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La presenza dei gruppi provenienti da Israele e Palestina sembra essere stato il punto forte della 72esima edizione della festa del Mandorlo in Fiore, l’annuale appuntamento che vede radunati sotto il cielo di Agrigento, i gruppi folkloristici provenienti da molte parti del mondo, per sfilare sotto il segno dell’amicizia, della pace, della fratellanza, conservando le differenze, le proprie culture e la storia della propria tradizione.
La storica sagra – che quest’anno è divenuta “Festa” – non è stata organizzata come sempre dal Comune di Agrigento, ma dall’ente parco archeologico della Valle dei Templi diretto da Giuseppe Parello che ha voluto fortemente investire in questa iniziativa, che mette la cultura e lo scambio di tradizioni al centro di un evento, che da anni ormai, è capace di accogliere il folklore che giunge da luoghi lontani.
Quest’anno 16 gruppi, tanti bambini, costumi meravigliosi, hanno sfilato per Via Atenea, in una suggestiva fiaccolata, capace, anno dopo anno, di annullare le lingue diverse, accomunando agrigentini e figli del mondo, sotto il simbolo dell’amicizia, della pace e di sorrisi contagiosi.
Turchia, Moldavia, Repubblica Ceca, India, Giordania, Iran … ma sono stati i ragazzi di Israele e Palestina, ad incantare, perché incanta vedere la rappresentanza di due popoli in perenne guerra tra di loro, che sfilano fianco a fianco, annullando distanze e divergenze, mettendo a tacere odio silente tramandato di generazione in generazione, diventando così il vero simbolo della pace e della fratellanza.
Una serata organizzata nel pieno rispetto della sicurezza, perché eventi del genere devono costituire un fulcro culturale, segno tangibile di una tradizione che di anno in anno, prova a conservare idee e ideali, che risiedono nella forza della condivisione.
Colonna sonora della “fiaccolata dell’amicizia” a cura, anche quest’anno de “I tammura di Girgenti”, che hanno allietato e scandito il tempo facendo rimbombare il suono dei rullanti dentro le orecchie e nello stomaco di tutti i presenti.
Il tempo è stato clemente. Scampata la pioggia, la fiaccolata ha illuminato il crepuscolo di un 8 marzo all’insegna della tradizione e della festa collettiva.
Suggestione, colori e amicizia, le componenti di questa nuova edizione della fiaccolata dell’amicizia e se i giovani giunti ad Agrigento, hanno potuto condividere spazio e gioie, allora la speranza di un mondo migliore, capace di regalare a due popoli un futuro di coesistenza, senza più odio, sarà un giorno possibile.
Simona Stammelluti
Gallery foto fiaccolata dell’amicizia
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Così la mamma di Nunzia parlava alle sue figlie, forse quando ancora non sapevano cosa avrebbero fatto della loro vita. A guardarle oggi Nunzia, Roberta e Sara, sono Donne belle, talentuose, in gamba, libere ed indipendenti…e guidano la macchina.
Chissà che non le abbia aiutate quel consiglio materno, a diventare quel che sono, a sentirsi realizzate. Perché l’incoraggiamento nella vita è importante, e se si parla di donne lo è ancor di più.
Ci ricordiamo delle donne, del ruolo che occupano nella società, delle potenzialità che appartengono loro, a giorni alterni, quando ci fa comodo, nelle feste comandate o quando proprio non possiamo fare a meno di riconoscere la loro bravura nei momenti in cui sembrano essere l’unico scoglio capace di arginare le incomprensibili mareggiate della vita.
Le figure femminili nelle favole sono sempre state o principesse o matrigne, o fate o streghe, perché nelle favole c’è sempre una contrapposizione tra bene e male, un gioco di ruoli netto, e in conclusione arriva il lieto fine, mentre nella vita vera il lieto fine lo scrive la tenacia, che sbuca fuori dalla normalità di tutti i giorni, dalla consapevolezza di essere e di saper fare, dalla capacità di non appartenere a nulla e a nessuno se non alle proprie idee e alle proprie scelte, vivendo di passioni e di luce propria. Eppure ancora non siamo in grado di gestire società nelle quali si possa dare alla donna il giusto ruolo, senza che la stessa debba dimostrare più di un uomo di saper competere, di saper fare, di saper guidare…non solo la macchina.
Da sempre le donne fanno tutto, come se custodissero chissà quale segreto, o formula magica. Perché diciamolo… madre, compagna, figlia, sorella, amante, amica, casalinga, ed in carriera, una donna riesce ad esserlo tutto in una volta, in un sol respiro, in quella distanza netta tra un “pronti” ed un “via”. E lo fa mettendo a posto armadi e vita, come se fosse un semplice gioco da ragazzi, come se fosse il più normale degli impegni, quasi fosse un passatempo da non sottovalutare.
E poi c’è la cronaca, che però racconta un mondo diverso, stonato, stanco, quasi irriconoscibile, nel quale alla donna viene vietato di scegliere, di andare, di ribellarsi ai soprusi, alla quale viene chiusa la bocca “una volta per tutte”.
E’ la cronaca che racconta la donna che muore, viene violentata, viene annientata, per mano degli uomini che non reggono, forse, il peso del confronto, che si sentono padroni della vita altrui, che dimenticano il significato della parola rispetto, che dimenticano di aver amato, che dimenticano di essere “solo un uomo”.
Nel mondo si consumano ogni giorni offese, soprusi e violenze nei confronti delle donne, ma quando spegniamo la Tv, torniamo tutti alle nostre vite; ci dispiacciamo per un po’, ma poi dimentichiamo in fretta, perché la vita corre e scorre con l’intento di non lasciare traccia di ciò che è stato, perché fermarsi e riflettere non richiede solo tempo, ma anche un esame di coscienza che a volte fa troppo chiasso e dunque, va zittita pure quella.
Le donne come Nunzia, Roberta e Sara, sono l’esempio della emancipazione, della capacità che stende il tappeto rosso al confronto; Sono l’esempio della modernità seria, nella quale ognuno trova il proprio posto, mentre procede a vista, con un finale da scrivere per come si concepisce la propria esistenza, senza stereotipi, senza costrizioni e senza remore.
L’8 marzo è oggi e si farà spreco di tutto quello che nel resto dell’anno manca. Attenzione però ai cioccolatini e ai fiori e alle cene che costano il triplo e valgono poco. Danno l’idea (farlocca) che si possa “comprare” un simbolo per rendere omaggio a colei che – se solo si facesse caso – ha un valore inestimabile, ma veste con sobrietà la vita, lasciando che il mondo le guardi ancora con diffidenza, attendendo che “studiare, trovare un lavoro dignitoso e guidare la macchina”, possa essere per tutte, il passpartout per la felicità.
Buon 8 marzo
Simona Stammelluti

Così la mamma di Nunzia parlava alle sue figlie, forse quando ancora non sapevano cosa avrebbero fatto della loro vita. A guardarle oggi Nunzia, Roberta e Sara, sono Donne belle, talentuose, in gamba, libere ed indipendenti…e guidano la macchina.

Chissà che non le abbia aiutate quel consiglio materno, a diventare quel che sono, a sentirsi realizzate. Perché l’incoraggiamento nella vita è importante, e se si parla di donne lo è ancor di più.

Ci ricordiamo delle donne, del ruolo che occupano nella società, delle potenzialità che appartengono loro, a giorni alterni, quando ci fa comodo, nelle feste comandate o quando proprio non possiamo fare a meno di riconoscere la loro bravura nei momenti in cui sembrano essere l’unico scoglio capace di arginare le incomprensibili mareggiate della vita.

Le figure femminili nelle favole sono sempre state o principesse o matrigne, o fate o streghe, perché nelle favole c’è sempre una contrapposizione tra bene e male, un gioco di ruoli netto, e in conclusione arriva il lieto fine, mentre nella vita vera il lieto fine lo scrive la tenacia, che sbuca fuori dalla normalità di tutti i giorni, dalla consapevolezza di essere e di saper fare, dalla capacità di non appartenere a nulla e a nessuno se non alle proprie idee e alle proprie scelte, vivendo di passioni e di luce propria. Eppure ancora non siamo in grado di gestire società nelle quali si possa dare alla donna il giusto ruolo, senza che la stessa debba dimostrare più di un uomo di saper competere, di saper fare, di saper guidare…non solo la macchina.

Da sempre le donne fanno tutto, come se custodissero chissà quale segreto, o formula magica. Perché diciamolo… madre, compagna, figlia, sorella, amante, amica, casalinga, ed in carriera, una donna riesce ad esserlo tutto in una volta, in un sol respiro, in quella distanza netta tra un “pronti” ed un “via”. E lo fa mettendo a posto armadi e vita, come se fosse un semplice gioco da ragazzi, come se fosse il più normale degli impegni, quasi fosse un passatempo da non sottovalutare.

E poi c’è la cronaca, che però racconta un mondo diverso, stonato, stanco, quasi irriconoscibile, nel quale alla donna viene vietato di scegliere, di andare, di ribellarsi ai soprusi, alla quale viene chiusa la bocca “una volta per tutte”.

E’ la cronaca che racconta la donna che muore, viene violentata, viene annientata, per mano degli uomini che non reggono, forse, il peso del confronto, che si sentono padroni della vita altrui, che dimenticano il significato della parola rispetto, che dimenticano di aver amato, che dimenticano di essere “solo un uomo”.

Nel mondo si consumano ogni giorni offese, soprusi e violenze nei confronti delle donne, ma quando spegniamo la Tv, torniamo tutti alle nostre vite; ci dispiacciamo per un po’, ma poi dimentichiamo in fretta, perché la vita corre e scorre con l’intento di non lasciare traccia di ciò che è stato, perché fermarsi e riflettere non richiede solo tempo, ma anche un esame di coscienza che a volte fa troppo chiasso e dunque, va zittita pure quella.

Le donne come Nunzia, Roberta e Sara, sono l’esempio della emancipazione, della capacità che stende il tappeto rosso al confronto; Sono l’esempio della modernità seria, nella quale ognuno trova il proprio posto, mentre procede a vista, con un finale da scrivere per come si concepisce la propria esistenza, senza stereotipi, senza costrizioni e senza remore.

L’8 marzo è oggi e si farà spreco di tutto quello che nel resto dell’anno manca. Attenzione però ai cioccolatini e ai fiori e alle cene che costano il triplo e valgono poco. Danno l’idea (farlocca) che si possa “comprare” un simbolo per rendere omaggio a colei che – se solo si facesse caso – ha un valore inestimabile, ma veste con sobrietà la vita, lasciando che il mondo le guardi ancora con diffidenza, attendendo che “studiare, trovare un lavoro dignitoso e guidare la macchina”, possa essere per tutte, il passpartout per la felicità.

Buon 8 marzo

Simona Stammelluti

Il Patron di For Lady Ermanno Reda - Photo Fabio Lentini


Una selezione inedita, quella che si è svolta nella capitale, sabato 4 marzo presso il Teatro Porta Portese, dove il regista Sebastiano Rizzo, insieme agli ideatori della Kermesse “For Lady”  – Ermanno Reda e suo figlio Emanuel – ad addetti ai lavori e a giornalisti, ha selezionato le aspiranti concorrenti, andando ben oltre una semplice sfilata. Presente in platea, mentre provava a mimetizzarsi, anche il bravissimo attore di teatro Francesco Bossio.
L’ambiente è da sempre dei più suggestivi e l’odore che si respira in un teatro come quello che sorge nel cuore di Trastevere, crea un’atmosfera che avvolge le emozioni delle signore che raccontano su un palcoscenico, non solo chi sono e cosa le ha spinte a partecipare ad un concorso, ma anche percorsi di vita, sogni imbottigliati negli anni e lasciati decantare a lungo, e passioni che, in un particolari momento della vita, riescono a prendere il posto d’onore.

Sebastiano Rizzo - Regista Photo Fabio Lentini


Per loro Rizzo ha preparato due monologhi, che le aspiranti concorrenti dovevano provare a recitare. Tutte si sono cimentate in quella prova, ed alcune di esse hanno mostrato un talento che veniva da molto lontano, tanto che la giuria è rimasta in alcuni casi particolarmente colpita dalle performance. Il regista le ha “dirette”, le ha consigliate circa il registro da tenere, ha spiegato loro come si evolve la dinamica di un monologo e in alcuni momenti, sembrava davvero di essere in uno di quei laboratori teatrali dove il regista sale sul palcoscenico e mostra le giuste intenzioni di un testo e le tecniche di recitazione.
Tra le aspiranti c’erano professoresse, hostess, capotreni, imprenditrici, donne appassionate di cinema, attrici amatoriali, ex modelle e una insegnante di recitazione. Non era uno scontro su quel che si indossava, non su cosa mostrare, ma cosa lasciare nella giuria una volta scese da quel palcoscenico.
Si potrebbe dire che le emozioni, sono state le vere protagoniste, insieme a virgole di imbarazzo e voglia di restare nell’attenzione dei giudicanti per un dettaglio che potesse non passare inosservato. Alcune performance, seppur amatoriali, hanno strappato degli applausi e quando – dopo la foto di rito – le concorrenti sono scese dal palco, hanno seduto tutte vicine, senza troppa competizione, perché forse consapevoli che dopo una certa età, non è battaglia a quanto lunghe possano essere le proprie gambe, ma quanto si è capaci di mettersi in gioco, malgrado il tempo che passa e che qualche segno inevitabilmente lo lascia, malgrado il proprio vissuto che ha volte ha tradito buone intenzioni ed aspirazioni, malgrado quei difetti che a volte sanno essere un vero e proprio punto di forza.

C’aveva visto bene Ermanno Reda, quando ideò questo concorso, pensando a quella donna non più giovanissima, capace però di racchiudere in se il fascino e la forza che si acquisiscono vivendo, scontrandosi contro gli spigoli del vivere, mettendosi poi in gioco, mostrando con classe e disinvoltura, passioni e fragilità.
Un pomeriggio di selezioni e molto altro, firmato “For Lady”, la kermesse destinata a raggiungere sempre nuovi traguardi, mentre racconta la donna che si è, al di là di un semplice concorso di bellezza fatto di trucco, parrucco e passerelle.
Attendiamo For Lady in Sicilia, dove giungerà questa estate e dove organizzatori e giuria troveranno nuove affascinanti concorrenti, una location mozzafiato e un’accoglienza da dieci e lode.
Simona Stammelluti
Photo di Fabio Lentini che ringraziamo per l’utilizzo concesso al Sicilia24h


Anni ed anni di accuse, diffamazioni, calunnie, libri, presunte collusioni, manifesti. Non c’è stata pace in questi anni per il Procuratore Aggiunto di Agrigento Dott. Ignazio Fonzo e il giornalista e direttore di sicilia24h.it Lelio Castaldo i quali sono stati abbondantemente “attenzionati” dall’avvocato agrigentino Giuseppe Arnone accusandoli  di essere in combutta per emarginare mediaticamente lo stesso Arnone, i suoi comunicati e le sue trasmissioni, al cambio, secondo la “visuale” dell’avvocato agrigentino di un processo archiviato in favore del Castaldo.
Tre anni di indagini, interrogatori, produzione di documenti e quant’altro. Alla fine il Pubblico Ministero di Caltanissetta, dott.ssa Maria Carolina De Pasquale ha chiesto il rinvio a giudizio per Giuseppe Arnone per i reati di calunnia e diffamazione nei confronti di Ignazio Fonzo e Lelio Castaldo.
L’udienza è stata fissata per il prossimo 4 aprile quando il Gup David Salvucci terrà l’udienza preliminare in relazione alla richiesta di rinvio a giudizio per Arnone.
Non si può parlare nemmeno di un colpo di scena perché sin dai primi momenti che è partita questa denuncia è parsa assolutamente priva di ogni ragionevole certezza. Arnone ha cercato sempre di voler dimostrare che il Procuratore Aggiunto e il giornalista fossero in combutta e d’accordo fra loro ipotizzando il reato di concussione. Una dimostrazione, però, che almeno per il Pubblico Ministero De Pasquale che ha condotto le indagini ha avuto i piedi di pastafrolla.
Arnone ha persino scritto un libro nel quale ha dedicato tantissime pagine a questa vicenda, intrisa di accuse, ingiurie e fatti che realmente non sono mai accaduti.
Abbiamo avvicinato il nostro Direttore Lelio Castaldo che per anni, insieme al Procuratore Fonzo, ha subito di tutto e di più per una vicenda che adesso sembra stia prendendo il verso giusto, della legalità, della giustizia.
Difeso dall’avvocato empedoclino Luigi Troja, dice: “Se dobbiamo essere certosini manca ancora l’ultimo tassellino per portare a processo l’avvocato Arnone che in questi anni si è voluto divertire inventandosi di sana pianta amicizie a scopo di concussione fra me e il dott. Fonzo che non ho il piacere di conoscere se non in foto. Ci troviamo dinnanzi al più classico dei casi dove la fantasia supera abbondantemente la realtà.
Fino a qualche giorno fa Arnone sghignazzava nella sua pagina di facebook proprio su questa vicenda sottolineando che ci sarebbe stato molto da ridere. Capisco – continua Lelio Castaldo – che si può ridere non soltanto di gioia ma può anche capitare, a volte, che si possa ridere anche di dolore per una stranissima forma di nervosismo che invece di farti uscire le lacrime dagli occhi ti fa sgranasciare (libertà poetica…) a denti pieni. Non escludo che questa seconda ipotesi possa colpire proprio Arnone il prossimo 4 aprile. Nel corso di questi anni sono stato lungamente interrogato dai magistrati nisseni ed ho ampiamente dimostrato che la notizia secondo la quale io avrei tolto dal mio giornale e che riguardava Fonzo è durata, al contrario, più delle altre essendo stata collocata in secondo piano! Per quanto riguarda la mancata registrazione di una trasmissione televisiva, dopo una serie di colloqui con alcune persone ed anche il mio editore, è stato deciso testualmente di non prestare il fianco ad Arnone per accusare urbi et orbi la Procura agrigentina. Ho deciso di non registrarla e di non fare il suo gioco. Da qui le sue assai colorite conclusioni che adesso, con molta, molta probabilità lo porteranno a subire un processo. E certamente, come ha sempre “previsto” lui su libri, manifesti, comunicati e social network, ne vedremo delle belle. Su questo punto sono d’accordo con l’avvocato. Sono certissimo che ne vedremo delle belle, ma bisogna vedere chi riuscirà a sorridere per pura gioia e chi sorriderà ‘comu u babaluciu no focu’. Permettimi di usare questa forma tanto colorita quanto emblematica. Concludo: e poi Arnone si lamenta che non gli diamo spazio nel nostro giornale; cavolo in 48 ore ha avuto due primi piani!!!”


A pochi giorni dall’arresto del ricercato MARSICO Walter Gianluca, gli uomini del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Cosenza, guidati dal Cap. Giuseppe Sacco e coordinati dal Dr. Alessandro Prontera della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, hanno ottenuto un ulteriore successo investigativo assicurando alla Giustizia un’aspirante “primula rossa” del cetrarese. Si tratta del giovane ANTONUCCIO Giuseppe classe 1992, indicato dagli inquirenti come organico della cosca di ‘ndrangheta dei “Muto” di Cetraro, egemone nell’alto Tirreno cosentino.
ANTONUCCIO Giuseppe era ricercato dal 19 gennaio scorso, quando si sottrasse all’arresto sfuggendo agli uomini della Guardia di Finanza di Cosenza, che lo avevano raggiunto a casa nottetempo per eseguire i fermi disposti dalla DDA di Catanzaro ed emessi nell’ambito dell’inchiesta denominata “cinque lustri” nella quale, si rammenta, tra i fermati figurava anche Corsanto Angelina moglie dello storico boss Franco Muto.
Antonuccio Giuseppe è stato sorpreso all’interno di un’abitazione ubicata in una contrada collinare del cetrarese.
Al momento del suo rintraccio, gli uomini del Nucleo Investigativo di Cosenza e del Nucleo Cacciatori di Vibo Valentia, hanno fatto irruzione nell’abitazione bloccando al ricercato ogni possibile via di fuga, che ha comunque cercato di attuare.
Identificato anche il presunto fiancheggiatore di Antonuccio, la cui posizione giudiziaria è ora al vaglio degli inquirenti.
Simona Stammelluti


A sorpresa, contro ogni pronostico, vince il pezzo che, senza dubbio, si appresta a divenire il tormentone dell’estate, che rappresenterà l’Italia all’Eurovision Song Contest 2017 e che vince per un mix di fattori che sbaragliano ogni altra ottima performance sanremese.
Ha vinto Francesco Gabbani con la sua Occidentali’s Karma, un ragazzo semisconosciuto, vincitore lo scorso anno nella categoria “nuove proposte” con il pezzo Amen, trentaquattrenne, cresciuto in un negozio di strumenti musicali. Ha vinto quel suo look minimal, quel golfino arancione infeltrito, quel balletto con lo scimmione (la vera novità sul palco dell’Ariston, che nasconde Filippo Ranaldi, coreografo), una interpretazione originale, un ritmo “che prende”, un ritornello canticchiabile e quel testo che nasce da un esame di coscienza personale e poi diventa una provocazione verso quel modo ridicolo che gli occidentali hanno, di avvicinarsi alle culture orientali, fingendo un compromesso ma poi restando vittime consapevoli di quel processo che rende tutti dipendenti da cose lontanissime dalla spiritualità orientale, perché calati in una “umanità virtuale” mentre “l’evoluzione inciampa“. Uno spaccato realistico che prende un po’ un giro e un po’ fa riflettere, perché come lo stesso Gabbani afferma, “nelle altre culture, saremo sempre e solo turisti“.
Non se l’aspettava Gabbani di vincere il Festival di Sanremo, soprattutto perché al suo fianco, nel terzetto finale c’era la superfavorita  Fiorella Mannoia alla quale sono andati i premi “Miglior Testo” per “Che sia benedetta” e il “premio della Stampa”. Allo stesso Gabbani è andato anche il premio TIM Music, per l’originalità, mentre il premio della critica è toccato a Ermal Meta, anch’egli nella rosa dei superfavoriti.
Cosa se ne farà Gabbani di questa vittoria? Tocca aspettare un po’ per saperlo, ma malgrado non abbia avuto fino a qualche giorno fa una notorietà di spicco, resta un autore e musicista, che ha scritto per Francesco Renga, per Adriano Celentano, si è occupato di colonne sonore, ma come ben si sà c’è bisogno di qualcosa che ti renda “notabile” al grande pubblico, soprattutto se hai già 34 anni e non sei figlio dei talent show. Questo appena trascorso è stato per lui un anno per andare nella direzione giusta dopo la vittoria della scorsa edizione sullo stesso palco, e allora gli auguriamo di far fruttare questa nuova chance nella maniera migliore. Certo da oggi, i riflettori saranno per un po’ su di lui. Chissà che non gli abbiano portato bene le stelline sul completo blu indossato ieri sera, firmato da Daniele Alessandrini.
E’ stato un Sanremo nel quale è filato tutto liscio, sobrio sotto molti aspetti, che ha fatto record di ascolti, che ha saputo proporre ottimi testi, il giusto equilibrio tra cantanti della vecchia guardia e giovani talentuosi ed intraprendenti, che ha ospitato star internazionali senza eccedere, e la satira di Crozza che fa ridere sì, ma che lancia messaggi su cui riflettere e che ieri sera, per l’ultima serata del Festival ha rispolverato la sua vena canora e che nei panni del suo storico personaggio, il senatore Razzi, ha regalato al pubblico la sua “Buonisti…attacatevi al Trump”, una performance ironica, sagace e ricca di “distorsioni linguistiche”.
Maria De Filippi se l’è cavata, forse anche grazie al fatto che la co-conduzione con Carlo Conti, ha modulato quel suo flemmatico modo di condurre le cose.
Quest’anno su tutto vince il messaggio di ottimismo, di fiducia, in un momento in cui il disfattismo e lo scoramento provano ad essere quotidiani compagni di viaggio, e lo slancio che è arrivato dalla Kermesse, forse non andrebbe archiviato ora che i riflettori si sono spenti.
Da oggi riascolteremo in radio molte delle canzoni del festival e sceglieremo la nostra preferita, perché tanto come ogni anno, ci si azzuffa un po’ tra pronostici e gusti assortiti.
C’erano a mio avviso delle belle canzoni quest’anno, che avranno il loro giusto spazio nel panorama musicale. Ho già scelto che CD acquistare di questa tornata sanremese ed è “vietato morire” di Ermal Meta e so che non mi deluderà.
Il cantautorato ha bisogno di nuove leve, di nuove idee, di nuove dinamiche musicali e culturali e c’è un nuovo humus che produrrà, ne sono certa, ottimi frutti.
Simona Stammelluti

A sorpresa, contro ogni pronostico, vince il pezzo che, senza dubbio, si appresta a divenire il tormentone dell’estate, che rappresenterà l’Italia all’Eurovision Song Contest 2017 e che vince per un mix di fattori che sbaragliano ogni altra ottima performance sanremese.

Ha vinto Francesco Gabbani con la sua Occidentali’s Karma, un ragazzo semisconosciuto, vincitore lo scorso anno nella categoria “nuove proposte” con il pezzo Amen, trentaquattrenne, cresciuto in un negozio di strumenti musicali. Ha vinto quel suo look minimal, quel golfino arancione infeltrito, quel balletto con lo scimmione (la vera novità sul palco dell’Ariston, che nasconde Filippo Ranaldi, coreografo), una interpretazione originale, un ritmo “che prende”, un ritornello canticchiabile e quel testo che nasce da un esame di coscienza personale e poi diventa una provocazione verso quel modo ridicolo che gli occidentali hanno, di avvicinarsi alle culture orientali, fingendo un compromesso ma poi restando vittime consapevoli di quel processo che rende tutti dipendenti da cose lontanissime dalla spiritualità orientale, perché calati in una “umanità virtuale” mentre “l’evoluzione inciampa“. Uno spaccato realistico che prende un po’ un giro e un po’ fa riflettere, perché come lo stesso Gabbani afferma, “nelle altre culture, saremo sempre e solo turisti“.

Non se l’aspettava Gabbani di vincere il Festival di Sanremo, soprattutto perché al suo fianco, nel terzetto finale c’era la superfavorita  Fiorella Mannoia alla quale sono andati i premi “Miglior Testo” per “Che sia benedetta” e il “premio della Stampa”. Allo stesso Gabbani è andato anche il premio TIM Music, per l’originalità, mentre il premio della critica è toccato a Ermal Meta, anch’egli nella rosa dei superfavoriti.

Cosa se ne farà Gabbani di questa vittoria? Tocca aspettare un po’ per saperlo, ma malgrado non abbia avuto fino a qualche giorno fa una notorietà di spicco, resta un autore e musicista, che ha scritto per Francesco Renga, per Adriano Celentano, si è occupato di colonne sonore, ma come ben si sà c’è bisogno di qualcosa che ti renda “notabile” al grande pubblico, soprattutto se hai già 34 anni e non sei figlio dei talent show. Questo appena trascorso è stato per lui un anno per andare nella direzione giusta dopo la vittoria della scorsa edizione sullo stesso palco, e allora gli auguriamo di far fruttare questa nuova chance nella maniera migliore. Certo da oggi, i riflettori saranno per un po’ su di lui. Chissà che non gli abbiano portato bene le stelline sul completo blu indossato ieri sera, firmato da Daniele Alessandrini.

E’ stato un Sanremo nel quale è filato tutto liscio, sobrio sotto molti aspetti, che ha fatto record di ascolti, che ha saputo proporre ottimi testi, il giusto equilibrio tra cantanti della vecchia guardia e giovani talentuosi ed intraprendenti, che ha ospitato star internazionali senza eccedere, e la satira di Crozza che fa ridere sì, ma che lancia messaggi su cui riflettere e che ieri sera, per l’ultima serata del Festival ha rispolverato la sua vena canora e che nei panni del suo storico personaggio, il senatore Razzi, ha regalato al pubblico la sua “Buonisti…attacatevi al Trump”, una performance ironica, sagace e ricca di “distorsioni linguistiche”.

Maria De Filippi se l’è cavata, forse anche grazie al fatto che la co-conduzione con Carlo Conti, ha modulato quel suo flemmatico modo di condurre le cose.

Quest’anno su tutto vince il messaggio di ottimismo, di fiducia, in un momento in cui il disfattismo e lo scoramento provano ad essere quotidiani compagni di viaggio, e lo slancio che è arrivato dalla Kermesse, forse non andrebbe archiviato ora che i riflettori si sono spenti.

Da oggi riascolteremo in radio molte delle canzoni del festival e sceglieremo la nostra preferita, perché tanto come ogni anno, ci si azzuffa un po’ tra pronostici e gusti assortiti.

C’erano a mio avviso delle belle canzoni quest’anno, che avranno il loro giusto spazio nel panorama musicale. Ho già scelto che CD acquistare di questa tornata sanremese ed è “vietato morire” di Ermal Meta e so che non mi deluderà.

Il cantautorato ha bisogno di nuove leve, di nuove idee, di nuove dinamiche musicali e culturali e c’è un nuovo humus che produrrà, ne sono certa, ottimi frutti.

Simona Stammelluti

Non poteva finire così, senza stanarla la verità, e la pazienza e la tenacia di Donata Bergamini, della sua famiglia e dei suoi legali con a capo l’avvocato Fabio Anselmo che mai sono state riposte, adesso sono state ricompensate, almeno in parte.

Dopo l’ennesima inchiesta archiviata nel dicembre del 2015, il procuratore capo di Castrovillari, Eugenio Facciolla, ha chiesto al Gip la riapertura delle indagini sulla morte del giocatore del Cosenza, deceduto in circostanze ancora misteriose il 18 novembre del 1989 sulla SS 106 all’altezza di Roseto Capo Spulico.

foto di nunzio garofalo

Il procuratore ritiene ci siano gli elementi per riaprire il caso e analizzare nuovamente i fatti. Ci sarebbero dunque una serie di elementi che non erano stati completamente valutati in precedenza. Inoltre c’è la possibilità di utilizzare nuove e sofisticate tecnologie per eseguire accertamenti medico-legali che dovrebbero togliere ogni dubbio sulla morte del calciatore, per sapere come morì, sperando di poter conoscerne anche il vero perché. Il corpo di Denis Bergamini sarà così riesumato e sottoposto a nuove valutazioni del caso.

La richiesta della Procura di riaprire il caso è arrivata a seguito dall’istanza dei legali della famiglia Bergamini che mai hanno accettato la prima versione, secondo la quale Denis era morto suicida.

E’ proprio Donata, sorella del calciatore a rilasciare una dichiarazione al Sicilia24h che reca in se speranza ma anche cautela: “Sono contenta ma molto cauta. Ho piena fiducia nel procuratore capo Eugenio Facciolla. E’ un momento molto doloroso ma indispensabile, questo. Il mio avvocato Fabio Anselmo fin da subito, aveva capito che il nodo della vicenda era nelle perizie medico legali e per questo ci si è informati circa le nuove e ultime tecnologie in questo campo, considerato che si tratta di dover riesumare un corpo sepolto quasi 28 anni fa. Non voglio un altro caso Cucchi, anche se il corpo di Stefano ha parlato sin da subito, proprio come quello di Denis. Ed è propri seguendo il caso Cucchi che si evince l’importanza fondamentale del lavoro svolto con le nuove tecnologie dal professor Fineschi, che non conosce il caso di mio fratello, ma che contattammo per chiedergli se dopo così tanti anni, ci fossero strumenti tecnologici che potessero essere utili su un corpo sepolto da così a lungo. Credo che questo a mio fratello, gli sia dovuto

Ed è lo stesso avvocato Fabio Anselmo, raggiunto telefonicamente a confermare l’importanza di questa decisione: “Siamo molto soddisfatti. Attendiamo il provvedimento del Gip con fiducia. Sarà delicata e fondamentale l’eventuale nomina dei periti che dovranno svolgere gli accertamenti necessari”.

Adesso tocca attendere, ma tanto si attende da decenni. Ma soprattutto non si molla.

Simona Stammelluti


Non poteva finire così, senza stanarla la verità, e la pazienza e la tenacia di Donata Bergamini, della sua famiglia e dei suoi legali con a capo l’avvocato Fabio Anselmo che mai sono state riposte, adesso sono state ricompensate, almeno in parte.
Dopo l’ennesima inchiesta archiviata nel dicembre del 2015, il procuratore capo di Castrovillari, Eugenio Facciolla, ha chiesto al Gip la riapertura delle indagini sulla morte del giocatore del Cosenza, deceduto in circostanze ancora misteriose il 18 novembre del 1989 sulla SS 106 all’altezza di Roseto Capo Spulico.

foto di nunzio garofalo


Il procuratore ritiene ci siano gli elementi per riaprire il caso e analizzare nuovamente i fatti. Ci sarebbero dunque una serie di elementi che non erano stati completamente valutati in precedenza. Inoltre c’è la possibilità di utilizzare nuove e sofisticate tecnologie per eseguire accertamenti medico-legali che dovrebbero togliere ogni dubbio sulla morte del calciatore, per sapere come morì, sperando di poter conoscerne anche il vero perché. Il corpo di Denis Bergamini sarà così riesumato e sottoposto a nuove valutazioni del caso.
La richiesta della Procura di riaprire il caso è arrivata a seguito dall’istanza dei legali della famiglia Bergamini che mai hanno accettato la prima versione, secondo la quale Denis era morto suicida.
E’ proprio Donata, sorella del calciatore a rilasciare una dichiarazione al Sicilia24h che reca in se speranza ma anche cautela: “Sono contenta ma molto cauta. Ho piena fiducia nel procuratore capo Eugenio Facciolla. E’ un momento molto doloroso ma indispensabile, questo. Il mio avvocato Fabio Anselmo fin da subito, aveva capito che il nodo della vicenda era nelle perizie medico legali e per questo ci si è informati circa le nuove e ultime tecnologie in questo campo, considerato che si tratta di dover riesumare un corpo sepolto quasi 28 anni fa. Non voglio un altro caso Cucchi, anche se il corpo di Stefano ha parlato sin da subito, proprio come quello di Denis. Ed è propri seguendo il caso Cucchi che si evince l’importanza fondamentale del lavoro svolto con le nuove tecnologie dal professor Fineschi, che non conosce il caso di mio fratello, ma che contattammo per chiedergli se dopo così tanti anni, ci fossero strumenti tecnologici che potessero essere utili su un corpo sepolto da così a lungo. Credo che questo a mio fratello, gli sia dovuto
Ed è lo stesso avvocato Fabio Anselmo, raggiunto telefonicamente a confermare l’importanza di questa decisione: “Siamo molto soddisfatti. Attendiamo il provvedimento del Gip con fiducia. Sarà delicata e fondamentale l’eventuale nomina dei periti che dovranno svolgere gli accertamenti necessari”.
Adesso tocca attendere, ma tanto si attende da decenni. Ma soprattutto non si molla.
Simona Stammelluti