
La magia sta tutta lì, in quella miscela esplosiva che prende fuoco quando l’energia di Massimo Ranieri – artista a tutto tondo e show man instancabile – si mescola a quello che accade ogni qual volta che la musica jazz, si mette al servizio di un progetto prestigioso come quello in scena al teatro Diana di Napoli e che porta il nome di Malìa.
Lo racconta il perché di quel modo di intitolare il concerto, Ranieri. Ma non è solo un titolo, un vezzo, un nome che affascina… è un vero e proprio viaggio indimenticabile, un incantesimo possibile grazie a quella musica che ha ammaliato il mondo, in quegli anni ’50 e ’60; Anni in cui Ranieri al secolo Giovanni Calone nasceva, anni in cui la luna sapeva sfavillare sullo sfondo di un cielo blu notte, gli anni dei night club e degli americani che affollavano Capri, quando venivano a sentire come si facesse la musica, oltre oceano.

Un concerto, quello di ieri 11 novembre, che si potrebbe incorniciare; e non solo perché non c’è stata “una nota fuori posto”, ma perché le caratteristiche che decretano la riuscita di uno spettacolo, di un concerto, di uno show, le ho passate in rassegna durante la serata e tutte, hanno risposto all’appello. Dall’intonazione alla presenza scenica, dal discorso musicale all’interplay, dall’originalità degli arrangiamenti alle improvvisazioni jazzistiche, dal talento puro, alla ricerca dei dettagli sonori che fanno sempre la differenza, anche e soprattutto quando si rivisitano pezzi storici della tradizione – in questo caso, della tradizione napoletana – e che recano in se una intenzione precisa, sia del periodo storico raccontato, che del significato che quella musica ha avuto nel corso dei decenni sul patrimonio musicale che attraversa i tempi, in maniera inossidabile.
E’ carismatico Massimo Ranieri, è stracolmo di groove, inteso proprio come capace di “divertirsi intensamente”, perfettamente calato nell’atmosfera di quegli anni, che tanto hanno saputo raccontare (musicalmente parlando) e che lui decide di regalare al pubblico attraverso un concerto confezionato impeccabilmente, e tenuto insieme da quel filo sapiente, raffinato e originale come solo il jazz sa sempre essere.

Enrico Rava
Geniale Ranieri che sceglie un quintetto jazz, per raccontare i grandi successi della musica napoletana. Non dei jazzisti qualsiasi, ma a mio avviso scelti proprio nella loro intrinseca capacità di saper inserire come in un mosaico che prende forma pian piano, l’immagine che era alla base del progetto. Enrico Rava (tromba e flicorno), Rita Marcotulli al pianoforte, Riccardo Fioravanti al contrabbasso, Stefano di Battista al sax contralto e pure al soprano e Stefano Bagnoli alla batteria. Quei musicisti che presi da soli, sono già un pezzo di storia del jazz internazionale e non solo italiano, e che riuniti sul quel palco, hanno dimostrato non solo un talento indiscusso, ma una versatilità e una capacità interpretativa capace di fondersi perfettamente con l’impronta scenica e la potenza della voce di Massimo Ranieri, della sua estensione vocale e della sua capacità – unica – di riuscire a fare tutto e a fare tutto bene. Canta, balla, intrattiene, l’artista partenopeo, è generoso e ci si chiede dove li nasconda i suoi 66 anni finiti. Forse tra le rughe di quel volto che raccontano una storia che parte da lontano, che sembrava già scritta sin da quando era bambino. Quelle rughe che si piegano, che si commuovono, davanti alla musica e che si inchinano allo scambio emozionale che viaggia da lui al suo pubblico e viceversa, come se fosse facile incantare, ammaliare tutte le sere, raccontando semplicemente la musica a modo suo…come se fosse ogni sera “tutta nata storia“.

Stefano di Battista e Stefano Bagnoli
Ed è proprio così che si apre il concerto, con una prorompenza che fa salire i brividi, con l’omaggio ad un Pino Daniele che – come lo stesso Ranieri racconta – non era ancora nato, ma che sembra esserci e sempre ci sarà, come un lucchetto sul cuore che ad aprirlo è un attimo, basta rievocare le emozioni che seppe dare in vita, ed anche oltre.
Le note degli strumenti a fiato di Rava e Di Battista, si incontrano e si rispondono, si mescolano e si capiscono, mentre le note altissime lasciano spazio alla sincronia che si realizza a sostegno del ritornello del famoso pezzo di Pino Daniele.
“Muoiono i poeti, ma non muore la poesia” – dice Massimo Ranieri ricordando Aldo Palazzeschi.
Sono le canzoni scelte per il progetto a fornire al grande Show man, la possibilità di raccontare aneddoti e pezzi di storia di quelle canzoni in repertorio. E’ dopo “Resta cu’mme“, in cui il jazz è ricamato addosso al cantato, che Ranieri racconta di che anni bellissimi fossero quelli, anche se l’intensità di alcuni pezzi veniva a volte censurata, così come fece la Rai con questa canzone per quei famosi versi “non m’importa chi t’avuto“.

Rita Marcotulli
Puoi provare ad immaginare quel che potrà proporti quel concerto, ma non potrai mai immaginare che lì dentro, dentro quei metri che ospitano gli artisti, i musicisti, si consumeranno sound, passi di danza e arrangiamenti sofisticatissimi. Balla a ritmo di samba, Ranieri, durante Lazzarella, e quasi rieccheggiano ancora i suoi passi e le note della canzone quando prende posto su uno sgabello, mentre lascia Di Battista e la Marcotulli introdurre “Malatia“. Sofisticato e leggero Stefano Di Battista, che ricama il tema con fiato lungo e note aperte. E’ sempre lui che introduce “Anema e cose” con il sax soprano. Il pubblico canta, si lascia trascinare, si lascia emozionare, sorride e poi si commuove, tutto nel tempo di una canzone. Qualcuno si lascia andare ad un ricordo ed io ascolto l’assolo di Rava e penso a quanta strada lui abbia fatto fino ad arrivare qui, sul palco con Ranieri ed altri amici, adesso nel novembre del 2017; penso a quella carriera così lunga e fortunata, a quel musicista canuto e bianco, che prende posto a destra sul palco, seduto sul suo sgabello, mentre mostra il suo profilo migliore, quello mentre soffia nella suo flicorno. In quel profilo in cui entra la sua sonorità calda, non per forza virtuosistica, ma che sa sempre come concedere alle note un’ascesa veloce e decisa, come quando si chiude una porta lentamente, affinché anche l’ultimo invitato, sia presente alla festa. Cura molti finali, Rava, lui che non ha bisogno di complessità per capire “come si finisce”.

E’ un valzer, “Na voce na chitarra e ‘o poco ‘e luna“; ma c’è anche il cha-cha-cha in Malìa, scelto per “La pansè“. Ranieri non sa solo cantare intonatissimo – che quasi ci si chiede come faccia a non lasciar andare neanche una nota – ma ha anche la capacità ormai rara, di cantare in levare. Lo fa meravigliosamente, e lo fa mentre balla, e sorride e ammalia.
Ci sono tutti in questo concerto: Rascel, Murolo, Modugno. C’è la musica napoletana, C’è “Luna rossa” con un abito nuovo di zecca, c’è un Di Battista che invade completamente il palcoscenico con le note del sax alto, con la sua personalità musicale altamente comunicativa, l’eleganza del fraseggio quando parte dalle note basse e velocissimo corre verso l’alto conservando energia, evoluzione ed improvvisazione oltre che tutte le nuance armoniche.
La base ritmica è affidata ad altri due fuoriclasse, Riccardo Fioravanti al Contrabbasso e Stefano Bagnoli alla batteria. Sono loro ad aprire “Torero” ed è un tripudio di suoni, di senso ritmico, di cassa e rullante che rimbombano nello stomaco di chi è in teatro, mentre fluiscono convincenti le note del contrabbasso, spesso inarrestabili nel jazz. A sottolineare le parole della canzone, Rita Marcotulli, unica donna sul palco, che tra le altre e tante caratteristiche, sa muoversi nel confine tra jazz e altre sfere musicali con grande maestria, che sui quei tasti bianchi e neri batte il tempo e intreccia melodie, senza mai perdere il filo del tema, così caro a Massimo Ranieri.

Riccardo Fioravanti
Un concerto diviso in tre parti, come se fossero tre tempi diversi da raccontare, tre stati d’animo, tre storie a se, ma che come fil rouge hanno le sfumature di una musica che non tramonta dentro il mare, ma rinasce ogni giorno con il primo sole.
Capri costola di Napoli, piccolo paradiso dei night club, quell’isola che è la “natura abitata dagli dei” come qualcuno felicemente la definì, riceve l’omaggio con “Luna caprese“. Massimo Ranieri canta senza mai una sbavatura, mai una incertezza, capace di far innamorare tutti.
Arriva uno dei momenti più belli del concerto, quando canta “Indifferentemente” canzone che parla della fine di un amore, di un’ultima scena, di quello sguardo alla luna. Un pezzo che Massimo Ranieri ama molto, così come racconta. Ma il racconto va anche un po’ più in là…corre ad uno dei ricordi più belli ed indelebili della sua vita, corre a quando lui ragazzetto andò in America con Sergio Bruni.
Ci sono momenti di jazz puro, durante il concerto, ci sono tanti ricordi, come quello di quando Stefania Sandrelli volle cantare con lui “Nun è peccato” durante la trasmissione “Sogno o son desto”, pezzo riproposto anche ieri sera.
Non lo si lascia andar via così, un artista di quel calibro. Non si è mai abbastanza sazi, soprattutto quando si ha davanti la storia della musica italiana, quando si è al cospetto dell’emblema della musica italiana fatta a regola d’arte, quando insieme a Massimo Ranieri su quel palco ci sono quei musicisti – che a mio avviso sono stati una felicissima scelta che ne ha decretato il successo – e quando non vi è una sola persona che siede in quei posti, che non vuole sentire i pezzi storici che non sono solo i suoi, ma di tutti noi. “Erba di casa mia“, “Rose rosse“, “Perdere l’amore“, nel bis, che arriva dopo due ore di spettacolo, che arriva pianoforte e voce e in chiusura con il suono del sax contralto di Stefano Di Battista che resta il cabochon di un gioiello, che è e resterà pura Magia…ops, Malìa
Simona Stammelluti
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