiarsi. Una ragazza, nel locale in compagnia della sua migliore amica, riprende la serata danzante, fin quando non sente gli spari, cerca di capire cosa stia accadendo, e poi il video si interrompe. Neanche per lei ci sarà scampo. Non c’è stato scampo per i 50 ragazzi che soccombono, e 53 saranno i feriti. La strage è messa in atto da un ragazzo americano di nascita ma di origine afgane, 29 anni, Omar Mateen, che di professione fa la guardia giurata, che entra nel locale con una pistola ed un mitragliatore d’assalto sparando all’impazzata verso i ragazzi che ballano spensierati. L’omicida è stato poi ucciso dalla polizia nel conflitto a fuoco che ne è seguito.

Colpito cosa, dunque…l’omosessualità, considerato che alcuni suoi colleghi lo definivano omofobo? Il divertimento, la spensieratezza che lui forse, non aveva mai avuto? Il terrore, per mano dei terroristi, ancora come a Parigi, come al Bataclan.

Mentre arriva la notizia della strage, vi è l’arresto di un uomo a bordo di una macchina diretta a Santa Monica, con a bordo una sorta di arsenale, tra esplosivi e fucili d’assalto, diretta a Los Angeles, dove si sta svolgendo il Gay Pride. Si sta dunque indagando sulla probabile connessione tra i due uomini che potrebbero aver organizzato insieme gli attentati terroristici.

L’Isis ha rivendicato l’attentato di Orlando. “Omar era uno di noi” – ha scritto l’agenzia Amaq. Fatto sta che il killer era già noto all’FBI, come simpatizzante dell’Isis, finendo nel mirino dell’FBI nel 2013 e poi ancora nel 2014, tanto che venne aperta un’indagine su di lui, che poi fu chiusa perché non fu trovato nulla che potesse essere utile per il proseguo delle indagini.

Il padre dell’attentatore si è scusato per il folle gesto del figlio, ed ha sottolineato che quanto accaduto non è stato – a suo avviso – pianificato dal ragazzo per motivi religiosi, ma racconta di aver notato qualche tempo fa suo figlio reagire male, vedendo due ragazzi che si baciavano.

Gesto omofobo, gesto terroristico.

Il “Bataclan” di Orlando, il terrore che si ripete e che lascia il mondo ancora una volta annientato e sgomento.

Simona Stammelluti

Torna il terrore, torna la paura, torna lo sconforto nel sapere che il massacro non si arresta

Era un locale omosessuale, ma al suo interno anche giovani etero che insieme ai proprio amici erano andati lì per ballare, ascoltare la musica preferita, divertirsi.
Sono le due di notte, e il nightclub chiamato Pulse, ad Orlando, diventa teatro dell’orrore e torna la cronaca di una strage. Le persone che avevano preso parte alla serata erano state circa 320, quella sera, ma la serata si avviava alla fine ed erano circa un centinaio gli ultimi ragazzi che volevano godersi l’ultimo brano. Un uomo all’improvviso incomincia a sparare sul soffitto e contro la gente che balla sulla pista. Chi è vicino al bancone del bar e che è riuscita a mettersi in salvo, racconta di essersi avviato verso l’uscita posteriore. Molti si stendono sul pavimento. Un ragazzo scrive alla mamma l’ultimo messaggio prima di morire, dal bagno dove ha provato a rifugiarsi. Una ragazza, nel locale in compagnia della sua migliore amica, riprende la serata danzante, fin quando non sente gli spari, cerca di capire cosa stia accadendo, e poi il video si interrompe. Neanche per lei ci sarà scampo. Non c’è stato scampo per i 50 ragazzi che soccombono, e 53 saranno i feriti. La strage è messa in atto da un ragazzo americano di nascita ma di origine afgane, 29 anni, Omar Mateen, che di professione fa la guardia giurata, che entra nel locale con una pistola ed un mitragliatore d’assalto sparando all’impazzata verso i ragazzi che ballano spensierati. L’omicida è stato poi ucciso dalla polizia nel conflitto a fuoco che ne è seguito.
Colpito cosa, dunque…l’omosessualità, considerato che alcuni suoi colleghi lo definivano omofobo? Il divertimento, la spensieratezza che lui forse, non aveva mai avuto? Il terrore, per mano dei terroristi, ancora come a Parigi, come al Bataclan.
Mentre arriva la notizia della strage, vi è l’arresto di un uomo a bordo di una macchina diretta a Santa Monica, con a bordo una sorta di arsenale, tra esplosivi e fucili d’assalto, diretta a Los Angeles, dove si sta svolgendo il Gay Pride. Si sta dunque indagando sulla probabile connessione tra i due uomini che potrebbero aver organizzato insieme gli attentati terroristici.
L’Isis ha rivendicato l’attentato di Orlando. “Omar era uno di noi” – ha scritto l’agenzia Amaq. Fatto sta che il killer era già noto all’FBI, come simpatizzante dell’Isis, finendo nel mirino dell’FBI nel 2013 e poi ancora nel 2014, tanto che venne aperta un’indagine su di lui, che poi fu chiusa perché non fu trovato nulla che potesse essere utile per il proseguo delle indagini.
Il padre dell’attentatore si è scusato per il folle gesto del figlio, ed ha sottolineato che quanto accaduto non è stato – a suo avviso – pianificato dal ragazzo per motivi religiosi, ma racconta di aver notato qualche tempo fa suo figlio reagire male, vedendo due ragazzi che si baciavano.
Gesto omofobo, gesto terroristico.
Il “Bataclan” di Orlando, il terrore che si ripete e che lascia il mondo ancora una volta annientato e sgomento.
Simona Stammelluti

Ho ascoltato in anteprima il primo disco di Fabio Cinque, siciliano Doc, che dopo aver calcato i palcoscenici di mezza Europa, si è fermato e ha scritto questo album, #comesenoncifosseundomani

Un disco è sempre come un mondo a se, quello che appartiene a chi ha delle idee, e che poi decide “cosa” farle diventare. Spacchettare il disco di Fabio Cinque è stato come entrare in un negozio di dolciumi seguendo un profumo, per poi rimanere indecisi su cosa assaggiare. Un packaging bello e funzionale, con “un senso”. Perché quando apri la custodia, entri per davvero nel suo mondo, attraverso i suoi occhi, i colori e le sfumature che solo un uomo del sud sa come condividere con gli altri, in maniera così seduttiva.

Un libretto raccoglie i testi, stampati su immagini che raccontano ognuno dei nove brani e nell’ultima pagina, i nomi di tutti coloro che in questo bel progetto hanno creduto e lo hanno sostenuto attraverso il crowdfunding.

Ma poi la curiosità ti porta dritto dritto ad “ascoltare” quello che è un disco scritto da un cantautore non improvvisato, che con la musica ha fatto l’amore prima ancora che le appartenesse completamente, forse.

E’ un disco che parla di vita, di gioia, di opportunità e di rinascita. Ogni traccia racconta una storia, una storia vissuta, che si potrebbe vivere o che a volte si è sognata, senza viverla per davvero. E’ un susseguirsi di emozioni, di parole “aggiustate a festa”, messe in ordine quel tanto che basta per poter far compagnia a chi ha ancora qualche dubbio su quanto bella possa essere la vita, anche se a volte sembra indifferente alle nostre richieste e alle nostre necessità.

C’è tutta una vita, in questo disco. Ci sono le origini, le canzoni cantante in dialetto siciliano, ci sono sogni e c’è pure tanto coraggio; quello che serve per arrivare “fino in fondo”, e Fabio Cinque, con questo disco è arrivato non solo dove voleva, ma anche dove “doveva”, ossia a mettere nel suo paniere ciò che sa fare e che merita di essere apprezzato per qualità e pregio espressivo.

Un cantautorato schietto, originale ed appagante, quello di Fabio Cinque che nel disco oltre alla voce, suona la chitarra, il basso, il contrabbasso e il marranzano, conosciuto come “scacciapensieri”. Gli arrangiamenti sono molto ben articolati e la parte acustica, si tiene per mano con la parte più “rock” dove la chitarra la fa da padrone, come nel brano “la strada (che ho)”. Nel disco tanti strumenti e tanti musicisti. Ogni strumento lascia l’impronta negli arrangiamenti scelti per dare la giusta incisività a testi, che spesso nascondono una realtà che è sotto gli occhi di tutti, ma che a volte in molti fanno finta di non vedere.

Fiati e archi, non sono mai usati a caso, e rendono alcuni pezzi “tondi”, completi, raffinati e caldi, come nel caso della traccia numero 4, “ascunta u ventu”, quando la tromba di Emanuele Calvosa, regge la melodia e la trasporta in alto, attraverso note acute e vellutate, che si adagiano poi sul rumore del mare, che chiude il pezzo.

Nel disco c’è un brano, “Nuvole” nel quale i cori sono realizzati da Elisa, la figlia di Fabio Cinque, che, azzardando, potrebbe diventare il tormentone dell’estate. E’ simpatico, accattivante, orecchiabile.

Il pezzo di Rosa Balistreri “cu ti lu dissi”, si distingue per come Cinque lo interpreta, ossia con particolare enfasi, mentre suonano i violini malinconici e passionali di Teresa Giordano e Pasquale Gravina.

Eppure a mio avviso, il pezzo che detta il senso del disco, resta “Ricadi”, già singolo, che racchiude – per testo e sound – la verve e la tempra di Fabio Cinque cantautore, colui che ha un messaggio da consegnare, e lo fa #comesenoncifosseundomani.

Nel disco è ospite Ricky Portera, ma per sapere in che brano ha prestato la sua chitarra, dovrete comprare il disco.

Fatevi un regalo, fate un regalo. Il disco merita, e vi farà bene. Esce il 16 giugno. Vi consegnerà la consapevolezza che all’indifferenza di giorni comuni, esiste sempre un antidoto…basta cercarlo.

Simona Stammelluti

Ho ascoltato in anteprima il primo disco di Fabio Cinque, siciliano Doc, che dopo aver calcato i palcoscenici di mezza Europa, si è fermato e ha scritto questo album, #comesenoncifosseundomani

Un disco è sempre come un mondo a se, quello che appartiene a chi ha delle idee, e che poi decide “cosa” farle diventare. Spacchettare il disco di Fabio Cinque è stato come entrare in un negozio di dolciumi seguendo un profumo, per poi rimanere indecisi su cosa assaggiare. Un packaging bello e funzionale, con “un senso”. Perché quando apri la custodia, entri per davvero nel suo mondo, attraverso i suoi occhi, i colori e le sfumature che solo un uomo del sud sa come condividere con gli altri, in maniera così seduttiva.
Un libretto raccoglie i testi, stampati su immagini che raccontano ognuno dei nove brani e nell’ultima pagina, i nomi di tutti coloro che in questo bel progetto hanno creduto e lo hanno sostenuto attraverso il crowdfunding.
Ma poi la curiosità ti porta dritto dritto ad “ascoltare” quello che è un disco scritto da un cantautore non improvvisato, che con la musica ha fatto l’amore prima ancora che le appartenesse completamente, forse.
E’ un disco che parla di vita, di gioia, di opportunità e di rinascita. Ogni traccia racconta una storia, una storia vissuta, che si potrebbe vivere o che a volte si è sognata, senza viverla per davvero. E’ un susseguirsi di emozioni, di parole “aggiustate a festa”, messe in ordine quel tanto che basta per poter far compagnia a chi ha ancora qualche dubbio su quanto bella possa essere la vita, anche se a volte sembra indifferente alle nostre richieste e alle nostre necessità.
C’è tutta una vita, in questo disco. Ci sono le origini, le canzoni cantante in dialetto siciliano, ci sono sogni e c’è pure tanto coraggio; quello che serve per arrivare “fino in fondo”, e Fabio Cinque, con questo disco è arrivato non solo dove voleva, ma anche dove “doveva”, ossia a mettere nel suo paniere ciò che sa fare e che merita di essere apprezzato per qualità e pregio espressivo.
Un cantautorato schietto, originale ed appagante, quello di Fabio Cinque che nel disco oltre alla voce, suona la chitarra, il basso, il contrabbasso e il marranzano, conosciuto come “scacciapensieri”. Gli arrangiamenti sono molto ben articolati e la parte acustica, si tiene per mano con la parte più “rock” dove la chitarra la fa da padrone, come nel brano “la strada (che ho)”. Nel disco tanti strumenti e tanti musicisti. Ogni strumento lascia l’impronta negli arrangiamenti scelti per dare la giusta incisività a testi, che spesso nascondono una realtà che è sotto gli occhi di tutti, ma che a volte in molti fanno finta di non vedere.
Fiati e archi, non sono mai usati a caso, e rendono alcuni pezzi “tondi”, completi, raffinati e caldi, come nel caso della traccia numero 4, “ascunta u ventu”, quando la tromba di Emanuele Calvosa, regge la melodia e la trasporta in alto, attraverso note acute e vellutate, che si adagiano poi sul rumore del mare, che chiude il pezzo.
Nel disco c’è un brano, “Nuvole” nel quale i cori sono realizzati da Elisa, la figlia di Fabio Cinque, che, azzardando, potrebbe diventare il tormentone dell’estate. E’ simpatico, accattivante, orecchiabile.
Il pezzo di Rosa Balistreri “cu ti lu dissi”, si distingue per come Cinque lo interpreta, ossia con particolare enfasi, mentre suonano i violini malinconici e passionali di Teresa Giordano e Pasquale Gravina.
Eppure a mio avviso, il pezzo che detta il senso del disco, resta “Ricadi”, già singolo, che racchiude – per testo e sound – la verve e la tempra di Fabio Cinque cantautore, colui che ha un messaggio da consegnare, e lo fa #comesenoncifosseundomani.
Nel disco è ospite Ricky Portera, ma per sapere in che brano ha prestato la sua chitarra, dovrete comprare il disco.
Fatevi un regalo, fate un regalo. Il disco merita, e vi farà bene. Esce il 16 giugno. Vi consegnerà la consapevolezza che all’indifferenza di giorni comuni, esiste sempre un antidoto…basta cercarlo.
Simona Stammelluti

Non ci sta Arisa, al secolo Rosalba Pippa, che malgrado 2 Sanremo vinti, e svariati dischi di platino, è stata snobata dal Wind Music Awards

Non l’hanno invitata.Come se non esistesse nel panorama musicale italiano, eppure Arisa, resta una delle migliori cantanti italiane, capace di grande intonazione e capacità espressiva. Una interprete di tutto rispetto, che meritava di calcare il palco dei Wind Music Awards, evento che premia i nomi più famosi della musica italiana.
E così attraverso i social network Arisa si sfoga con un post che fa riflettere. Racconta che nel mondo della musica di sono “quelli fighi, e quelli no”. Accusa il mondo dello spettacolo, e le sue parole trasudano grande amarezza, soprattutto quando la cantante lucana, nel suo sfogo, attacca dicendo che “non permetterà a nessuno di farle fare la fine di Mia Martini”.
Neanche al “Concertone di Radio Italia”, è stata invitata, insomma è stato come se Arisa, non esistesse come cantante, come Big della musica italiana. E ci sarebbe da guardare l’elenco di quelli che invece sono stati invitati, per i quali – così come Arisa commenta nel suo post – sono state fatte le dovute eccezioni, anche se non hanno vinto i platino, o altro.
Si interroga adesso sul suo cammino, fatto da sempre di sudore e di nessun aiuto, di quel dovercela fare da sola. Ma su una cosa è certa…nessuno le farà fare la fine della grande Mia Martini, che nessuno voleva “in giro” perché portava male, perché era troppo malinconica, perché non era adeguata al circuito.
E se le luci dei riflettori qualcuno decide di spegnerli, forse sarebbe il caso di arrampicarsi ad accendere le stelle, perché una voce bella, che canta bene canzoni piacevolissime, merita di continuare a farlo, a discapito di meccanismi che rispettano forse, solo le regole di un mercato “senza regole logiche”.
Ma spera che andrà meglio, Arisa, e non molla.
E resta la voce migliore del panorama pop italiano, del momento. Anche se qualcuno, fa finta di non saperlo.
Simona Stammelluti

Non ci sta Arisa, al secolo Rosalba Pippa, che malgrado 2 Sanremo vinti, e svariati dischi di platino, è stata snobata dal Wind Music Awards

Non l’hanno invitata.Come se non esistesse nel panorama musicale italiano, eppure Arisa, resta una delle migliori cantanti italiane, capace di grande intonazione e capacità espressiva. Una interprete di tutto rispetto, che meritava di calcare il palco dei Wind Music Awards, evento che premia i nomi più famosi della musica italiana.

E così attraverso i social network Arisa si sfoga con un post che fa riflettere. Racconta che nel mondo della musica di sono “quelli fighi, e quelli no”. Accusa il mondo dello spettacolo, e le sue parole trasudano grande amarezza, soprattutto quando la cantante lucana, nel suo sfogo, attacca dicendo che “non permetterà a nessuno di farle fare la fine di Mia Martini”.
Neanche al “Concertone di Radio Italia”, è stata invitata, insomma è stato come se Arisa, non esistesse come cantante, come Big della musica italiana. E ci sarebbe da guardare l’elenco di quelli che invece sono stati invitati, per i quali – così come Arisa commenta nel suo post – sono state fatte le dovute eccezioni, anche se non hanno vinto i platino, o altro.
Si interroga adesso sul suo cammino, fatto da sempre di sudore e di nessun aiuto, di quel dovercela fare da sola. Ma su una cosa è certa…nessuno le farà fare la fine della grande Mia Martini, che nessuno voleva “in giro” perché portava male, perché era troppo malinconica, perché non era adeguata al circuito.
E se le luci dei riflettori qualcuno decide di spegnerli, forse sarebbe il caso di arrampicarsi ad accendere le stelle, perché una voce bella, che canta bene canzoni piacevolissime, merita di continuare a farlo, a discapito di meccanismi che rispettano forse, solo le regole di un mercato “senza regole logiche”.
Ma spera che andrà meglio, Arisa, e non molla.
E resta la voce migliore del panorama pop italiano, del momento. Anche se qualcuno, fa finta di non saperlo.

Simona Stammelluti

Morire a 22 anni, senza un perché. Questa è la storia di Sara Di Pietrantonio, la ragazza morta semicarbonizzata, all’alba di sabato mattina, per mano del suo ex fidanzato, tra l’indifferenza di automobilisti che non le hanno prestato attenzione

Poco più che una bambina, iscritta alla facoltà di economia dell’Università di Roma tre, aveva una vita da vivere, ed un nuovo fidanzato. Cosa da ragazze della sua età, che si trasformano in esperienza, in percorsi di vita, in scelte consapevoli.
Eppure il percorso di vita di Sara, era già stato minato da tempo,  vittima di quello “stalking” che il suo ex fidanzato, Vincenzo Paduano, le perpetuava da quando la loro relazione – durata poco meno di due anni – era giunta al termine, eppure lui non accettava che lei avesse intrapreso una nuova conoscenza con un altro ragazzo. C’era stato anche un episodio di violenza, che però la ragazza non aveva denunciato. Questo è quanto emerge dai racconti delle amiche di Sara.
Lui, Vincenzo Paduano, 27 anni, guardia giurata, che alla fine ha ammesso il delitto, quello consumato sabato notte, alle prime luci dell’alba, dopo aver seguito la ragazza, che rientrava da una serata con un’amica e quel nuovo ragazzo che stava frequentando. L’ha speronata, costretta a fermasi, aggredita, e poi uccisa.
Sembra che l’uomo controllasse gli spostamenti della giovane donna, attraverso un’applicazione installata sul telefono della ragazza. Grazie a quella, l’uomo quella sera seppe dove fosse Sara, e pertanto gli fu semplice attenderla lungo il tragitto che la riportava a casa.
Paduano aveva con se una bottiglia di alcool – simbolo questo della premeditazione – e dopo la lite, ha cosparso la macchina del materiale infiammabile e vi ha dato fuoco.
La giovane donna è scappata, ma poi è stata raggiunta dall’uomo che l’ha aggredita, forse strangolata (i dettagli si conosceranno oggi dopo l’autopsia) e poi le ha dato fuoco.
La cosa orrenda, è che Sara prima di essere raggiunta dal suo carnefice, ha incrociato su Via della Magliana, almeno due autovetture, che però sono rimaste indifferenti alla richiesta di aiuto della ragazza. Le telecamere situate in loco, hanno non solo ripreso la scena, ma hanno permesso di rintracciare i veicoli transitati sul luogo, i cui conducenti hanno affermato di non essersi accorti che la ragazza avesse bisogno di aiuto.
Eppure erano le 4 del mattino, su una strada poco trafficata a quell’ora e una ragazza che corre e urla, non costituisce certo una scena “normale”, o degna di indifferenza.
E’ stato il procuratore aggiunto di Roma, Maria Monteleone a dichiarare con perentorietà: “Chi incontra una ragazza in difficoltà, non deve girarsi dall’altra parte,  e che questa morte non sia inutile. Due passanti non si sono fermati, e se Sara invece fosse stata soccorsa, se si fosse chiesto aiuto forse sarebbe ancora viva”.
E se si pensa con quanto facilità si chiamano Polizia e Carabinieri per un banale incidente, allora viene da chiedersi se davvero quella di sabato notte, non sia stata una indifferenza “crudele”, per la serie “faccio finta di non vedere, tanto non tocca a me”.
Sara aveva mandato verso le 3 un messaggio alla sua mamma, dicendole che stava facendo rientro a casa, ma a casa purtroppo, non è riuscita a fare rientro. Erano le 5 infatti, quando il suo corpo è stato ritrovato semicarbonizzato.
Vincenzo Paduano, versando anche qualche lacrima, dopo 8 ore di interrogatorio, ha poi confessato di aver ucciso Sara con premeditazione, oltre ad aver commesso il reato di stalking. “Sono proprio un mostro” – sembrerebbe abbia detto l’omicida. Eppure quella notte, dopo aver commesso l’omicidio, con una freddezza disumana, è andato a lavoro, come se nulla fosse accaduto. Gli indizi degli investigatori erano però già chiari. Le telecamere di una ditta di calcestruzzi,  avevano ripreso alcuni dettagli del luogo, come la presenza dell’auto dell’assassino, sul luogo del crimine.
Ancora un caso di “femminicidio”, l’ennesimo. Come se la donna dovesse essere proprietà di un uomo, come se non fosse una creatura capace di scegliere, di dire no. Incoraggiare le ragazze a denunciare, a chiedere aiuto, potenziare i centri di ascolto, di antiviolenza e di educazione affettiva.
I dati ormai sono divenuti spaventosi, fanno paura. E’ora di investire per davvero tempo e denaro, affinché questo terribile fenomeno, non prenda una china troppo ripida per poterlo fermare.
Simona Stammelluti

Morire a 22 anni, senza un perché. Questa è la storia di Sara Di Pietrantonio, la ragazza morta semicarbonizzata, all’alba di sabato mattina, per mano del suo ex fidanzato, tra l’indifferenza di automobilisti che non le hanno prestato attenzione

Poco più che una bambina, iscritta alla facoltà di economia dell’Università di Roma tre, aveva una vita da vivere, ed un nuovo fidanzato. Cosa da ragazze della sua età, che si trasformano in esperienza, in percorsi di vita, in scelte consapevoli.

Eppure il percorso di vita di Sara, era già stato minato da tempo,  vittima di quello “stalking” che il suo ex fidanzato, Vincenzo Paduano, le perpetuava da quando la loro relazione – durata poco meno di due anni – era giunta al termine, eppure lui non accettava che lei avesse intrapreso una nuova conoscenza con un altro ragazzo. C’era stato anche un episodio di violenza, che però la ragazza non aveva denunciato. Questo è quanto emerge dai racconti delle amiche di Sara.

Lui, Vincenzo Paduano, 27 anni, guardia giurata, che alla fine ha ammesso il delitto, quello consumato sabato notte, alle prime luci dell’alba, dopo aver seguito la ragazza, che rientrava da una serata con un’amica e quel nuovo ragazzo che stava frequentando. L’ha speronata, costretta a fermasi, aggredita, e poi uccisa.

Sembra che l’uomo controllasse gli spostamenti della giovane donna, attraverso un’applicazione installata sul telefono della ragazza. Grazie a quella, l’uomo quella sera seppe dove fosse Sara, e pertanto gli fu semplice attenderla lungo il tragitto che la riportava a casa.

Paduano aveva con se una bottiglia di alcool – simbolo questo della premeditazione – e dopo la lite, ha cosparso la macchina del materiale infiammabile e vi ha dato fuoco.

La giovane donna è scappata, ma poi è stata raggiunta dall’uomo che l’ha aggredita, forse strangolata (i dettagli si conosceranno oggi dopo l’autopsia) e poi le ha dato fuoco.

La cosa orrenda, è che Sara prima di essere raggiunta dal suo carnefice, ha incrociato su Via della Magliana, almeno due autovetture, che però sono rimaste indifferenti alla richiesta di aiuto della ragazza. Le telecamere situate in loco, hanno non solo ripreso la scena, ma hanno permesso di rintracciare i veicoli transitati sul luogo, i cui conducenti hanno affermato di non essersi accorti che la ragazza avesse bisogno di aiuto.

Eppure erano le 4 del mattino, su una strada poco trafficata a quell’ora e una ragazza che corre e urla, non costituisce certo una scena “normale”, o degna di indifferenza.

E’ stato il procuratore aggiunto di Roma, Maria Monteleone a dichiarare con perentorietà: “Chi incontra una ragazza in difficoltà, non deve girarsi dall’altra parte,  e che questa morte non sia inutile. Due passanti non si sono fermati, e se Sara invece fosse stata soccorsa, se si fosse chiesto aiuto forse sarebbe ancora viva”.

E se si pensa con quanto facilità si chiamano Polizia e Carabinieri per un banale incidente, allora viene da chiedersi se davvero quella di sabato notte, non sia stata una indifferenza “crudele”, per la serie “faccio finta di non vedere, tanto non tocca a me”.

Sara aveva mandato verso le 3 un messaggio alla sua mamma, dicendole che stava facendo rientro a casa, ma a casa purtroppo, non è riuscita a fare rientro. Erano le 5 infatti, quando il suo corpo è stato ritrovato semicarbonizzato.

Vincenzo Paduano, versando anche qualche lacrima, dopo 8 ore di interrogatorio, ha poi confessato di aver ucciso Sara con premeditazione, oltre ad aver commesso il reato di stalking. “Sono proprio un mostro” – sembrerebbe abbia detto l’omicida. Eppure quella notte, dopo aver commesso l’omicidio, con una freddezza disumana, è andato a lavoro, come se nulla fosse accaduto. Gli indizi degli investigatori erano però già chiari. Le telecamere di una ditta di calcestruzzi,  avevano ripreso alcuni dettagli del luogo, come la presenza dell’auto dell’assassino, sul luogo del crimine.

Ancora un caso di “femminicidio”, l’ennesimo. Come se la donna dovesse essere proprietà di un uomo, come se non fosse una creatura capace di scegliere, di dire no. Incoraggiare le ragazze a denunciare, a chiedere aiuto, potenziare i centri di ascolto, di antiviolenza e di educazione affettiva.

I dati ormai sono divenuti spaventosi, fanno paura. E’ora di investire per davvero tempo e denaro, affinché questo terribile fenomeno, non prenda una china troppo ripida per poterlo fermare.

Simona Stammelluti

Fiesole, 20 agosto 1923. Aveva 92 anni, Giorgio Albertazzi, che dice addio al mondo, dopo una vita dedicata al teatro

Giorgio Albertazzi - foto Ansa -


E’ morto questa mattina, nella sua tenuta in maremma, Giorgio Albertazzi, che da tempo soffriva di cuore. E’ stato uno dei più grandi attori italiani, e l’ultima sua apparizione sul palcoscenico fu con lo spettacolo “Il mercante di Venezia”.
Insieme ad Albertazzi, fino all’ultimo istante di vita, sua moglie Pia, di 36 anni più giovane di lui, sposata nel 2007, davanti a Valter Vertroni, nella chiesetta sconsacrata di Caracalla, quando lui aveva già 84 anni.
E’ stato un grande maestro del teatro, non solo straordinario attore. Giorgio Albertazzi è stato anche regista, sceneggiatore, traduttore, riduttore di romanzi, per la tv, oltre ad essere autore teatrale.
Dal 1989, portava in scena “memorie di Adriano”, che è stato il suo “lavoro simbolo”, ma sognava un “Romeo e Giulietta”, recitato da vecchi attori, come Valeria Valeri.
Quando parlava di “Memorie di Adriano”, raccontava che “durante alcune battute, si emozionava sempre moltissimo, perché gli ricordavano che stava invecchiando mentre riportava alla memoria la giovinezza che tanto aveva amato”.
Note nostalgiche e malinconiche che però ben si coniugavano con la sua vitalità che sembrava inesauribile, anche quando era stanco e stava male, ma saliva lo stesso sul palcoscenico, perché lì – diceva – si sentiva sempre vivo.
La sua carriera iniziò nel dopoguerra, ma il salto avvenne nel 1956, quando incominciò a recitare con Anna Proclemer, che fu anche sua compagna di vita per un ventennio. Spaziava dai classici, come D’Annunzio a Pirandello, sino agli autori contemporanei, come Camus, Fabbri, Moravia.
Considerato da molti, un attore inquieto, rispondeva sempre a tono, anche alle domande scomode, tanto che quando gli domandarono se fosse o meno credente, lui rispose che “detestava pensare che qualcuno potesse consolare o punire”.
“Le mie consolazioni sono i ricordi” – diceva.
“L’arte è nuda – raccontava – è capace solo di far domande, cui non risponde mai”.
Alla notizia della sua morte, anche il mondo politico ha avuto un pensiero per lui.
Il Presidente Mattarella lo ha ricordato come “un attore versatile ed innovativo che durante la sua carriera, ha saputo unire tradizione e modernità”.
Per il premier Renzi, Albertazzi è stato “un artista contemporaneamente classico e controcorrente”.
E poi è stato Gigi Proietti, che all’Ansa ha raccontato come è stato lavorare con lui: “Dirigerlo è stato come suonare uno Stradivari. Consigli non gliene si dovevano dare, ma se anche glielo si fosse dato, lo accettava e lo seguiva”.
Simona Stammelluti

20160519-202851.jpg
Continua il nostro viaggio per conoscere da vicino i candidati che aspirano a governare la propria città. Abbiamo incontrato Angelo Messinese, ultimo in ordine di tempo, a scendere in campo.
Quale motivazione l’ha spinta a candidarsi?
“Principalmente è l ’attaccamento al mio paese la molla che mi ha spinto ad accettare di fare questa battaglia. Ma soprattutto la consapevolezza che il Favara attraversa un momento particolarmente difficile e di fronte a questo ho sentito un grande senso di responsabilità e non mi sono tirato  indietro”.
Perché non si sentiva rappresentato da gli altri candidati? Le ricordo che  Favara non ha mai avuto così tanti aspiranti alla carica di primo cittadino?
“No. Anche se tutti i candidati sono persone rispettabilissime, ritengo che non  abbiano l’esperienza politica e la conoscenza della macchina   amministrativa   che gli possa consentire di, nell’ipotesi di elezione , guidare la città, verso le sfide che attendono il nuovo sindaco”.
A che cosa si riferisce?
“Mi riferisco  al  piano di riequilibrio finanziario che il futuro sindaco dovrà rispettare,  alla situazione dei precari che da qui a poco diventerà esplosiva, alla viabilità cittadina ( PUM),  all’emergenza cimiteriale, la gestione degli impianti sportivi, il mantenimento dei servizi essenziali a favore degli anziani, minori, diversamente abili, mensa scolastica  e a tutti gli altri problemi che il Comune ha”.
D’accordo, sul tavolo tante argomentazioni, non dimentichi che al momento lei è assessore in carica . Cosa avete fatto per risolvere  questi   problemi, e come penserebbe di affrontare questi temi in caso di elezione?
“Non dimentico assolutamente che sono stato chiamato a ricoprire questo quest’incarico in un momento di particolare difficoltà dell’ente. Incarico che ho assunto da un anno ,  consapevole delle immani difficoltà che avrei dovuto affrontare e cosciente che questo sacrificio, da un punto di vista elettorale non avrebbe certo pagato. Altri hanno girato le spalle io non sono fatto così perché ho sempre  anteposto il bene comune al mio mero interesse elettorale. In merito ai problemi che prima ho citato , le dico che prioritariamente conosco la struttura e la composizione del piano di riequilibrio, è penso, anzi sono sicuro, che con una sana gestione amministrativa armonizzata  con la burocrazia comunale rispetteremo le azioni previste dal piano di riequilibrio.
Per gli atri temi, sono convinto che con l’esperienza sin qui maturata (sto parlando del cimitero)con un’efficace gestione delle risorse umane gia presenti, congiuntamente a all’utilizzo di progetti finalizzati, riusciremo a ripartire con la ricostruzione dei loculi. Per quanto attiene la viabilità la mia
Giunta si farà carico della predisposizione  e la realizzazione del nuovo  PUM che prevederà tra le altre cose la realizzazione di aree a  parcheggio che abbiamo gia individuato. Comunque sappi su tutte le questioni abbiamo le idee chiare e in caso di elezione sapremo subito fronteggiare i problemi”.
Lei afferma di avere le idee abbastanza chiare e con  un po’ presunzione afferma  di essere in grado di  risolvere i problemi del paese. Ma in quest’anno di amministrazione ci vuole dire cosa ha fatto
“Io personalmente con la mia delega tra le mille difficoltà sono riuscito a garantire a 68 precari il mantenimento del posto di lavoro, ancora grazie alla collaborazione di tutti i cittadini abbiamo realizzato la raccolta differenziata, raggiungendo addirittura  un riconoscimento prestigioso da parte del Ministero dell’Ambiente e da Legambiente quale miglior comune della Sicilia per raccolta differenziata. Insieme all’università di Palermo abbiamo stipulato un protocollo d’intesa che vedrà Favara centro nevralgico rispetto alla formazione e alla cultura accogliendo  tanti giovani universitari nei locali dell’ex mattatoio, finalmente anch’essi  riaperti e dati fruibili alla città. Infine solo  perché e un progetto  ultimato in questi giorni , la realizzazione di un percorso turistico da fruire con l’utilizzo del trenino elettrico”.
Lei afferma di avere raggiunto questi risultati, ma l’attività amministrativa si è fermata a ciò.
“Abbiamo,dal che se ne dica, operato proficuamente, portando a compimento tanti progetti e iniziato molteplici attività. Sulle iniziative intraprese, in quanto non ultimate non vorrei parlare, ma di quelle ultimate posso dire: abbiamo restituito la biblioteca alla città; riqualificato piazzetta Carmine,  ridefinito i confini di “Favara Ovest”, ancora si è dato vita ai mercatini rionali, la Coldiretti in Piazza Cavour  e piazzetta della Pace, il mercatino delle pulci in Piazza della Vittoria e ultimato l’iter autorizzativo per la metanizzazione…e tanto altro.  Ma la cosa più importante  è essere riusciti a non far fallire questo paese con una sana gestione, mettendo in atto il piano di riequilibrio”.
A questo punto  vorrei stuzzicarla con una domanda provocatoria: si dice che dietro la sua candidatura vi sia la longa manus del sindaco uscente Rosario Manganella, addirittura si vocifera che nell’ipotesi di una sua elezione diverrà il suo vice sindaco?
“Fermo restando il mio affetto e il rapporto umano che mi lega al mio sindaco, è doveroso precisare che il sindaco uscente è un esponente del PD e come tale concorre con propri candidati all’elezione al consiglio comunale. E’ chiaro quindi che Rosario Manganella potrà diventare  vice sindaco solo se la Bruccoleri vincerà le elezioni”.
Un chiarimento su una sia proposta che è parsa risuonare troppo eclatante. Mi riferisco al progetto di riapertura della scuola media Mendola entro un anno dalla sua elezione. Non le sembra azzardata come spot?
“Non è uno spot, ma oltre a riaprire la scuola, i locali in eccesso  saranno utilizzati anche come uffici comunali e questo ci consentirà di ridurre sensibilmente  i costi degli affitti che attualmente il comune sostiene, ampliamo le aree destinate a parcheggio anche nelle  ore notturne in occasione dei numerosi eventi che si creano a Favara. Contestualmente abbatteremo le mura della villa  Stefano Pompeo per un a diversa e migliore fruizione di questo incredibile spazio affinché possa diventare per i giovani  un altro luogo di aggregazione sociale”.
Come di rito ora le faccio l’ultima domanda: perché i cittadini di Favara devono votare Angelo Messinese?
“Chiedo di essere votato perché ritengo essere un uomo politico che ha guardato sempre agli interessi della sua Città, ha provato ad impegnarsi a risolvere taluni problemi del paese, alle volte riuscendoci alle volte no; oggi penso che la mia esperienza, sin qui maturata, può essere messa a disposizione del paese. Chiedo di essere votato perché sin d’ora prometto alla cittadinanza di non sottrarmi  dall’ impegno giornaliero per la risoluzione dei problemi del paese e lotterò con tutte le mie forze per  mantenere e possibilmente stabilizzare i precari della pianta organica del comune di Favara”.
Grazie e in bocca al lupo!