Scarti un Cd e la prima cosa che pensi è “chissà se mi piacerà” e allora con avidità corri ad ascoltarlo. Ma questa volta non è andata così, come quelle pochissime volte in cui mi sono soffermata anche su come viene confezionato un disco.
A piedi nudi, di Pietro Verna è un piccolo capolavoro impacchettato con cura in un packaging delicato, con colori sobri. I testi sono contenuti in un libretto che non puoi smarrire perché attaccato alla custodia, e che contiene anche delle foto molto suggestive, che ovviamente non sono messe lì a caso, e che mi hanno – non saprei dire se per fortuna o per sfortuna – catapultato in alcuni personalissimi ricordi e questa cosa mi ha ferita, come quando ti tagli con un sottilissimo foglio di carta.
Con estrema calma ho inserito il disco nel lettore ed ho fatto un viaggio, un viaggio che con diversi mezzi mi ha condotto nel mondo di Pietro Verna, fatto di parole gentili, di una sofisticata forma poetica mai banale; in testi che raccontano di un uomo che osserva, che ama, che vive, che si riconosce in qualcosa e che prende distanze da altro, che ha desideri e fame di emozioni. Un ricamo fitto, ben delineato di come si possa conservare la speranza verso quella vita che sfugge, mentre a volte resti a guardare; una sottile filosofia su come si possa cercare qualcuno, cercando prima se stessi, su alcune paure che ci portiamo dietro da bambini e sulla forza di un sorriso che spazza via ogni “distratto riflesso“.
Pietro Verna usa parole comuni a chi è abituato a provare sensazioni, a sentire oltre quel che tutti sentono, ma è il “come” le mette insieme, che disarma.
Uno dei particolari degni di nota del disco è nel mezzo, dove vi è una vera e propria “chicca” dal titolo “Sul treno“; un intermezzo recitato da Gabriele Zanini. E’ una storia, che racconta di un incontro e di un addio, come se ne consumano tanti ogni giorno, ma la cosa che lascia piacevolmente sorpresi è che Verna sa porre l’accento sulla forza di quel che si prova, sulla forza della rabbia ma anche della volontà che muove azioni e a volte omissioni. Racconta di “lacrime fortunate ed improvvise, che segnavano traiettorie precise“.
La melodia che accompagna il testo, si getta come fa l’acqua di un fiume in un mare nel pezzo successivo, con una continuità sonora e di intenti.
A piedi nudi è un disco che si deve ascoltare, ma che si può anche ballare. Tango, milonga, echi di bossanova, chacha e tracce di jazz di New Orleans, al suo interno. Un disco che custodisce in se un arrangiamento meraviglioso, che porta la firma di Giovanni Chiapparino, che affida ai fiati, e alla fisarmonica molte delle nuance del disco, che crea atmosfere che pongono il giusto accento sull’intenzione dando rilievo ai testi e alle storie raccontate. E poi gli archi, usati sapientemente come se fossero il filo di seta invisibile, che tiene insieme l’aspetto armonico, che non ha sbavature e che – al contrario – è bilanciato e lussuoso.
Nel disco vengono suonati strumenti come il launaddas, il kushtar, il duduk. Questo dettaglio non trascurabile, racconta la cura che l’arrangiatore ha messo, affinché si avvertissero nel disco i segni di una contaminazione sonora che corre fino all’oriente.
Non è certo un disco nel quale trovare dei virtuosismi vocali, che non solo non servono, ma che non si confanno certo ad un lavoro cantautorale.
A piedi nudi è un disco intenso ma senza pretese, realizzato con la consapevolezza di poter lasciare una traccia, un segno indelebile del proprio passaggio, così come un piede nudo fa; un segno indelebile di una una personalità unica, non paragonabile a null’altro. E se anche ascoltando la voce di Pietro Verna tornano in mente De Andrè, Fossati, Barbieri e il Branduardi romantico, c’è un modo originale di guardare il mondo, un modo sincero, profondo e a tratti sagace.
Dodici tracce, storie in bianco e nero, immagini che nascono in bianco e nero, per permettere all’ascoltatore poi di pennellare i colori ovunque lui voglia.
A mio avviso il miglior testo è “Viaggiatore Viaggiante”. Interessante la metafora tra la vita e “La punteggiatura“, traccia nove del disco, nella quale la musica, con chitarra, percussioni, fiati e fisarmonica, delinea i tratti di un vivere che sarebbe un caos, se non ci si fermasse davanti a punti, parentesi, a segni che raccontano pause, respiri, affanni. Miglior arrangiamento è “Pomeriggio”, capace di mettere insieme tempi e stili diversi, contrappunti e sfumature che profumano di America anni ’20.
E’ un disco da farne indigestione, da consumare, da ascoltare quando vuoi riconciliarti con un mondo spesso sottosopra, che non sempre sai riordinare da solo.
E’ perfetto in ogni dettaglio. Sulla prima pagina, come fosse un “benvenuto” trovi una poesia di Ghiànnis Ritsos, sul finale ci sono i ringraziamenti, che seppur sembrano essere scontanti in chiusura di un disco, in questo preciso caso racchiudono non solo persone ma anche intenzioni … arte, passioni e catarsi.
Si vive di ispirazione, e allora mi sento di dire che il cantautore era in uno stato di grazia, quando ha concepito questo disco, al quale auguro un meritato successo.
Preparatevi a provare delle belle sensazioni, qualche brivido e momenti di riflessioni. Fatevelo un regalo, e magari fatelo a chi amate. Ascoltate questo disco e andate a sentirlo dal vivo Pietro Verna, perché ne vale la pena … parola della Stammelluti.
“Piume d’alba,
respiro d’oriente
la tua pelle ribelle
ad ogni scomodità;
coltivo l’attesa,
raccolgo paziente
i tuoi sensi e consensi
che fioriscono in coro,
sostanza e decoro”
Simona Stammelluti