E’ il terzo caso di omicidio-suicidio (al momento ancora presunto) che si consuma nel cosentino nel giro di un paio d’anni. Fare una strage della propria famiglia togliendosi poi la vita, è un delitto che resta senza colpevoli, ma forse solo apparentemente. Da dove nasce tanta efferatezza? Cosa può spingere un essere umano – se così fosse stato – ad accanirsi contro i suoi figli, in maniera così violenta? E’ un gesto compiuto in un momento di follia, quando la mente ti si annebbia completamente, o è un gesto premeditato?
Le domande sono sempre tante, sono sempre le stesse, e forse queste domande le risposte le hanno, ma non sempre vengono a galla, oppure il tutto finisce per archiviarsi come l’ennesimo caso in cui la depressione, ormai il male del secolo, scava così tanto l’animo umano, da rendere un uomo vittima prima di tutto di se stesso.
E intanto tra qualche giorno (mentre le indagini procederanno e i risultati autoptici riveleranno qualche certezza in più e gli esami condotti sugli stub diranno se a sparare è stato o meno una delle quattro vittime) ce ne saremo tutti ben che dimenticati, un po’ per sopravvivere a tanto orrore ed un po’ anche perché – diciamolo chiaro – ad alcune notizie ci siamo abituati.
E’ difficile anche per noi giornalisti, resocontare (dare conto) di quello che accade ormai sempre più spesso tra le mura domestiche, lì dove invece dovrebbe regnare la consapevolezza che qualunque problema possa avere la giusta risoluzione.
Forse alcune risposte a quanto è accaduto nella villetta a Contrada Cutura a Rende poco più di 48 ore fa, risiedono proprio dentro quella abitazione; quella casa con tutte le porte e finestre perfettamente sigillate, quella casa chiusa dall’interno con quella chiave poi ritrovata sul corpo dell’uomo che ha compiuto il folle gesto, custodita nel giubbotto che indossava sopra il pigiama, mentre ai piedi aveva un paio di scarpe da ginnastica. In piena notte, con indosso un giubbotto ed un paio di scarpe, mentre i suoi familiari indossavano semplicemente quello che di notte si indossa, un pigiama, una vestaglia la moglie, e ai piedi dei calzini. Perché Salvatore Giordano indossava un giubbotto ed un paio di scarpe in piena notte? Chissà se in quella abitazione fossero presenti anche altri mazzi di chiavi.
Forse una accenno di premeditazione vi era, considerato che le armi da fuoco usate per finire la sua famiglia, che poi ha rivolto contro di se, sparandosi in bocca, non erano di sua proprietà ma erano state trafugate da casa di suo padre, che le deteneva legalmente. Forse aveva “ancora indosso” il giubbotto e le scarpe perché era appena rientrato dall’appartamento al piano di sotto, dove aveva prelevato le armi?
E allora perché non gli sono bastate, quelle due pistole? Perché ha usato tre coltelli differenti con lama dai 12 ai 15 cm per infierire con immane violenza contro i suoi figli e sua moglie? Che poi i corpi dei due coniugi sono stati ritrovati seduti, vicino alla porta d’ingresso, con la testa della donna sulla spalla dell’uomo. Forse la donna ha provato a scappare, senza riuscirci, così come era accaduto a Cristiana, la figlia che colpita a morte con arma da taglio e da fuoco, si è poi trascinata fino al corridoio, finendo prona, rannicchiata sul pavimento. Cristiana e le sue due lauree, perfettamente tenute in bella vista nella sua stanza, che lavorava in un call center dove aveva dimostrato le sue capacità, dove i colleghi lunedì mattina l’hanno attesa senza vederla arrivare, l’hanno chiamata senza avere risposta, per poi apprendere dalla stampa, quello che alla giovane fosse accaduto. E poi Giovanni, giovane studente, che presumibilmente svegliato da rumori di colluttazione provenienti dalla stanza della sorella, si è precipitato sul posto per soccorrerla, restando ferito a morte anch’egli.
Eppure in quella villetta c’era un particolare che sicuramente aiuterà gli investigatori a fare un po’ di chiarezza. L’unica stanza non interessata allo strazio di quei corpi e alle tracce ematiche derivanti da quella mattanza era un soggiorno, nel quale gli uomini dell’Arma che hanno effettuato i rilievi hanno trovato un ambiente vissuto, che lascerebbe ipotizzare che l’uomo dormisse lì da un po’. Coperte, cuscini, sigarette consumate.
Può essere dunque che qualche problematica familiare tenesse in pensiero Salvatore Giordano. Ma che tipo di pensiero? Incomprensioni varie, problemi economici, qualcosa che lo tormentava e che magari non aveva mai detto a nessuno?
Sul principio di storie come queste, nessuno sa mai nulla o forse nessuno sa mai abbastanza. A volte una lite può essere solo una lite…a volte. Forse i suoi familiari saranno in grado di ricostruire gli ultimi periodi della vita di quella famiglia, che oggi non c’è più, ma che lascia traccia nella cronaca, ancora una volta, e chissà se a quella stessa opinione pubblica che tanto si è interessata all’accaduto, interesserà sapere, tra un po’ cosa abbia spinto Salvatore Giordano a quella metodica omicida e suicida – sempre che si appuri che i fatti siano andati così come da prima supposizione – esattamente come accadde per Giovanni Petrasso, agente di polizia penitenziaria che nello scorso giugno, in quella villetta a Montalto Uffugo, uccise sua moglie e poi si tolse la vita, o ancora a Francesco De Vito, appuntato dei carabinieri che nel maggio del 2015 compì lo stesso tragico e malsano gesto, risparmiando però i suoi figli.
Resta da capire come siano andate le cose e probabilmente i telefoni cellulari, i computer e i tablet sequestrati mostreranno qualche dettaglio dal quale partire o al quale arrivare.
Simona Stammelluti