Simona Stammelluti, Autore presso Sicilia 24h - Pagina 75 di 90
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Pioggia di meteoriti questa sera. Si chiamano Orionidi e sono le stelle cadenti autunnali. Stanotte dunque, tutti con il naso all’insù per godere dello spettacolo a “cielo aperto”

Questa sera il cielo ci regalerà un vero e proprio spettacolo astronomico che in condizioni ideali, ossia senza nuvole, si potrà tradurre in una eccezionale pioggia di stelle cadenti ottobrine, visibili bene dall’Italia.

Sono proprio le meteore Orionidi, ad essere le protagoniste del mese di ottobre. La più famosa è conosciuta come Cometa di Halley, ma per rivederla si dovrà attendere il 2061, mentre questa sera, ed anche nella notte di domani 22 ottobre, saranno visibili “i frammenti” della cometa di Halley, la scia di polvere stellare che da secoli vaga nel sistema solare e che è stata visibile dalla terra l’ultima volta nel 1986.

Lo spettacolo delle meteore Orionidi si rinnova ogni anno, quando l’orbita terrestre incontra la scia di polveri che – come si è detto – deriva dalla famosa cometa. Chi dovesse perdersi questo spettacolo nella notte di oggi, potrà provarci fino al prossimo 7 di novembre, anche se solo tra stanotte e domani notte, a cadere sotto i nostri occhi saranno circa 25/30 stelle all’ora.

Non è solo una bella occasione per alzare gli occhi al cielo, ma anche una possibilità di godere della suggestione che da sempre le stelle cadenti recano in se, anche se questa notte, la luce lunare, potrebbe interferire con lo spettacolo che si attende, oltre al fatto che al centro sud, le nuvole – con annessi temporali – potrebbero essere un ulteriore ostacolo.

Ma se si volesse seguire in ogni caso lo spettacolo, non c’è problema; basta collegarsi al sito della Nasa, potendo così vedere in diretta il passaggio delle meteore. Per i più coraggiosi che vorranno sfidare le ore piccole e il freddo ormai pungente di un autunno inoltrato, nessuna precauzione, se non una sveglia puntata alle 4 e 00 ed una copertina da tenere sulle spalle, durante lo spettacolo.

Simona Stammelluti

Cosenza – Arrestato nel pomeriggio Roberto Porcaro, uno dei mandanti dell’omicidio di Luca Bruni. L’uomo è stato rintracciato in Via degli Stadi a Cosenza, mentre era a bordo di un’ auto sportiva

Grazie alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia Daniele Lamanna, Franco Bruzzese e Adolfo Foggetti – tra gli esecutori materiali dell’omicidio di Luca Bruni assassinato il 3 gennaio 2012, i cui resti fuori rinvenuti sepolti in un terreno nell’agro di orto Matera in Castrolibero, il 18 dicembre 2014 – la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro attualmente diretta dal Dottor Nicola Gratteri , ha emesso l’ennesimo ordine di custodia cautelare in carcere per due altri presunti mandanti dell’omicidio di cui sopra.

Trattasi di Patitucci Francesco classe ’61, già detenuto per altra causa e di Porcaro Roberto, classe ’84 già noti alle forze dell’ordine e agli organi inquirenti quali elementi di vertice della confederata cosca italiana “Lanzino-Patitucci”, “Rango-Zingari”. L’arresto è avvenuto nel tardo pomeriggio di oggi, 19 ottobre, ad opera degli uomini del Comando Provinciale diretti dal Colonnello Fabio Ottaviani e dal capitano Giuseppe Sacco, lo stesso peraltro di recente assunto al comando del Nucleo Investigativo.

Quest’ultima ordinanza giunge a pochi mesi dalla sentenza della Corte d’Assise di Cosenza che, riconoscendo appieno la validità e l’efficacia delle attività investigative condotte dagli uomini del Comando Provinciale Carabinieri Cosenza, vedeva già condannati ad 11 anni di reclusione Bruzzese Franco e Daniele Lamanna che hanno potuto usufruire dei benefici di legge riservati ai collaboratori di giustizia che forniscono una eccezionale contributo agli inquirenti.

Ma già prima, si erano registrate durissime sentenze di condanna anche nei confronti dell’altro co-imputato Rango Maurizio (pena dell’ergastolo) e quella dello stesso collaboratore Foggetti Adolfo, sebbene molto mitigata sempre dai benefici di legge previsti per i collaboratori di giustizia così come si è verificato per il Bruzzese e il Lamanna.

Grazie alle attività svolte sono stati inferti gravissimi colpi alla ‘Ndrangheta cosentina, che ha visto una sequela di ex uomini d’onore, o presunti tali, decidere di intraprendere la strada della collaborazione piuttosto che scontare anni ed anni di galera, se non anche finire la propria vita come il malcapitato Luca Bruni, reo di aver assunto il ruolo direttivo dell’omonima famiglia di mafia, subito dopo il decesso per cause naturali, del più lungimirante Michele Bruni, inteso come “bella bella”.

Simona Stammelluti

Avvenne lo stesso quando nel lontano 1997 a vincente quel prestigioso premio alla letteratura – rilasciato dall’accademia di Svezia che annualmente premia chi si è maggiormente distinto nel campo – fu Dario Fo, tra l’altro scomparso lo scorso 13 ottobre, a 90 anni, proprio nel giorno in cui il premio che fu suo, è stato consegnato (per ora ancora virtualmente) al cantante e compositore statunitense Bob Dylan che, a quando sembra, era in “lizza” o magari potremmo dire in “lista d’attesa” da circa un ventennio, proprio da quando fu Dario Fo a portare a casa il premio.

Singolare la reazione della star, che neanche una parola ha speso sul riconoscimento del quale è stato investito ed ha continuato a portare in giro il suo “Never Ending Tour“, come se nulla fosse successo e come se tutto il clamore, lo stupore, i commenti pro e contro, in merito alla sua vittoria, non lo riguardassero affatto.

Snobismo o timidezza?

Sembra sprofondato in un singolare silenzio o sotto la falda del suo cappello, e probabilmente con se stesso si sarà congratulato mentre si faceva la barba all’indomani del suo nome dato in pasto al mondo.

75 anni, cantautore prolifico, che mai si è fatto attendere, vince il Premio Nobel per la Letteratura proprio quando la sua vita artistica “si allarga”, quando decide di dedicarsi alla tradizione della canzone americana, quando accantona quel suo cantato spesso imperfetto anche nella dizione e in maniera “impeccabile” canta Sinatra, come se volesse prendere le distanze da quel suo passato così impegnativo, che – guarda caso – gli ha consegnato un Premio Nobel. Ed anche se qualcuno ha osato ipotizzare che il cantante possa rifiutare il premio, che ci piaccia o no, a Bob Dylan l’accademia svedese quel premio glielo ha con la motivazione di “avere creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana“. E subito si pensa a brani come “Mr. Tamburin Man“, mentre i suoi dischi schizzano in cima alla classifica dei più venduti e in tanti ancora non si spiegano cosa c’entri Dylan con la letteratura.

Può c’entrare la “natura letteraria” dei testi delle sue canzoni?
C’entra l’essere popolare, ossia quella capacità di arrivare alle masse attraverso un messaggio?

Forse sarebbe il caso di fare un passo indietro, anzi due.

Prima di tutto nella definizione di “letteratura” che prevede “l’insieme delle opere variamente fondate sui valori della parola e affidate alla scrittura, pertinenti a una cultura o civiltà, a un’epoca o a un genere“.

Beh, se stiamo alla definizione letterale della parola “letteratura” allora Bob Dylan e l’insieme delle sue opere, sono “più che pertinenti alla civiltà e all’epoca“, considerato che, Nobel a parte, le strofe di alcune sue canzoni resteranno immortali.

Pensiamo a “Master of War” del 1963:

Voi che vi nascondete dietro i muri,
ciò che vi nascondete dietro le scrivanie,
Voglio solo che sappiate
che posso vedere attraverso le vostre maschere
“.

Oppure “The Times they are a changing”del 1964, che sembra profetica per quando è attuale:
Là fuori sta infilando una battaglia,
e presto scuoterà le vostre finestre,
e farà tremare i vostri muri,
perché i tempi stanno cambiando
“.

Eppure a più di qualcuno questo premio consegnato a Dylan non è andato giù. Dicono non essere in linea con il significato di letteratura, che non produce gli stessi effetti di una poesia o di un testo letterario.

Ma cosa intendeva premiare veramente, chi questo premio lo ha ideato? Il suo autore è Alfred Nobel e tutto risale al 1895 e alla sua idea di premiare chi avesse condotto le sue opere in una direzione “ideale” ossia “che è propria di una idea che può essere considerata modello“.

E chi lo stabilisce cosa può essere considerato un modello?

Viene da domandarsi perché in passato il premio Nobel non sia andato a Pier Paolo Pasolini che quanto ad opere ideali ne aveva prodotte a profusione o se parliamo di ambiente musicale, a Fabrizio De Andrè, la cui poetica ha incantato ed istruito intere generazioni non solo in vita ma anche in forma testamentaria.

Alla letteratura, alla poesia, ci si deve abbandonare, non la di deve comprendere per forza o fino in fondo. Va usata come un retino nelle cui maglie più grosse restano impigliati i dettagli poi grandi, quelli che occupano più spazio, quello che colpiscono per sensazione, oltre che per senso.

E dunque basterebbe provare a “prendere tempo“, per analizzare bene il peso dei testi di Dylan nel contesto più generico di letteratura e sfido un po’ tutto il mondo letterario mondiale a raccontare cosa sa per davvero di quei messaggi, che non sono certo passati dal retino di ognuno.

E si sbaglia, forse, a pensare che la letteratura sia qualcosa di così artefatto da non essere fruibile a tutti. La letteratura non si pesa in carati di difficoltà ma in gradi pertinenza ad una cultura e alla sua relativa civiltà.

Perché le poesie hanno tanti ingressi ed altrettanti fori di uscita: non sempre ciò che è completamente buono, viene apprezzato, ma al contrario ciò che arriva meglio, diventa migliore.

La capacità di arrivare alla civiltà – così come recita il significato di letteratura – detta le regole di “modello” che era alla base del desiderio del signor Nobel.

Simona Stammelluti

Si celebra oggi 11 ottobre, la Giornata Internazionale dei Diritti delle Bambine e delle Ragazze proclamata dall’Onu, ed intanto i numeri di abusi, violenze e discriminazioni, sono preoccupanti e crescono di ora in ora

Sono milioni le bambine che nel mondo vengono violentate, abusate, alle quali vengono negati i diritti indispensabili come la salute, la cultura, condannate a mutilazioni genitali, o a maternità precoci e rischiose, dopo essere state date in sposa, ancora in età adolescenziale, a uomini spesso molto grandi di loro e a volte anziani.

Dati che fanno orrore, e le organizzazioni come Save the Children o Terres des Hommes, Unicef, Unhcr, provano in tutti i modi a tenere accesi i riflettori su questa vicenda, pubblicano rapporti e lanciano campagne in difesa di quelle bambine che ogni anno (circa un milione) diventano madri prima di compiere i 15 anni, o per le oltre 70 mila ragazzine che muoiono di parto per complicazioni.

Eppure le principali cause di morti delle bambine di Nigeria o India resta disperatamente il suicidio, calate come sono in un contesto di totale privazione e di mancanza di qualsivoglia possibilità. Perché vivono non solo in una povertà materiale, in una arretratezza che viene scambiata pe tradizione, ma anche in povertà culturale, in mancanza quasi assoluta di risorse economiche, condizione nella quale la vendita di una bambina ad un marito, diventa per assurdo una risorsa.

In Libano, per esempio le giovani profughe siriane, vengono cedute ai proprietari terrieri, in affitto.

In Giordania,  tra le ragazze rifugiate, una su 4, tra i 15 e i 17 anni risultano già sposate.

Ma il record spetta all’India, dove si conta il maggior numero di spose bambine; il dato si attesta intorno al 47 per cento.

Nel mondo i paesi migliori dove essere bambini sono i paesi del nord Europa: Svezia, Finlandia, Norvegia. E poi l’Italia che è al decimo posto. I paesi delle spose bambine sono giù in fondo alla classifica. Chiude la Nigeria.

I matrimoni precoci innescano un circolo vizioso di ostacoli oggettivi che negano alle bambine e alle ragazze quelli che sono diritti fondamentali al vivere. Nessuna di loro può realizzare un sogno, ma neanche coltivarlo. Si sposano, abbandonano la scuola, subiscono spesso violenze domestiche, stupri e poi rischiano di divenire vittime di gravidanze precoci, con conseguenze spesso gravi sia sulla propria salute che su quella dei nascituri, oltre ad essere perennemente esposte al rischio di malattie sessualmente trasmissibili come l’Aids.

Anche quest’anno è partita la campagna #indifesa lanciata proprio da Terres des Hommes, per garantire alle bambine e alle ragazze di tutto il mondo una “protezione” da violenza, discriminazione, abuso, difendendo non solo la loro vita, ma anche la loro libertà all’istruzione, rompendo il ciclo della povertà, attraverso interventi sul campo.

Simona Stammelluti

Cosenza – Era stato abbandonato in un seggiolino per auto sui sedili posteriori di una Fiat Punto, parcheggiata nel parcheggio del supermercato Carrefour sito in località Malavicina di Zumpano

Erano le ore 10,45 di oggi 11 ottobre, quando i Carabinieri dell’Aliquota Radiomobile della Compagnia di Cosenza,  si recavano nel suddetto parcheggio, notando che i finestrini dell’auto erano sigillati e che al suo interno vi era il neonato da solo.
Hanno pertanto provveduto a forzare lo sportello che, una volta divelto, ha consentito l’immediato ricircolo dell’aria all’interno dell’abitacolo, permettendo così al piccolo di poter ossigenarsi.
E’ stato altresì allertato il personale del 118. I sanitari una volta giunti sul luogo, hanno provveduto a visitare il neonato, riscontrandolo – fortunatamente – in buona salute.
E’ stata avviata immediatamente attività d’indagine, anche attraverso la visione dei filmati degli impianti di videosorveglianza, ed è stato così possibili identificare i genitori  – due coniugi tunisini di 42 e 36 anni – che sono stati prontamente rintracciati all’interno del supermercato intenti a fare la spesa.
Fermati, sono stati dichiarati in stato di arresto per il reato di abbandono di minori aggravato da legame genitoriale e tradotti presso la loro abitazione in regime di arresti domiciliari, in attesa di essere sottoposti a giudizio per direttissima.
Simona Stammelluti

Probabilmente l’aggressione con una bomba molotov è stata consumata da qualcuno che non gradiva la presenza dei due senzatetto, un uomo ed una donna, che dormivano in  una tenda montata all’interno di un casolare nel quartiere Ciaculli

Sono razzisti di nuova concezione, sono balordi che si divertono solo aggredendo, molestando, ferendo – a volte a morte – coloro che reputano dover stare lontani dai loro quartieri. E così usano il fuoco per allontanare anziani, barboni, senza tetto. Appiccano fuochi, scatenano incendi, rischiando di ammazzare le loro vittime, o nella migliore delle ipotesi, causare loro ustioni talmente gravi, da soffrire tra i dolori più atroci.

E’ quello che è accaduto a Palermo, dove la scorsa notte un gruppo di criminali, armati di molotov (bottiglie riempite di benzina, con alla sommità uno stoppino al quale viene dato fuoco e che quindi innesca un incendio, a seguito di esplosione) hanno preso di mira due fidanzatini di 22 e 20 anni, che versano adesso in gravi condizioni.

E solo pochi giorni fa, a Siracusa ad essere aggredito è stato un ambulante 80enne, che ancora è in bilico tra la vita e la morte. E’ caccia serrata ai quattro dei branco, che hanno picchiato l’anziano signore per poi dargli fuoco.

Ma mentre il procuratore di Siracusa assicura che “non si brancola nel buio, e che si è sulle tracce dei 4 bulli”, grazie anche alle riprese di alcune telecamere della zona, per il caso dei due ragazzi di Palermo, la situazione è un vero e proprio rompicapo. I due ragazzini si erano rifugiati in un casolare parecchio fuori mano, all’interno del quale avevano montato una tenda modello igloo e avvolti in una coperta, dormivano, quando da un accesso al casolare è stata lanciata la molotov, scatenando nella tenda, un vero inferno.

Probabilmente, sono stati gli stessi aggressori a chiamare il 118, che giunto sul posto, ha trovato i due giovani in condizioni gravissime.
I vigili del fuoco, giunti anch’essi sui luoghi dove si è consumato l’incendio, hanno scoperto che all’interno del casolare vi erano anche delle bombole di gas, ciò significa che si è sfiorata una vera e propria tragedia.

Un motivo in più per rintracciare gli autori di quel gesto di violenza e razzismo verso i due fidanzatini, che qualcuno voleva cacciare dal quartiere Ciaculli di Palermo, sperando di capire quanto prima il perché di tanto odio.

Un nuovo modo per alimentare violenza, in una terra nella quale già lo scorso anno, in pochi mesi, altri 4 barboni avevano rischiato di morire per atti simili a quelli consumati negli ultimi giorni.

Una violenza che va fermata, prima che si trasformi in una nuova scia di morte e terrore.

Simona Stammelluti

L’unica esplosione che un bambino dovrebbe sentire è quella di un palloncino, magari durante una festicciola tra amici. Ed invece loro, i bambini di Aleppo, sono prigionieri di una guerra senza esclusione di colpi, e le esplosioni che arrivano fin dentro le loro abitazioni, sono un incubo che non dissolve all’alba.

Dovrebbero pensare solo ad andare a scuola, ma per loro non ci sarà nessun inizio di anno scolastico. Uccisi dalle bombe negli scantinati, nelle loro stesse case, in quei luoghi dove cercano disperatamente rifugio.

Aleppo, nel 2006 è stata la prima città a fregiarsi del titolo di “capitale culturale del mondo islamico”, già città annoverata come patrimonio dell’Umanità.

Sull’umanità e sulla cultura, Bombe, carneficina.
Senza pietà.
Un bagno di sangue.
Nessun lieto fine.

Sono più di 300 i bambini vittime di questo orrore che non accenna a finire. 96 bambini uccisi, oltre 200 quelli feriti gravemente.  Sono loro, i più piccoli, le vittime di questi bombardamenti. Loro, i bambini … intrappolati in un vero incubo. Loro, i bambini che restano spesso sotto le macerie, che non possono essere aiutati e salvati perché manca tutto, o perché quel poco che c’è purtroppo non è sufficiente e molti sono costretti a morire solo perché il destino li ha classificati come esseri umani di “serie B”. Alcuni vengono lasciati morire.

Gli ordigni utilizzati sono progettati proprio per devastare luoghi piccoli. L’utilizzo degli stessi sugli ospedali, dovrebbe essere contemplato tra i crimini di guerra.

Gli occhi che guardano da vicino quel che accade sono anche i nostri. Esiste una disumana noncuranza nell’assistere inermi alla sofferenza gratuita e spietata che gli occhi dovrebbe farli lacrimare dal dolore, mentre il cuore viene trafitto dalla lama sottile ed affilatissima di una violenza che non si può e non si deve giustificare.

La tregua non arriva mai. Le grandi potenze giocano a chi è più forte, con la vita dei civili, con i figli di nessuno, che invece sono figli di tutto il mondo che purtroppo resta a guardare.

“Bastano 48 ore di tregua” – dice la Russia.
“No, la tregua deve essere di 7 giorni” – dicono gli Stati Uniti.
“7 giorni di tregua ad Aleppo sono inaccettabili, i terroristi  possono riorganizzare le forze” – dice la Russia.
Usa accusa Mosca: “Negoziati in terapia intensiva”.

La verità è tutto questo accade sotto gli occhi del mondo intero. Non c’è più tempo, non esistono più alibi. Va fermato questo massacro subito, perché ogni ora che passa, senza un “cessate il fuoco”, muoiono sempre più innocenti.

Lo scenario è sempre più drammatico. In Siria, punto da sempre strategico del Medio Oriente,  è come se si combattesse una guerra mondiale a livello locale… città distrutte, un paese in ginocchio. Uno scenario nel quale interessi economici, crociate religiose, stratagemmi apparentemente (in)comprensibili coinvolgono attori internazionali che spesso si defilano da responsabilità. La posta in gioco è ridisegnare il Medio Oriente, limitando l’ascesa dell’Iran e le interferenze russe e cinesi, oltre a porre un freno alla lotta sciiti e sunniti. Si defilano in questo scenario gli Stati Uniti – insieme a Francia, Inghilterra, Turchia, Arabia Saudita – che armano e supportano i ribelli anti-Assad,  mentre dall’altra parte c’è la Russia, con l’Iran e in maniera defilata anche la Cina, che supporta le forze filogovernative di Assad.

La Cina è affamata di petrolio, è il primo importatore al mondo, quindi ha interessi ad esserci, in Medio Oriente; L’Iran, nel post Saddam Hussein ha aumentato la propria influenza strategica in Medio Oriente; La Siria è un crocevia di armamenti, che giungono ai guerriglieri sciiti presenti nel sud del Libano, acerrimi nemici di Israele. I guerrieri sciiti (Hezbollah), sono massicciamente presenti in Siria e stanno combattendo al fianco delle truppe filogovernative.

Questa guerra difende le grandi potenze, tutte intente a difendere i propri piani e i propri interessi geostrategici. E poi c’è il gioco mediatico, quello più perverso, che consiste nell’enfatizzare i crimini del nemico. Ma i crimini sono commessi da entrambe le parti. Entrambe le parti commettono atrocità.

La strage degli innocenti sembrava una cosa che dovesse appartenere ad un passato fin troppo remoto, ed invece basta guardare un qualsiasi notiziario per imbattersi in una molteplicità di “Erode” moderni, che continuano a progettare lo sterminio del genere umano. Ma questa volta lo sterminio non rimarrà solo in affresco di Giotto.

In Siria, sembra che Assad voglia distruggere il suo popolo, compreso i bambini, innocenti, ma colpevoli forse, di poter essere nemici futuri, da annientare, il prima possibile.

Ed invece va fermato il massacro.
Adesso.

Simona Stammelluti

Doveva essere una vacanza, si trasformò in una tragedia. I suoi genitori non hanno mai odiato la terra nella quale il loro bambino fu assassinato, decisero di donare i suoi organi; a Cosenza un parco dedicato a lui

Aveva 7 anni Nicholas Green, quel 1° ottobre del 1994, quando, diretto in Sicilia con i suoi genitori Reginal e Margaret e la sorellina Eleonor di 4 anni, venne assassinato, colpito da una pallottola vagante, sul tratto autostradale della A3, Salerno-Reggio Calabria, nel tratto tra Mileto e Vivo Valentia. La macchina sulla quale viaggiavano venne scambiata da alcuni rapinatori per quella di un gioielliere, che tentarono un furto, poi degenerato in omicidio.

Nicholas, ferito gravemente, fu trasportato all’ospedale di Messina, dove morì due giorni dopo. I suoi genitori autorizzano l’espianto degli organi, dei quali beneficiarono sette italiani, tra cui anche 4 adolescenti.

Una storia che commosse tutti, e proprio mentre la Calabria e i calabresi si vergognarono per quello che era accaduto al ragazzino statunitense, innamorato di natura, di storia e mitologia, suo padre Reginal e la mamma Maggie, non hanno mai odiato questa terra, anzi più volte vi sono tornati, ed hanno sempre sostenuto che quello che è accaduto in Calabria, sarebbe potuto accadere ovunque.

Hanno avuto il coraggio di donare gli organi del loro Nicholas, in un periodo storico nel quale l’Italia era il fanalino di coda in quanto a donazioni e trapianti, e quel gesto così sentito e “generoso”, fece aumentare gli episodi di donazione in tutto il paese ed oggi, grazie anche ai convegni che ogni anno si tengono sull’argomento, L’italia è schizzata in cima della classifica europea.

In seguito a quel gesto, i signori Green, ricevettero la medaglia al valore civile. Reginal Green scrisse anche due libri, uno sulla storia che vide protagonista la sua famiglia, “Il dono di Nicholas, e l’altro “Il dono che guarisce”, che contiene storie di persone comuni che fanno i conti con l’attesa di un trapianto.

Per quel delitto furono indagati e rinviati a giudizio Due uomini calabresi di Mileto, in provincia di Vibo Valentia; Francesco Mesiano di 22 anni e Michele Iannello, 27 anni. Nel 1998 la corte d’assise d’appello di Catanzaro, condannò Francesco Mesiano a 20 anni di reclusione, e Iannello – autore materiale dell’omicidio – alla pena dell’ergastolo, sentenza che fu poi confermata dalla cassazione.

Tanti i tributi dedicati a Nicholas Green, in Calabria. Tra gli altri anche un parco giochi a San Vito dei Normanni, una scuola media a Rosarno, ed un parco verde proprio al confine tra Rende e Cosenza.

Papà Reginal e mamma Maggie sono tornato spesso in Calabria – insieme alla figlia Eleonor e ai due gemelli nati un anno e mezzo dopo la morte di Nicholas –  non per maledire la terra di Calabria, ma per prendersi l’abbraccio della gente che non ha mai dimenticato, che ricorda ancora con commozione ed affetto il piccolo Nicholas, quel suo sorriso e le sue lentiggini.

Saranno prossimamente ancora in Italia a Roma, proprio ad uno dei tanti convegni per sensibilizzare sull’argomento “donazione”.

Chissà come sarebbe oggi Nicholas alla soglia dei trent’anni.
Chiss se se amerebbe ancora la mitologia e il sud Italia.

Simona Stammelluti

  • “In teatro a Cosenza si accreditano Gazzetta, Quotidiano, Rai, Ten, Radio Juke Box, Rlb, Jonica Radio. Cioe’ chi ci fa la promozione e ci aiuta a vendere biglietti. Funziona così”.

Questo è il messaggio di risposta di uno degli organizzatori di eventi più in voga in Calabria, alla richiesta di un accredito fatto dalla testata giornalistica Sicilia24h, affinché un inviato della stessa, potesse assistere – e poi recensire – un evento che si svolgerà al teatro Rendano di Cosenza il prossimo 18 novembre.
Si specifica che la testata siciliana, ha una rubrica di settore, che tratta di musica, spettacolo, arte e cultura, all’interno della quale vengono recensiti spettacoli, concerti, dischi, libri, film, mostre, eventi, oltre ad ospitare interviste a personaggi del mondo della musica, dell’arte, dello spettacolo.

Ma facciamo un passo indietro.

L’accredito stampa nasce per “ospitare” all’interno di un evento culturale o sportivo, rassegne e meeting di settore, giornalisti, fotografi e addetti ai lavori, che siano inviati di testate giornalistiche, oppure freelance, con l’unico scopo (ma a quanto pare non più solo quello) di utilizzare i canali della stampa cartacea e online, riviste specializzate, blog, reti televisive e radiofoniche, per “divulgare” l’evento in oggetto, recensirlo, far conoscere al grande pubblico non solo gli artisti e i loro progetti, ma anche le realtà che ospitano alcuni progetti artistici, le capacità di alcuni organizzatori, nonché le materie in oggetto all’evento stesso.

Se per esempio nasce un nuovo festival di musica country in un luogo dove si sa poco e nulla di quel genere, la diffusione della notizia del nuovo festival – e poi a seguire ciò che in esso si sarà consumato – spetterà ai mezzi di stampa.
C’è anche da specificare che i “grandi eventi” di solito vengono supportati da quello che si chiama “ufficio stampa”, ossia un gruppo di giornalisti professionisti, che si occupa non solo di redigere regolare comunicato, ma anche di diffonderlo tra gli organi di stampa, affinché siano pubblicizzati quanto più copiosamente possibile. Di solito è lo stesso ufficio stampa che “valuta” la possibilità di concedere o meno un accredito ad un giornalista, ad un inviato, ad un fotografo, ad una testata, in base a quella che è “il ritorno” che l’evento può avere dalla presenza o meno tra il pubblico, di quel preciso giornalista, di quel critico, di quella testata.

Altro importantissimo punto da sottolineare è che in Italia, sono pochissimi i ciritici, gli esperti di musica e i giornalisti “di settore” capaci di recensire “come si deve” un evento, un concerto, uno spettacolo teatrale. E per “come si deve” si intende “con competenza”. La competenza deriva dagli studi intrapresi, ma anche e soprattutto dalla conoscenza dettagliata di una specifica materia, che si nutre di esperienza condotta “per anni” nell’ambito richiesto, oltre ad una discreta dose di passione, che spinge a ricercare dettagli sconosciuti ai più.
Pertanto sarà difficile trovare giornalisti di settore validi “dappertutto”, giornalisti validi che possano con competenza e “credibilità” raccontare un concerto, recensirlo e dire cosa in esso si sia consumato “per davvero”, senza limitarsi ad un raccontino di piacimento.
Spesso accade che siano gli organizzatori stessi ad inviare alle testate il “resoconto” della serata, bello impacchettato, giusto da copiare e diffondere. Ma sono diverse le testate – e quasi sempre sono quelle che hanno una rubrica e giornalisti di settore, ed il Sicilia24h è una di quelle – a rifiutarsi di pubblicare comunicati di eventi, svoltisi senza che il proprio inviato sia stato presente.

In questo ambiente ci si fa “il nome”, come si suol dire, e le recensioni scritte da alcuni critici, hanno un peso determinante per un artista, così come alcune interviste che riescono a dare all’artista stesso la possibilità di raccontarsi oltre quello che già è noto al grande pubblico.

Eppure ci sono delle situazioni particolari, come quella che sottoponiamo oggi ai nostri lettori. Ci sono degli eventi e dei concerti che si “vendono praticamente da soli”, che non hanno certo bisogno di grande pubblicità per riempire un teatro, soprattutto se – come nel caso del concerto di Danilo Rea con Gino Paoli e Sergio Cammariere, che si svolgerà in una cittadina come Cosenza, nel teatro che raccoglie le masse. Eppure nel caso del concerto del 18 novembre, così come si legge in principio di articolo, gli accrediti vengono concessi a chi “fa vendere i biglietti”. E da quando il compito di una testata giornalistica è quello di “far vendere i biglietti”?

Quindi l’accredito stampa non spetta a chi – avendone le capacità – accede ad un evento per assistervi e poi raccontarlo – alimentando una “pubblicità” verso un evento, un artista, una organizzazione – ma a chi “fa vendere i biglietti”.
Pertanto il Sicilia24h – giornale online gratuito, al 9° posto nella classifica generale – che non ha fatto vendere nessun biglietto, non ha diritto all’accredito, stando a quanto risposto dall’organizzatore dell’evento.

Vi immaginate quanti soldi dovrebbe sborsare una testata come la nostra, per concedere al suo inviato nazionale, di lavorare, ossia di recensire concerti, spettacoli teatrali, mostre, ecc?
Per poter lavorare, un giornalista di settore, deve avere “quasi sempre” un accredito, soprattutto se la sua penna ha lavorato già tanto nel settore, se è un critico credibile, con una esperienza come quella raccontata poco più sopra.
Ed invece no. Per chi ha risposto alla nostra richiesta di accredito, non funziona così.

In sala dunque, in 4 fila (perché di solito le prime tre sono riservate alle autorità e rispettive famiglie che di sicuro di biglietti non ne hanno fatti vendere) ci saranno solo la Rai, la Gazzetta, il Quotidiano, Ten, Radio rlb, Jonica radio.
Aspetteremo dunque di vedere i servizi che saranno realizzati dalle suddette testate, post-concerto.

Nella mia vita ho visto tanti concerti, ne ho recensiti altrettanti. Molto spesso ho rifiutato inviti (accredito) di amici musicisti, attori e simili, ed ho pagato il biglietto, per il piacere di farlo, per incoraggiare alcuni circuiti come quelli culturali di associazioni che fanno tanto per il territorio, che mirano alla diffusione di una “materia prima” culturale che dista di molto, da tutto ciò che è commerciale e dunque facilmente commercializzabile.
Ma per fare il mio lavoro, ho bisogno di un accredito; per seguire una rassegna, ho bisogno di un accredito. E se non sarà questo il concerto che recensirò, ce ne saranno molti altri, dove alcune presenze, sono indispensabili per il segno che lasciano, e non certo per quanti biglietti hanno fatto vendere.

Ed intanto il teatro Rendano di Cosenza, resta relegato suo malgrado ai confini di Piazza Prefettura, nella “solita comitiva” di chi se la canta e se la suona, e oltre le quali mura, il ricordo di ciò che è accaduto al suo interno, resta “fin troppo presto” un ricordo sbiadito.

Simona Stammelluti

Nella Serpa, conosciuta nell’ambiante mafioso come Nella “la bionda”, “boss” dell’ormai noto clan Serpa di Paola (Cs), condannata al carcere a vita

  • Cosenza, 23 settembre 2016 , “la Corte d’Assise di Cosenza CONDANNA alla Pena dell’ERGASTOLO, con isolamento diurno nella misura di anni uno e sei mesi, SERPA NELLA, dichiarata COLPEVOLE dei delitti ascritti ai capi 21, 21.1, 23, 23.1  della rubrica, unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione“.

Lei, Nella Serpa, oggi 61 anni, donna di mafia in una terra come la Calabria, l’emblema della donna di ferro, quella disposta a tutto, pur di ottenere quello che vuole.
Nella Serpa, rissosa e con un carattere forte, ha mostrato tutta la sua efferatezza anche nei confronti delle forze dell’ordine.  Una vita da imprenditrice, nella quale rivestiva ruolo di spicco, mentre  agiva in modo lecito quanto illecito senza mai battere ciglio, né mai mostrare segno di cedimento.

Lei, una donna conosciuta nell’ambiente come Nella “la bionda”, boss dell’omonima cosca, pesantemente colpita nella condanna, dai giudici della corte d’Assise di Cosenza, che hanno accolto le richieste del procuratore Eugenio Facciolla, infliggendo oltre al suo, altri 10 ergastoli, nel giudizio di primo grado, nell’ambito della terza parte della maxi-inchiesta antimafia denominata “tela del ragno”.

Una donna di ‘ndrangheta, che per vendicare la morte del fratello Pietro Serpa, aveva comandato di eseguire una serie di omicidi, con metodo mafioso.

Condannata dunque per omicidio tentato omicidio, estorsione, associazione a delinquere di stampo mafioso. Reati questi – consumati nella costa tirrenica cosentina nell’ambito di una vera e proprio guerra di mafia – che si fa fatica ad attribuire ad una donna. Eppure nell’ambiente dell’ndrangheta le donne che comandano e reggono una cosca, non si piegano mai.

Condannata anche per le circostanze aggravanti, quali aver agito in 5 o più persone, aver agito per vendetta, per il mantenimento del controllo criminale del territorio, per ribadire la forza dell’intimidazione della organizzazione di appartenenza, per aver agito con premeditazione.

Nella Serpa, è già sottoposta al carcere duro del 41 bis. Ad una donna, lo stesso trattamento che spetta agli uomini di mafia.
La  vita lì dentro, consumata in pochi metri quadrati, con bocconi di aria in tempi piccoli, senza mai vedere il sole.

Simona Stammelluti