
Se si provasse a guardare al Festival di Sanremo, un po’ come ad una metafora del vivere italiano, non si farebbe fatica a scorgerne dei tratti somiglianti. Siamo spesso vestiti a festa ma altrettanto maldestri, facciamo del nostro meglio ma mai abbastanza, abbiamo le capacità ma non le applichiamo mai fino in fondo. Perché è così, tutti gli anni si ripete la storia di quanto sia scontato il Festival, eppure non ci facciamo sfuggire nessun particolare su cui imbastire conversazioni, così come si fa con il migliore dei pettegolezzi. Una sottile contraddizione che regge i giorni sanremesi, nei quali tutto può essere sovvertito a seconda se si decida di simpatizzare o meno con l’evento.
Perché tutti gli anni con Sanremo il popolo italiano si divide in due: chi sta con la Kermesse canora e chi “fa finta di non interessarsene”, perché ormai tra gli esperti di tutto, ci sono anche quelli che “Sanremo è trash, è spazzatura”, e poi in macchina però hanno il cd di Nek o di Giorgia, o – peggio ancora – giurano di non vederlo mai, ma sanno tutti i ritornelli delle passate edizioni.
Insomma, che piaccia o no, Sanremo detta tendenza, crea un meccanismo che inevitabilmente diviene una questione di “costume” e che mette in moto il mercato della discografia, oltre a far discutere circa i cachét di presentatori ed ospiti che – sarebbe proprio il caso di dirlo – sono senza dubbio inappropriati rispetto a quello che “singolarmente” danno (presentatori ed ospiti), in fatto di performance. Perché a presentatori che non spiccicano una parola in inglese, io non affiderei una maratona con ospiti stranieri e per di più, passi il gobbo (elettronico) ma ci si aspetta da chi fa questa professione da decenni, che abbia la capacità di memorizzare una semplice frase di 10 parole alla volta, senza per forza far vedere che legga.
Quest’anno l’accoppiata Conti-De Filippi appare come una tranquilla convivenza tra inquilini di uno stesso quartiere, e sembra aver gradito il pubblico, che fa schizzare lo share della prima serata oltre il 50 per cento. Anche perché ognuno di essi si è “vestito” con ciò che fa quotidianamente e pertanto Maria ha portato un pezzo di quel che fa dall’altra parte del quartiere, anche sul palco dell’Ariston. Echi di “c’è posta per te” si odono di sottofondo come se qualcosa la tirasse con forza giù dal palco dell’Ariston. In quanto a vestiti, inteso come look, non si può non sottolineare come gli abiti disegnati dallo stilista Riccardo Tisci, indossati dalla De Filippi saranno pur belli, ma forse non sono appropriati al suo fisico, come per esempio il maxi cardigan indossato nella seconda serata. Eppure gli outfit al femminile di questa edizione, tolta qualche eccezione, erano degni di nota. Belli i completi pantalone della Mannoia e della Turci, molto sofisticati gli abiti della Atzei e di Chiara. Bocciato invece il look della Ferreri.

Sparite le vallette – nate proprio per supportare la conduzione e per far parlare di se, delle loro papere e dei loro vestiti – quest’anno ci siamo dovuti sorbire dei “valletti” non proprio all’altezza. Passi Raul Bova, ma Totti che – per carità sarà pure un grande campione – ha mostrato tutta la sua “maldestrezza” con la parola e a poco è servita la simpatia, che dopo 5 minuti lascia il posto al nulla.
Ma quel che alla fine passa o non passa, è la musica. Diciamolo subito: non ci sono più i testi di una volta, le musiche lasciano a desiderare e malgrado gli arrangiamenti “orchestrati”, sono due volte su tre scarse, tanto quanto l’intonazione dei cantanti in gara. In una serata si contano al massimo 3 performance convincenti su 10. E se si escludono i veterani come Zarrillo, Ron, Al Bano e la Mannoia, si fa fatica a trovare una esecuzione “in nota”, se si chiudono gli occhi e non ci si lascia distrarre da tutto il meccanismo che gira sul palco di Sanremo, considerato che l’orchestra fa sempre il massimo che può e resta – anno dopo anno – la parte più affidabile della kermesse. Intonatissimi Chiara, Michele Bravi e nella prima serata Ermal Meta, del quale si è apprezzato anche il senso del testo che racchiude un chiaro messaggio contro la violenza con la sua “vietato morire“. Anche Sergio, il figlio artistico di Maria, delude le aspettative considerato che ha una gran voce, ma non ha ancora il pieno controllo della stessa e ad aggravare il tutto, una canzone che non era proprio adatta a quel timbro e a quelle potenzialità.
Tornano sul palco di Sanremo le coppie di cantanti, come dei moderni Jalisse, ma non passano al televoto forse perché sconosciuti malgrado il loro posto tra i Big. Chi sa in fondo chi siano Raige & Giulia Luzi?

Come sempre per dire cosa piaccia davvero, i pezzi sanremesi necessitano di essere ascoltati più e più volte, ma alla fine per un orecchio un po’ esperto si fa presto a scovare nella canzone della Mannoia “Che sia benedetta” un bel testo, un vero e proprio inno alla vita, supportato dall’esperienza della brava interprete che però – a mio avviso – perde nel corso del tempo quell’appeal e quella credibilità interpretativa che aveva ai tempi in cui a scriverle le canzoni erano Fossati e De Gregori.
Maurizio Crozza – che si è ben guardato da andare sul palco dell’Ariston e appare in vidiwall – tira le serate con le sue gag politiche, che fanno spesso ridere Carlo Conti quasi sguaiatamente. Nella prima serata invece è stato lo strepitoso duetto composto da Paola Cortellesi e Antonio Albanese a mettere tutti d’accordo, mentre fanno un omaggio all’amore e alla storia di Sanremo.
Boccio Tiziano Ferro che omaggio Tenco in apertura di Festival. Un accostamento troppo arduo, che si smonta come un soufflé riuscito male, malgrado gli ottimi ingredienti utilizzati.
Sono riusciti a rilanciare Ricky Martin, che nella seconda parte della prima serata, ha costretto con il suo medley il pubblico ad un salto nel passato, non saprei dire con quali precisi risultati.
Ieri sera invece tra gli ospiti senza dubbio spicca Keanu Reevs, inserito dalla rivista Peaple tra i 50 uomini più sexy del mondo. Bello è bello, e sa suonare pure il basso! Insomma, il cachet sembra se lo sia guadagnato.
C’è chi va e c’è chi resta.
Un po’ si scivola, un po’ si resta in piedi.
Si procede, perché la barca va condotta in porto.
Abbiamo ancora qualche giorno per farci un’idea e per scoprire se abbiamo fatto bene o meno a stare dalla parte di chi pensa che “Sanremo è Sanremo”.
Ed anche se sono scomparsi i begli intro di una volta, se la conduzione non è proprio come la vorremmo e non ci sono i Claudio Villa ed i Tenco, tra maldestrezza e ritornelli che ci accompagneranno fino all’estate, non ci resta che godere del piacere di dire la nostra.
Simona Stammelluti