Un’ora e 15 minuti di discorso, quello al Senato; letto, pagina dopo pagina, decine di pagine di appunti. Un discorso interrotto spesso da applausi, a volte anche “fuori tempo”. Perché anche gli applausi, hanno un loro spazio, per produrre il giusto significato.
Ma torniamo agli appunti, quegli “appunti” che il presidente Conte rischiava di smarrire – ieri a Montecitorio – e allora ci si chiede quanto sarebbe durato il suo discorso, se avesse smarrito quei fogli di carta, dove sarebbe andato a parare. Perché il problema non sono gli appunti, tutti coloro che parlano in pubblico (figuriamoci un Presidente del Consiglio neoeletto) posseggono degli appunti, che elaborano spesso a penna, nel mentre fanno il punto di quello che si desidera dire; il punto è capire chi li ha scritti quegli appunti, perché se si scrivono in prima persona, magari non ricorderai tutto quello che hai appuntato, magari non userai le stesse espressioni, ma alla fine non sarà una tragedia smarrirli. Magari il tuo discorso non durerà un’ora durerà 50 minuti, magari sarà diverso l’ordine delle cose da dire, ma il contenuto del tuo discorso, non ne risentirà. La stessa cosa non può dirsi per i copioni (inteso come elenco di battute e non come colui che copia). Perché il copione pretende uno sforzo di memoria e se quella manca, la performance non sarà delle migliori.
Diciamo che da chi ci rappresenterà, ci si aspetta che perda anche i fogli degli appunti (che poi appunti non erano, era un discorso bello che scritto) ma che al contempo si ricordi i nomi delle vittime di mafia, che non apostrofi come “congiunto” Piersanti Mattarella, Presidente della Regione Sicilia ucciso nel 1980 da Cosa nostra, fratello del Presidente della Repubblica, Sergio, preso di mira dai social nei giorni scorsi, con inaudita violenza.
E’ Graziano Delrio, che durante il suo intervento glielo urla contro, quel nome, perché è assurdo non ricordarlo, non pronunciarlo quel nome. Scatta l’applauso, la standing ovation, l’emozione. Gli animi si scaldano.
Perché mentre nel primo discorso al Senato – quasi senza voce, con qualche papera, mentre cita Jonas, Beck, Dostoevskij, con la voglia di spiegare a noi comuni cittadini più o meno colti il significato di populismo e tranquillizzandoci sul fatto che loro “no, non saranno razzisti” – alla Camera Giuseppe Conte chiede il permesso a Di Maio se possa o meno dire qualcosa – così come si evince dal video pubblicato dal Corriere della Sera che ha colto il “fuori onda” al quale invece il Presidente non ha pensato. Di Maio gli propina un sonoro “No”(chissà su cosa verteva quel permesso negato). Poi smarrisce gli appunti, Di Maio si offre di cercarli e lo incita a proseguire. Ed è emblematica anche la frase di Relrio che segue questo momento: “Non faccia il pupazzo, Signor Presidente, riscriva di suo pugno il programma e la lista dei ministri”.
C’è chi si è preso la briga di andare a ripescare il discorso di un altro presidente del consiglio, di qualche decennio fa e ops, alcuni passaggi sono molto simili, (per non dire uguali) a quelli proferiti da Conte prima della fiducia: “grande riforma della giustizia, riammodernamento del sistema fiscale, lotta alla mafia, più sicurezza ai cittadini, meno tasse, meno burocrazia“. Io lo so chi l’ha detto, ma non voglio togliervi il passatempo di andare a riascoltare quei discorsi. Un indizio ve l’ho dato, sicché non sarà difficile scovare il “chi l’ha detto?”.
Peccato che quando lo scoprirete, avrete i brividi…di paura.
Simona Stammelluti