“Mi chiamo Niccolò, ho 22 anni. Avrei voluto fare l’imprenditore ma l’attività che avevo aperto non è andata bene e così con umiltà mi sono messo a fare il fruttivendolo, dividendomi tra il lavoro che inizia già a mattina presto e la mia passione per il pugilato”.
Queste sarebbero potute essere le parole di un qualsiasi ragazzo giovane, con sogni, passioni e sguardo puntato su quella realtà che molto spesso ti inganna, fino ad ucciderti.
Niccolò … ma avrebbe potuto essere anche Giovanni, Francesco, Matteo. Niccolò, un ragazzo che aveva una fidanzata, che era semplicemente partito con una comitiva di amici per la Costa Brava, in Spagna, dove avrebbe trascorso le sue meritate vacanze, ma che a casa non ha fatto mai ritorno, o meglio, è tornato in una bara, massacrato di botte, ucciso a calci e a pugni, da tre ceceni in una discoteca, tra l’indifferenza generale.
Dopo il pestaggio Niccolò non si è più ripreso, e dopo un giorno di agonia è morto. Quando suo padre è giunto sul posto ha trovato suo figlio attaccato ad una macchina, ma non vi era più nulla da fare.
Dramma per una famiglia, ma dramma anche per una società che sta perdendo colpi, che sta diventando sempre più indifferente, come se qualunque cosa accada non si sia più capaci di smuovere sentimenti, coscienze e indignazione.
Muore dunque un ragazzo, che potrebbe essere un nostro figlio, uno di quei ragazzi che proviamo a crescere cercando di insegnare loro a rispettare il prossimo, ad aiutare gli altri, a “battersi” per un ideale, a “reagire” ad una ingiustizia, a credere nel modo sano di fare gruppo, a difendere il più debole.
Ma in quella discoteca Niccolò non era solo con i suoi aggressori; c’erano centinaia di ragazzi, c’erano migliaia di occhi, che guardavano, che si limitavano a guardare, che inermi mimavano la visione di un film. L’indifferenza totale però non era un film, era agghiacciante verità, complice di quella morte ingiusta e orrenda. Magari i suoi stessi amici avranno pensato che Niccolò appassionato di boxe, potesse cavarsela da solo. Nessuno ha reagito a quel pestaggio, nessuno ha mosso un dito. Forse il pensiero collettivo è stato “qualcuno prima o poi farà qualcosa“, ma gli accadimenti hanno raccontato che nessuno ha fatto nulla. Nessuno si è spaventato a tal punto da reagire, anche d’istinto. Perché istintivamente si dovrebbe reagire per salvare qualcuno in pericolo e Niccolò era in pericolo, era in pericolo sotto gli occhi di tutti. Uno, due, dieci, venti ragazzi tutti insieme se avessero voluto, avrebbero potuto salvare Niccolò da quella furia, da quella violenza sconsiderata e assurda.
Sì, sono tutti colpevoli.
Tutti coloro che sono rimasti a guardare. Siamo sempre colpevoli quando restiamo a guardare, o quando facciamo finta di non vedere o quando ci facciamo convincere che è meglio “restarne fuori” che così è meglio.
Niccolò ha reagito ad uno spintone, in tre lo hanno ucciso, tutti gli altri atteso il tragico epilogo prima di portarlo fuori di lì.
I dettagli di cosa sia successo per davvero saranno gli inquirenti a stabilirlo.
Non muore solo Niccolò; muore il buonsenso, muore la forza che muove le buone azioni, muore la generosità, muore l’indignazione, muore quello che con superficialità ancora ci ostiniamo a chiamare civiltà.
Il mondo nel quale Niccolò è morto è plasmato da odio, egoismo, disprezzo, disinteresse e provocazione.
L’incognita non è più la cattiveria che dilaga e che non si ferma, ed il nemico non è solo la violenza che si nasconde anche in luoghi dove invece dovrebbe regnare il divertimento e lo svago.
Il nemico di una società non più civile è la nuova tendenza che “ad un metro dal mio culo, accada quel che accada”.
Simona Stammelluti