Simona Stammelluti, Autore presso Sicilia 24h - Pagina 71 di 94
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Attenzione sempre alta sul caso Bergamini, si va verso la verità che orami la famiglia aspetta da 28 lunghi anni e il Sicilia24h seguirà ancora tutte le fasi

Una storia che qualcuno probabilmente ha provato a cambiare nel finale. Ma la vita vera non è una storia che si può raccontare come meglio si vuole e la morte di Denis Bergamini, che quel maledetto 18 novembre del 1989 aveva solo 27 anni, amava la vita e un finale così non se lo aspettava.
A reggere i colpi degli eventi in tutti questi anni, la sua famiglia e sua sorella Donata, che mai ha creduto alla versione data dall’allora fidanzata Isabella Internò che dichiarò che Denis si fosse suicidato buttandosi sotto le ruote del camion che sopraggiungeva sulla statale 106 all’altezza di Roseto Capo Spulico, lì dove, ad una piazzola di sosta, lo stesso giocatore avrebbe parcheggiato la sua Maserati, per compiere quel gesto sconsiderato.
La famiglia Bergamini non si è mai arresa e con il loro legale, l’Avv. Fabio Anselmo, hanno chiesto ed ottenuto la riapertura del caso.
Il Gip di Castrovillari ha dunque deciso che il caso Bergamini si riapre, ha accettato l’incidente probatorio chiesto dalla Procura e ha convocato per il prossimo 26 giugno l’udienza per la nomina dei periti, per la riesumazione del corpo del giocatore, morto il 18 novembre del 1989 in circostanze ancora non chiare.
Questo dopo la riserva di incidente probatoria del legale di Isabella Internò, l’allora fidanzata del calciatore, indiziata numero uno per la morte di Bergamini, indagata insieme all’autista del camion Raffaele Pisano con l’accusa gravissima di omicidio volontario e premeditato con l’aggravante della crudeltà.
Si farà chiarezza dunque, si vuole accertare subito le effettive lesioni scheletriche, le tracce ematiche femminili sulla moquette della Maserati di Bergamini, dentro la quale – secondo fonti degli inquirenti – potrebbe esserci stata un’altra donna, e poi l’ora della morte che risalirebbe a molto prima di quando il camion avrebbe investito Denis Bergamini a Roseto Capo Spulico. E poi anche un esame tossicologico perché la Procura segue sempre l’impianto accusatorio che porta a frequentazioni in un appartamento sito nella città di Rende, sede di festini come quello a cui partecipò Michele Padovano, compagno di stanza di Denis, che sarebbe stato invitato subito dopo il funerale del giovane calciatore, in uno strano ricordo del giovane scomparso. Non in ultimo, l’aggravante della crudeltà e l’ipotesi del soffocamento con sacchetto di plastica.
Si procede dunque a riesumare la verità, non solo il corpo di Denis Bergamini, dopo 28 anni. Una verità che gli inquirenti pensano sia stata depistata dalla criminalità organizzata, e per la quale stanno provvedendo ad interrogare nuovi testimoni.
La verità è sempre più vicina. Serve proprio quella, per far riposare in pace Denis.
Simona Stammelluti

Attenzione sempre alta sul caso Bergamini, si va verso la verità che orami la famiglia aspetta da 28 lunghi anni e il Sicilia24h seguirà ancora tutte le fasi

Una storia che qualcuno probabilmente ha provato a cambiare nel finale. Ma la vita vera non è una storia che si può raccontare come meglio si vuole e la morte di Denis Bergamini, che quel maledetto 18 novembre del 1989 aveva solo 27 anni, amava la vita e un finale così non se lo aspettava.

A reggere i colpi degli eventi in tutti questi anni, la sua famiglia e sua sorella Donata, che mai ha creduto alla versione data dall’allora fidanzata Isabella Internò che dichiarò che Denis si fosse suicidato buttandosi sotto le ruote del camion che sopraggiungeva sulla statale 106 all’altezza di Roseto Capo Spulico, lì dove, ad una piazzola di sosta, lo stesso giocatore avrebbe parcheggiato la sua Maserati, per compiere quel gesto sconsiderato.

La famiglia Bergamini non si è mai arresa e con il loro legale, l’Avv. Fabio Anselmo, hanno chiesto ed ottenuto la riapertura del caso.

Il Gip di Castrovillari ha dunque deciso che il caso Bergamini si riapre, ha accettato l’incidente probatorio chiesto dalla Procura e ha convocato per il prossimo 26 giugno l’udienza per la nomina dei periti, per la riesumazione del corpo del giocatore, morto il 18 novembre del 1989 in circostanze ancora non chiare.

Questo dopo la riserva di incidente probatoria del legale di Isabella Internò, l’allora fidanzata del calciatore, indiziata numero uno per la morte di Bergamini, indagata insieme all’autista del camion Raffaele Pisano con l’accusa gravissima di omicidio volontario e premeditato con l’aggravante della crudeltà.

Si farà chiarezza dunque, si vuole accertare subito le effettive lesioni scheletriche, le tracce ematiche femminili sulla moquette della Maserati di Bergamini, dentro la quale – secondo fonti degli inquirenti – potrebbe esserci stata un’altra donna, e poi l’ora della morte che risalirebbe a molto prima di quando il camion avrebbe investito Denis Bergamini a Roseto Capo Spulico. E poi anche un esame tossicologico perché la Procura segue sempre l’impianto accusatorio che porta a frequentazioni in un appartamento sito nella città di Rende, sede di festini come quello a cui partecipò Michele Padovano, compagno di stanza di Denis, che sarebbe stato invitato subito dopo il funerale del giovane calciatore, in uno strano ricordo del giovane scomparso. Non in ultimo, l’aggravante della crudeltà e l’ipotesi del soffocamento con sacchetto di plastica.

Si procede dunque a riesumare la verità, non solo il corpo di Denis Bergamini, dopo 28 anni. Una verità che gli inquirenti pensano sia stata depistata dalla criminalità organizzata, e per la quale stanno provvedendo ad interrogare nuovi testimoni.

La verità è sempre più vicina. Serve proprio quella, per far riposare in pace Denis.

Simona Stammelluti


Oggi a San Luca, un paesino dell’Aspromonte nella provincia di Reggio Calabria non si vota. E’ il luogo dove lo scorso 11 giugno non è stata presentata alcuna lista per l’elezione diretta del sindaco e il rinnovo del Consiglio Comunale
Era il 2015, quando fu presentata una sola lista “Liberi di ricominciare“, che però non ottenne il quorum sufficiente. Nel 2013 dopo l’arresto del sindaco, il comune venne sciolto per infiltrazioni mafiose. Da allora ad amministrare la cittadina è un commissario nominato dalla Prefettura di  Reggio Calabria, ad oggi riconfermato.
Infiltrazioni mafiose. Queste due pesanti parole che scoraggiano anche i più onesti che ormai sono stanchi per ciò che da sempre accade in quel luogo che ha dato i natali allo scrittore Corrado ALvaro, ma che alla fine è noto per la faida di San Luca, tra i clan che imperversavano nel 1991, culminata con la strage di Duisburg, atto criminale compiuto dalla ‘ndrangheta calabrese.
Le luci sulla Calabria, e ancor più sui paesini dell’Aspromonte come San Luca, sono sempre accese, così come è accaduto pochi giorni fa quando è avvenuta la cattura effettuata dai Carabinieri del superlatitante Giuseppe Giorgi, che era nella lista del Ministero degli Interni dei ricercati di massima pericolosità. Ma non solo. I riflettori sono stati ben accesi anche per l’ormai famoso episodio del baciamano con cui un suo vicino di casa lo ha salutato mentre i militari lo portavano via.
Un episodio sul quale si sono scatenati un po’ tutti, tra Chiesa e Stato, lo stesso Stato che dovrebbe interrarsi per davvero sul perché a San Luca, non ci sono candidati alla carica di Primo Cittadino. Sul famoso “baciamano”, le parole del Vescovo di Locri sono state perentorie: “I cristiani si inchinano solo davanti a Dio“. Ma in quanti vedono Dio lì dove non c’è, quanti attribuiscono poteri massimi a chi è boss di mafia, di ‘ndrangheta, di camorra? A poco sono servite le scuse dell’autore del baciamano che per giustificare il gesto, ha detto di “voler solo salutare un amico che non vedeva da oltre 20 anni”.
Peccato che non ci si meravigli più di nulla, neanche davanti alla mancata dignità di un paese che non sembra non esistere più perché non ha una identità politica, non ha credibilità, non ha più diritti.
E sono gli stessi cittadini di San Luca, che avvicinati da noi giornalisti ci accusano di andare in quel luogo solo quando c’è “la notizia” di ‘ndrangheta, per poi spegnere i riflettori sui reali problemi del luogo“.
Non lo so perché non c’è nessuno che vuole fare il sindaco” – dice un signore anziano al quale poniamo la domanda. Un giovane risponde: “non ne vale la pena candidarsi, per il mondo noi siamo tutti mafiosi, e se ci candidiamo poi alla fine ci sciolgono ogni volta“. Risposte che fanno riflettere, considerato che in questi luoghi della Calabria ci sono problematiche importanti di sviluppo, di occupazione, problematiche sociali serie.
Ma è un cane che si morde la coda. Non rinasce un paese che non ha una proprio gestione, che non ha una persona che prenda delle decisione, che guidi una giunta per far crescere un territorio. Resterà il ricordo di una terra di ‘ndrangheta, di boss che fanno notizia e di urne vuote, perché il braccio di ferro tra Stato ed Antistato, sembra dover durare ancora a lungo.
“La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile.”
Corrado Alvaro
Simona Stammelluti

Se nel bicchiere c’è una droga, la cannuccia diventa azzurra
Vita da ragazze, che conoscono bene la realtà che prevede ormai che nei bicchieri che circolano nei locali notturni, vi siano le cosiddette “droghe da stupro“, inodori, incolori e insapori. Un rischio sempre più reale, quando ti porgono un bicchiere, quando ti offrono da bere.

Ma adesso esiste la cannuccia che diventa blu, se nel bicchiere ci sono tracce di Ketamina, Flunitrazepam, Ghb. Si chiama Smart Straw, è una cannuccia intelligente e ad inventarla sono state tre ragazze californiane, Victoria Roca, Susana CappelloCarolina Baigorri, che hanno tra i 17 e i 18 anni.
All’apparenza sembra una normale cannuccia ma all’estremità ha un vero e proprio test antidroga, capace di rivelare anche dosi piccolissime di sostanze stupefacenti, quelle che ad oggi sono capaci di stordire coloro che poco dopo, diventano vittime inconsapevoli di violenze e stupri.
L’idea è nata in un laboratorio della Gulliver Prepatory School, nell’ambito di una gara per giovani imprenditori, che le tre ragazze hanno poi vinto. Adesso le tre ragazze sono in attesa del riconoscimento del brevetto e poi si aprirà una raccolta su Kickstarter per far sì che il prodotto possa arrivare sul mercato.
Le tre ragazze hanno svolto svariati test proprio all’interno del Campus della Northwestern University, che ha consegnato loro dati che hanno dimostrato le enormi potenzialità della loro scoperta. I test infatti hanno rivelato che l’85% degli intervistati userebbe la Smart Straw. Più del 50% degli intervistati ha conosciuto direttamente vittime di violenza sotto l’effetto delle droghe da stupro.
La cosa bella di questa invenzione, è che la cannuccia è discreta e riutilizzabile ed ha tutte le caratteristiche per arginale la piaga sempre più dilagante degli stupri a seguito di assunzione inconsapevole di droghe.
Simona Stammelluti

Cosenza – Si è svolta questa mattina presso la Caserma dei Carabinieri “P.Grippo” il 203esimo annuale della fondazione dell’Arma dei Carabinieri alla presenza della massime Autorità Provinciali e Cittadine.
Presenti il prefetto di Cosenza, Dott. Gianfranco Tomao, il Questore Dott. Giancarlo Conticchio, il Procuratore della Repubblica di Cosenza, Dott. Mario Spagnuolo, il primo cittadino, Arch. Mario Occhiuto, il Magnifico Rettore dell’Università della Calabria, Dott. Gino Mirocle Crisci, il Procuratore della Repubblica di Castrovillari Dott. Eugenio Facciolla.  A presiedere la cerimonia, il Comandante Provinciale dei Carabinieri, Col. Fabio Ottaviani.
I festeggiamenti si sono svolti nella suggestiva cornice dell’ex convento dei carmelitani scalzi, la cui costruzione risale al 1500, poi destinata definitivamente nel 1933 a sede della caserma “Paolo Grippo” dei Carabinieri.
Una manifestazione sobria nella forma, ma significativa nei contenuti e sul  piano emotivo, svoltasi nel ricordo anche di tutti quei militari dell’Arma che hanno sacrificato la propria vita per la Patria.
Durante la giornata di festeggiamenti, sono state consegnate numerose ricompense a militari che si sono distinti in particolari operazioni di polizia. Molti dei premiati con encomio di questa mattina si sono distinti per aver operato in un territorio caratterizzato da un alto indice di criminalità, evidenziando elevata professionalità, non comune senso del dovere e spiccato intuito investigativo.
In occasione della ricorrenza del 203esimo annuale della fondazione dell’Arma dei Carabinieri, in collaborazione con il Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Cosenza, è stata allestita nel salone di rappresentanza della caserma, la mostra dal tema “Tesori Calabresi Ritrovati”.
Simona Stammelluti

Cosenza – Si è svolta questa mattina presso la Caserma dei Carabinieri “P.Grippo” il 203esimo annuale della fondazione dell’Arma dei Carabinieri alla presenza della massime Autorità Provinciali e Cittadine.
Presenti il prefetto di Cosenza, Dott. Gianfranco Tomao, il Questore Dott. Giancarlo Conticchio, il Procuratore della Repubblica di Cosenza, Dott. Mario Spagnuolo, il primo cittadino, Arch. Mario Occhiuto, il Magnifico Rettore dell’Università della Calabria, Dott. Gino Mirocle Crisci, il Procuratore della Repubblica di Castrovillari Dott. Eugenio Facciolla.  A presiedere la cerimonia, il Comandante Provinciale dei Carabinieri, Col. Fabio Ottaviani.

I festeggiamenti si sono svolti nella suggestiva cornice dell’ex convento dei carmelitani scalzi, la cui costruzione risale al 1500, poi destinata definitivamente nel 1933 a sede della caserma “Paolo Grippo” dei Carabinieri.

Una manifestazione sobria nella forma, ma significativa nei contenuti e sul  piano emotivo, svoltasi nel ricordo anche di tutti quei militari dell’Arma che hanno sacrificato la propria vita per la Patria.

Durante la giornata di festeggiamenti, sono state consegnate numerose ricompense a militari che si sono distinti in particolari operazioni di polizia. Molti dei premiati con encomio di questa mattina si sono distinti per aver operato in un territorio caratterizzato da un alto indice di criminalità, evidenziando elevata professionalità, non comune senso del dovere e spiccato intuito investigativo.

In occasione della ricorrenza del 203esimo annuale della fondazione dell’Arma dei Carabinieri, in collaborazione con il Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Cosenza, è stata allestita nel salone di rappresentanza della caserma, la mostra dal tema “Tesori Calabresi Ritrovati”.

Simona Stammelluti


Anna Rita Leonardi esponente PD Calabria, racconta in video sul famoso social, come ha scoperto le dichiarazioni razziste della candidata consigliera del M5S a Canosa di Puglia, Antonella Di Nunno
La vicenda è iniziata quando la Leonardi ha ricevuto una segnalazione tramite uno screen shot, circa le dichiarazioni razziste fatte dalla Di Nunno che, commentando un post su Facebook si esprimeva con frasi tipo: “Dai seriamente, ma quanto fanno schifo i negri?“. La Leonardi ha poi denunciato la vicenda e le frasi razziste della Di Nunno che però sul suo profilo personale invece, si dichiarava pro integrazione e contro i pregiudizi. La denuncia della Leonardi ha poi fatto il giro del web e tutte le testate giornalistiche, sia cartacee che online ne hanno parlato.
Forse presa dalla situazione che diventava più grande di lei e si espandeva a macchia d’olio, o forse perché mai la Di Nunno avrebbe pensato che la sua dichiarazione potesse “uscire” dal post sconosciuto sotto il quale si era espressa, la stessa ha pensato bene di cancellare tutti i suoi commenti – ma ovviamente la cosa è valsa a poco visto che erano stati salvati tutti i commenti tramite screen shot – e così per arginare la pioggia di insulti e la tempesta mediatica che si stava scatenando ha deciso di chiudere il suo profilo Facebook.
Dopo la denuncia della Leonardi, ha poi deciso di autosospendersi dal Movimento 5 Stelle, ma è stato lo stesso Movimento a prendere le distanze dalle parole della candidata.
La Leonardi fa poi una riflessione più ampia circa la vicenda, sottolineando come forse la Di Nunno non si sia resa conto che ricoprire determinati incarichi rappresenta una responsabilità e quindi si ha il dovere di rappresentare ciò che è corretto per la collettività e quei commenti razzisti, non sono certo un atteggiamento consono al rispetto dei cittadini tutti, né tantomeno dei principi della Repubblica che prevedono proprio un diniego del razzismo, a favore dell’integrazione e del rispetto di tutti senza distinzione di razza.
La Di Nunno sembra essersi giustificata dicendo che si trattasse di uno scherzo. Questa sua dichiarazione non solo non era credibile, ma è stata subito smontata dalle sue stesse parole lanciate dalla sua pagina, nella quale altre dichiarazioni infelici erano state postate, tipo: “se ti manca un braccio o sei down sei bella, ma se hai la cellulite sei brutta”.
La Leonardi nel suo video post dichiara di non poter tollerare che una persona che si candida ad avere un ruolo politico, abbia questo atteggiamento ed esprima questi pensieri o quella tipologia di idee.
La denuncia della Leonardi ha posto la giusta attenzione sulle parole di chi dovrebbe rappresentare una collettività e che senza dubbio non dovrebbe mai esprimersi in maniera razzista. La stessa denuncia ha messo anche il M5S nella condizione di prendere le distanze da elementi come la Di Nunno e – come sostiene la Leonardi – lo stesso movimento, non si preoccupa probabilmente di solito di fare una selezione accurata della classe dirigente.
La Leonardi con il suo video incoraggia tutti a denunciare questioni come queste, quando ci si imbatte in esse, affinché si possa arginare queste situazioni intollerabili, a prescindere dal colore politico del soggetto che si esprime con frasi di questo genere.
Simona Stammelluti

Il referto autoptico parla chiaro: seppur il cantante dei Soundgarden avesse preso ansiolitici e sedativi la notte in cui è morto, non sono stati quelli ad indurlo al suicidio. Allora perché  Chris Cornell si è impiccato nella sua stanza d’albergo lo scorso 18 maggio, subito dopo il suo ultimo concerto?

Nessuno può saperlo con certezza, almeno non noi che del cantante si poteva essere fans e nulla più. E nemmeno possiamo metterci ad indagare sulla sua vita privata considerato che spesso le vite delle Superstar sono pressoché blindate. Sembrano avere vite normali, con tanti amici che puntualmente si affacciano ai funerali, lui aveva anche una moglie. Ecco, sua moglie. Soffermiamoci un attimo su questa interessante figura. Lei si chiama Vicky Karayiannis, ed era quella che aveva ipotizzato che il gesto – che lei definiva “inspiegabile” – potesse essere stato influenzato proprio dall’assunzione di sostanze ansiolitiche in dosi massicce.

Lei, Vichy, la stessa donna che quella stessa notte del suicidio, aveva chiesto ad un amico di Chris di controllare dove fosse suo marito, preoccupata da una precedente conversazione telefonica, durante la quale, sembrerebbe che lei si fosse accorta che lui biascicava, e che le aveva confessato di aver preso due pasticche in più di un ansiolitico. Ma tutto qui? Certo, se si dissero altro, a noi non è dato saperlo.

Lei, Vicky, la stessa donna che qualche giorno dopo la triste e drammatica vicenda che aveva investito suo marito, consegna alla stampa una lettera nella quale dichiara un amore sconsiderato ed assoluto. Una lettera nella quale Cornell viene descritto come un padre generoso e paziente. Eppure si dice che la pazienza è ascoltare e per ascoltare bisogna avere tempo. Lui, Chris Cornell, di tempo ne aveva? Lui  un uomo che era grato alla sua donna per averlo “salvato” e che a dire di sua moglie, era “affamato di vita” e molto motivato. La lettera si conclude con un “combatterò per te” e con questa frase:

Dicono che le strade che si sono incrociate si incrociano sempre nuovamente e so che verrai a cercarmi, e io sarò lì ad aspettarti.
Ti amo più di quanto qualcuno abbia mai potuto amare un’altra persona nella storia dell’amore, più di quanto sarà mai possibile fare”.

Nessuno certo, può smentire questa lettera, e non lo faremo neanche noi, ma qualcosa nella vita di Chris Cornell è accaduto, così come accade nella vita di molte star.

Per sua moglie lo stesso cantante non avrebbe mai fatto un gesto sconsiderato perché dice “amava i suoi figli”. Ma che tipo di percezione di amore si ha, quando si conduce una di quelle vite speciali? Per certo sappiamo che Cornell soffriva di ansia, e quella, è senza dubbio una cattiva compagnia.

La lista delle celebrità che si sono tolte la vita è discretamente lunga ed ognuno di loro ha avuto un’apparente motivo. A legarli, forse, quella depressione che deriva da non essere sempre capaci di gestire la fama, quella sensazione di buio che sembra inghiottirli malgrado siano circondati da milioni di fans e da famiglie apparentemente normali, e dico “apparentemente” perché se già è difficile dare una definizione di “normalità” si immagini quanto possa esserlo accostarla alla vita di coloro che per gestirla, la propria vita artistica, debbono rinunciare a ciò che appartiene a tutti coloro che star non sono.

Albert Camus diceva che “bisogna amarsi molto per suicidarsi”, ma la verità è che bisogna essere decisamente forti per non farlo, e spesso la fragilità che è quasi sempre alla base di quel dono che appartiene a chi diventa una star proprio perché ha qualcosa da dire attraverso la sua arte, non aiuta a contenere alcuni momenti di disperazione, che diventa un baratro che li risucchia senza via d’uscita.

Da quarantaseienne ne ricordo più di qualcuno di suicidi avvenuti nel mondo dello showbiz e alcuni di essi mi hanno lasciata più attonita di altri, forse perché le apparenti motivazioni – perché la verità appartiene a chi non c’è più – hanno lasciato più spazio alle riflessioni. Mario Monicelli, morì a 95 anni, buttandosi dalla finestra dell’ospedale dove era ricoverato per un tumore alla prostata. Una vita vissuta, tanto successo, una scelta forse, molto più lucida di quanto si possa immaginare. Kurt Cobain, morto a 27 anni, sparandosi con un colpo di fucile alla testa, anima sensibile, “bambino lunatico” come si definiva lui stesso, incapace di gestire una vita forse, senza più emozioni. Ma non dovrebbe essere emozionante fare la star, non si dovrebbe essere invasi dall’adrenalina che incoraggia e che rende felici? Sarebbe bello capire a cosa si possa davvero attribuire la felicità che è una condizione dell’animo talmente personale e privata che spesso si mente, per far sì che nessuno entri nella propria dimensione.

Chissà se Chris Cornell fosse così felice e “pieno di vita” così come sua moglie lo definisce in quella lettera. Una cosa è certa…nessuno si salva da solo.

In fondo essere vivi resta la migliore delle fortune; Eppure sentirsi vivi, è tutta un’altra cosa.

Simona Stammelluti

Il referto autoptico parla chiaro: seppur il cantante dei Soundgarden avesse preso ansiolitici e sedativi la notte in cui è morto, non sono stati quelli ad indurlo al suicidio. Allora perché  Chris Cornell si è impiccato nella sua stanza d’albergo lo scorso 18 maggio, subito dopo il suo ultimo concerto?
Nessuno può saperlo con certezza, almeno non noi che del cantante si poteva essere fans e nulla più. E nemmeno possiamo metterci ad indagare sulla sua vita privata considerato che spesso le vite delle Superstar sono pressoché blindate. Sembrano avere vite normali, con tanti amici che puntualmente si affacciano ai funerali, lui aveva anche una moglie. Ecco, sua moglie. Soffermiamoci un attimo su questa interessante figura. Lei si chiama Vicky Karayiannis, ed era quella che aveva ipotizzato che il gesto – che lei definiva “inspiegabile” – potesse essere stato influenzato proprio dall’assunzione di sostanze ansiolitiche in dosi massicce.
Lei, Vichy, la stessa donna che quella stessa notte del suicidio, aveva chiesto ad un amico di Chris di controllare dove fosse suo marito, preoccupata da una precedente conversazione telefonica, durante la quale, sembrerebbe che lei si fosse accorta che lui biascicava, e che le aveva confessato di aver preso due pasticche in più di un ansiolitico. Ma tutto qui? Certo, se si dissero altro, a noi non è dato saperlo.

Lei, Vicky, la stessa donna che qualche giorno dopo la triste e drammatica vicenda che aveva investito suo marito, consegna alla stampa una lettera nella quale dichiara un amore sconsiderato ed assoluto. Una lettera nella quale Cornell viene descritto come un padre generoso e paziente. Eppure si dice che la pazienza è ascoltare e per ascoltare bisogna avere tempo. Lui, Chris Cornell, di tempo ne aveva? Lui  un uomo che era grato alla sua donna per averlo “salvato” e che a dire di sua moglie, era “affamato di vita” e molto motivato. La lettera si conclude con un “combatterò per te” e con questa frase:
Dicono che le strade che si sono incrociate si incrociano sempre nuovamente e so che verrai a cercarmi, e io sarò lì ad aspettarti.
Ti amo più di quanto qualcuno abbia mai potuto amare un’altra persona nella storia dell’amore, più di quanto sarà mai possibile fare”.

Nessuno certo, può smentire questa lettera, e non lo faremo neanche noi, ma qualcosa nella vita di Chris Cornell è accaduto, così come accade nella vita di molte star.
Per sua moglie lo stesso cantante non avrebbe mai fatto un gesto sconsiderato perché dice “amava i suoi figli”. Ma che tipo di percezione di amore si ha, quando si conduce una di quelle vite speciali? Per certo sappiamo che Cornell soffriva di ansia, e quella, è senza dubbio una cattiva compagnia.
La lista delle celebrità che si sono tolte la vita è discretamente lunga ed ognuno di loro ha avuto un’apparente motivo. A legarli, forse, quella depressione che deriva da non essere sempre capaci di gestire la fama, quella sensazione di buio che sembra inghiottirli malgrado siano circondati da milioni di fans e da famiglie apparentemente normali, e dico “apparentemente” perché se già è difficile dare una definizione di “normalità” si immagini quanto possa esserlo accostarla alla vita di coloro che per gestirla, la propria vita artistica, debbono rinunciare a ciò che appartiene a tutti coloro che star non sono.
Albert Camus diceva che “bisogna amarsi molto per suicidarsi”, ma la verità è che bisogna essere decisamente forti per non farlo, e spesso la fragilità che è quasi sempre alla base di quel dono che appartiene a chi diventa una star proprio perché ha qualcosa da dire attraverso la sua arte, non aiuta a contenere alcuni momenti di disperazione, che diventa un baratro che li risucchia senza via d’uscita.
Da quarantaseienne ne ricordo più di qualcuno di suicidi avvenuti nel mondo dello showbiz e alcuni di essi mi hanno lasciata più attonita di altri, forse perché le apparenti motivazioni – perché la verità appartiene a chi non c’è più – hanno lasciato più spazio alle riflessioni. Mario Monicelli, morì a 95 anni, buttandosi dalla finestra dell’ospedale dove era ricoverato per un tumore alla prostata. Una vita vissuta, tanto successo, una scelta forse, molto più lucida di quanto si possa immaginare. Kurt Cobain, morto a 27 anni, sparandosi con un colpo di fucile alla testa, anima sensibile, “bambino lunatico” come si definiva lui stesso, incapace di gestire una vita forse, senza più emozioni. Ma non dovrebbe essere emozionante fare la star, non si dovrebbe essere invasi dall’adrenalina che incoraggia e che rende felici? Sarebbe bello capire a cosa si possa davvero attribuire la felicità che è una condizione dell’animo talmente personale e privata che spesso si mente, per far sì che nessuno entri nella propria dimensione.
Chissà se Chris Cornell fosse così felice e “pieno di vita” così come sua moglie lo definisce in quella lettera. Una cosa è certa…nessuno si salva da solo.
In fondo essere vivi resta la migliore delle fortune; Eppure sentirsi vivi, è tutta un’altra cosa.
Simona Stammelluti

Non solo il medico omeopata indagato per la vicenda della morte del piccolo Francesco, ma anche i suoi genitori
La triste vicenda della morte di Francesco Bonifazi, bimbo di 7 anni deceduto a causa delle complicazioni di una otite non adeguatamente curata, sembra non si debba chiudere a breve, anche se a seguito della tragica scomparsa del piccolo sono state già salvate tre vite, dopo l’espianto dei reni e del fegato.

Fatto sta che ieri la Procura di Urbino ha emesso avviso di garanzia nei confronti dei genitori del bambino, Marco Bonifazi e Maria Stella Oliveri – entrambi commercianti –  e del medico, Massimiliano Mecozzi, indagati per omicidio colposo. A tutti loro stati sequestrati telefoni e computer a al medico i Carabinieri hanno sequestrato anche ricettari e farmaci. Un atto dovuto, dice la Procura, per permettere ai genitori e al medico di nominare dei consulenti di parte.
Ricordiamo che i genitori del piccolo non hanno somministrato al loro figlio gli antibiotici per curare un’otite, su consiglio del loro medico di fiducia, un omeopata che non solo l’ha curato con sostante non consone alla patologia – così come dichiarato anche dai medici che hanno soccorso il piccolo Francesco una volta arrivato in stato di incoscienza all’ospedale di Ancora – ma che li avrebbe anche spaventati a morte dicendo loro che il piccolo avrebbe rischiato di diventare sordo oltre al coma epatico se solo l’avessero portato in ospedale.
Leggi tutti i dettagli qui bimbo morto per un\’otite non curata adeguatamente
La posizione dei genitori è inoltre sottoposta all’esame del Tribunale di Ancona, poiché vi sono altri figli minori della coppia.
Due particolari vengono fuori attualmente dalla vicenda ed entrambi lasciano sgomenti.
Sembrerebbe che il papà dei bimbo, dalle pagine del social network – nella cui foto di profilo è in compagnia del figlioletto –  tra i post dedicati al M5S, simpatizzasse con gli antivaccinisti.
Intanto mentre si attende l’autopsia sul corpo del piccolo Francesco, il medico raggiunto da alcuni giornalisti – che si è isolato in una casa in mezzo ad un bosco – sembra aver detto che “preferisce attendere che si svolga l’autopsia” come se da essa possa spuntare fuori chissà quale verità a tutti ancora sconosciuta, che possa magari scagionarlo dalle accuse a lui rivolte.
Stasera in parrocchia, si svolgerà una veglia in onore del piccolo bimbo scomparso.
Simona Stammelluti