Auguri di Buon Anno a tutti i lettori e gli amici di Sicilia24h.it
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Prime vaccinazioni anti covid 19, questa mattina, per il personale dell’ospedale “San Giovanni di Dio” di Agrigento. Poche fiale in questo primo intervento. A vaccinarsi una quindicina tra medici e infermieri tra l’euforia generale.
In un anno complesso, complicato, pieno di incertezze, noi di Sicilia24ore abbiamo fatto del nostro meglio per garantirvi ogni giorno la migliore informazione possibile, con la notizia in tempo reale, dell’ultima ora e con gli aggiornamenti e i servizi realizzati in modo chiaro, lucido e sempre attendibile.
Arrivare a Natale quest’anno è stato difficile e tra incertezze all’ordine del giorno e la speranza che potesse tornare in tempo una possibile normalità, abbiamo fatto in modo di tenervi compagnia, consegnandovi con onestà e dedizione tanto le notizie di cronaca, quanto le notizie di speranza per un futuro meno ostile.
Nel tempo di pandemia, quest’anno è un Natale diverso, con meno apparire e più voglia di riscoprire l’essenza di questa festa che è autentica, se è gioia del cuore.
E allora vi auguriamo un Natale di cose semplici e di affetti sinceri, di serenità e di riscoperta del senso di rinascita che possa essere di buon auspicio per il tempo che verrà.
Auguri dal direttore Lelio Castaldo, dal vicedirettore Simona Stammelluti e da tutta la redazione di Sicilia24h.it
Buon Natale!
Il settore del turismo, degli addetti alla professione di Guida Turistica, è letteralmente in ginocchio, così come il settore dell’arte, della musica e della cultura.
Esclusi dal contributo a fondo perduto del MibACT i professionisti del settore, hanno chiesto un incontro con il ministro Franceschini.
Mi sono fatta raccontare questa delicata situazione da chi vive in prima persona questa difficile realtà attraverso una intervista a Caterina D’Angelo, guida turistica siciliana da oltre trent’anni.
SS: Signora Caterina di cosa si occupa, cosa fa di mestiere? Ci racconta un po’ la sua professione?
CD: Sono la Guida Turistica Caterina D’Angelo, abilitata dalla Regione Siciliana nel 1997. Lavoro dal 1998 in Italiano e Francese in Sicilia Occidentale: Trapani e tutta la Provincia, Palermo (Centro storico e Monreale) e, occasionalmente, anche il tratto Sciacca Agrigento (Valle dei Templi) e oggi Sono relatrice AIAV (Associazione Italiana Agenti di Viaggio) delle Guide Turisticheitaliane. Da 34 anni (inclusi 10 anni di Promozione turistica) la mia attività prevalente è Guida Turistica.
SS: cosa è accaduto al suo lavoro e alla sua vita con l’arrivo del virus?
CD: Con il covid-19 nel febbraio 2020 è cessata ogni attività. Con alcuni Colleghi speravamo in una ripresa in estate, ma le cose non sono andate assolutamente secondo le nostre aspettative. Quasi tutti siamo a fatturato zero. Non sappiamo come fare a sopravvivere.
SS: avete ricevuto qualche contributo a sostengo in questo periodo di difficoltà economica?
CD: Come titolare di Partita IVA ho ricevuto dall’INPS: € 600 a marzo (arrivati in aprile) poi altri € 600 a maggio (arrivati primi di Luglio) e ben € 1000 ad agosto (arrivati ad ottobre) ora aspetto altri € 1000 dall’ufficio Entrate ed altri € 1460 grazie ad un bando regionale.
A novembre 2020 ho presentato regolare domanda a INVITALIA – MIBACT per fondo perduto di € 3000 entro il 2020 + € 4000 previsti nel 2021, secondo modalità richieste, e per l’occasione ho rinnovato con Aruba la mia casella pec, ho fatto lo SPID presso Poste Italiane nonché la firma elettronica alla Camera di Commercio di Trapani (€70)
Nello studio del mio consulente fiscale siamo arrivati a completare correttamente la richiesta, pratica domanda INVITALIA MIBACT, ma alla fine INVITALIA risponde che il mio Codice fiscale e la mia Partita IVA non corrispondono alla stessa identità. Ritentiamo più volte. Stessa risposta. Il mio Consulente controlla il mio cassetto fiscale. Premetto che ho fatto anche, 5 settimane fa, tramite CAF, la richiesta del DURC per accertare la mia regolarità fiscale. Ad un certo punto il mio Consulente mi dice che il mio codice ateco è stato cambiato nel 2012. Riassumendo la mia situazione è questa:
1. Dal 1998 al 2012 lavoro e faccio dichiarazione dei redditi con codice ateco 6330°
2. Dal 2012 ho un altro codice ateco, erroneamente attribuito dal mio ex commercialista, come assistente e fornitore di servizi turistici: 799019
3. Nelle ultime dichiarazioni dei redditi vediamo che comunque risulta il codice ateco corretto, e ora aggiornato di Guida Turistica: 799020
La correzione del codice è avvenuta, ma non retrodatata. Credo che la domanda non è passata per questo.
SS: la vostra professione ha qualche agevolazione dal punto di vista fiscale?
CD: Se ci sono agevolazioni fiscali, non mi risultano. Da molti anni arrivo al tetto minimo di fatturato, e ugualmente le tasse per me sono un argomento delicato e difficile… il mio consulente non ha notato anomalie o nulla di preoccupante e… mi fido di Lui
SS: cosa chiedete come categoria di professionisti del settore turismo?
CD: personalmente chiederei di riaprire presto Parchi archeologici e Musei, fruibili con norme anticovid. Ora siamo circa 200 Guide Turistiche in tutta Italia, con problemi simili al mio, che guardiamo con sincera invidia le 6100 Colleghe (a quanto pare non TUTTE proprio in regola coi requisiti richiesti dal MIBACT) che fruiranno entro il 2020 della prima tranche di circa 3000€ del fondo.
Vorrei sottolineare l’ingiustizia che stiamo subendo tutte noi Guide Turistiche escluse dal fondo MIBACT a causa del cattivo funzionamento del sistema. Io sono una persona piuttosto prudente e moderata nelle mie scelte di vita, per cui sto valutando una forma di ricorso in autotutela.
Capisco perfettamente peró, e condivido la posizione di chi vuole affidarsi a dei bravi Legali. Questa non era una graduatoria di merito, ma un elenco dove giustamente dovremmo rientrare come contribuenti. Ora tutte noi sogniamo un tavolo tecnico politico (Franceschini dove sei?) che vada ad ampliare coi ns nomi l’elenco dei beneficiari del fondo MIBACT, ma dobbiamo, giocoforza, dati i numerosi problemi che si sono verificati, ricorrere a vari interventi sul piano legale, non per nostra volontà, ma per far fronte alle esigenze delle nostre famiglie, cui speriamo, nonostante tutto, di donare il Natale più sereno possibile.
SS: Signora Caterina vuole fare un pronostico su ciò che sarà in futuro?
CD: So che la Sicilia e la sua millenaria cultura dell’ospitalità sapranno sempre e comunque far fronte alle situazioni più imprevedibili o incredibili. Per noi Guide l’Ospite è sacro, e si tratti di una sola persona, o di mille, noi saremo sempre qui ad accogliere, ricevere e dare voce alla nostra Terra, anche se, in tempi post-covid, le regole e le modalità di accoglienza potrebbero essere leggermente diverse da quelle cui tutti siamo abituati. Ma credo che, dopo questo terribile inverno, arriverà la primavera.
Simona Stammelluti
Una speciale installazione artistica quella di Giuliano Macca, straordinario artista siciliano, di Noto, classe 1988, che ha regalato un abbraccio di 1.200 metri quadrati ai piedi della rinascimentale torre del Cassero a Castiglion Fiorentino, per lanciare un segnale di ottimismo e di speranza.
“L’abbraccio è un interscambio di anime, il simbolo di questo periodo storico molto buio in cui le cose importanti ci sono state tolte” – dice l’artista.
L’idea dell’artista siciliano e della galleria Etra Studio Tommasi di Firenze si realizza nella splendida cornice della Val di Chiana, con la benedizione di Vittorio Sgarbi: “l’idea è quello di ingrandire un dipinto e di farlo diventare un enorme tappeto su cui si può passeggiare, visto dall’alto e che contraddice i tempi in cui siamo invitati alla distanza sociale; la prospettiva è che si possa tornare ad abbracciarci, quindi è un dipinto di auguri”.
Giuliano Macca, che sul social più famoso al mondo, Instagram, è conosciuto come @nongiuraresudio regala arte che lascia stupiti, come i suoi dipinti realizzati con le penne bic, e con opere che lasciano senza fiato, perché capace di raccontare l’inquietudine umana, emozioni e sentimenti con disarmante autenticità.
Si sono aggravate le condizioni di salute di Totò Cuffaro, ex presidente della Regione, al quale è stata riscontrata una polmonite da covid e dunque ricoverato all’ospedale Cervello, centro Covid di riferimento a Palermo, dove è giunto accompagnato dai sanitari del 118.
Nei giorni scorsi era stato lo stesso Cuffaro a comunicare dalle pagine social che era risultato positivo al Covid: “Cari amici, mi duole comunicarvi che attualmente mi ritrovo costretto in casa, a causa del temuto Covid che ha colpito anche me e e mia moglie. Le mie condizioni sono pressoché buone e volevo tranquillizzare tutti gli amici che quotidianamente mi contattano per chiedermi come stia. Il Covid è un male che si insinua in maniera silente, quindi, vi prego di fare attenzione ed evitare di trascurare le regole di precauzione imposte. Purtroppo, nel mio caso, me lo sono ritrovato in casa, quindi, a nulla sono valse le precauzioni adottate all’esterno. Per questo motivo, ci tenevo ad avvertirvi rispetto il reale pericolo e a sensibilizzarvi su questo tema – aveva aggiunto Cuffaro – Mettete la mascherina, igienizzatevi il più possibile e mantenete la distanza di sicurezza. Poche semplici regole possono garantire la salute vostra e dei vostri cari. Adottatele”.
Il giornalista direttore di Sicilia24h.it, Lelio Castaldo, è ospite di una nuova puntata di Punto Fermo Day, la rubrica settimanale ideata e condotta da Mario Gaziano, in onda oggi, giovedì 3 dicembre, al termine del Videogiornale di Teleacras. Lelio Castaldo racconta la sua esperienza di avere contratto il coronavirus, e lancia un messaggio ai telespettatori.
Il Teatro nella “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne“.
Il Teatro.
La sua forza comunicativa; alla radio però.
La radio, quella di Radio3, dalla quale esce un testo, “Barbablù” che non si dimentica; un testo pazzesco, magistralmente diretto.
Un monologo, per la prima volta in Italia.
E poi una voce.
Una voce che, quando non ti è concesso utilizzare la vista, amplifica ogni sensazione e non concede distrazione alcuna.
Una voce straordinaria, baritonale, quella dell’attore Tommaso Ragno, che ti affascina, ti perseguita, entra dentro di te, ti tortura, spalanca le tue paure più recondite e che ti inghiotte, costringendoti a guardare da vicino, ma ad occhi chiusi, la personalità di un serial killer.
Il testo è quello scritto da Hattie Naylor, scovato e tradotto da Monica Capuani, e diretto da Veronica Cruciani che ne ha curato la regia. Tre donne, non a caso, che si immergono completamente dentro le manie, la psicosi, l’egocentrismo, il narcisismo e le imprese erotiche di un uomo che le donne le selezione, le irretisce, le violenta, le annienta e le uccide.
Un monologo curato da donne capaci di guardare in faccia la ferocia di un uomo che come il Barbablù della fiaba, pensa di non aver nulla da perdere, che agisce e si esalta dentro le sue gesta e che non immagina quel finale.
La regista, Veronica Criciani, dirige il monologo parlando principalmente agli uomini, senza paura, mostrando quella forma di protagonismo becero che abita coloro che inneggiano al sesso e alla violenza come ad un atto eroico, sceglie di dar voce al personaggio che nella storia si registra, parla ad un microfono e poi si riascolta esaltando la follia dei suoi gesti e delle sue gesta.
Parla all’ “io” debole e compassionevole di chi non sa reggere il peso del vivere e desidera la fine, di chi pensa di non avere valore e quindi di trovare riscatto nell’essere annientato e maltrattato.
Un linguaggio, quello usato che è scurrile, truce, che non fa sconti, che è offensivo ma dentro il limite massimo consentito.
Un linguaggio che però contempla la possibilità di chiamare “le sue loro” i seni, “rossa” la vagina, e “granito” il membro maschile.
Una descrizione di particolari che riguardano la scelta delle vittime, Susan, Annabel, Judy, l’approccio, la seduzione (quando serve) il rapporto di sesso, la violenza, la tortura. A volte la morte, a volte no. Giovani, meno giovani, insicure, a volte fragili e quello scambio di povertà interiore che si scatena ed esplode quando la realtà perversa, si scontra con un passato che ha costruito la vita, le sensazione, la natura, le sofferenze e le debolezze di un criminale che uccide, e poi reitera perché sa esistere solo così.
La donna non è mai descritta nel suo insieme come se si volesse ignorare la sua personalità, il suo completo “essere”. La donna è raccontata solo per dettagli, quelli comuni a tutte, che non sono segno distintivo di una scelta.
Ogni respiro, dell’attore, ogni intonazione, è una dimensione dalla quale si vorrebbe scappare, ma che al contempo è trasbordante di fascino. Brava la regista a costruire quelle intenzioni nelle quali si vuole restare, malgrado la tragicità di una storia che per quanto orrenda, consegna un lieto fino, così come nella fiaba.
Perché la bellezza di questo testo risiede nella forza di una delle tante donne che incontra sulla sua strada “barbablù”, ma che non soccombe perché riconosce il suo interlocutore, conosce quel mondo e non vi cede, riconosce il mostro e porta a compimento un riscatto nel quale, annientando l’aguzzino, racconta la forza del mondo femminile, della positività di riscatto, della volontà di non abbassare la guardia.
Dettagli del monologo, sono stati disegnati e ricamati così bene dalla regista, che sono da applausi a scena aperta. Come quel finale, in cui il mostro sposa una delle sue tante vittime, quella che più calza a pennello con il suo desiderio si soggiogare, colei che non vuole mai sapere nulla, che si lascia fare qualsiasi cosa, ma che mossa dalla curiosità, varca la porta della stanza della crudeltà.
E non sarà però come nella fiaba, dove a salvare l’ultima moglie di Barbablù sarà un fratello coraggioso, ma una zia, che al criminale non lascerà scampo ma solo 11 secondi per realizzare che è finita. Un proiettile che lo annienta, lo ferisce a morte; un proiettile che attraversa il tatto, l’odorato, la volontà, la memoria, l’empatia, la vista, il colore, la luce, il buio. Tutto finisce in quel luogo dell’orrore, in quella stanza dove lui si è sempre sentito invincibile, lì dove a soccombere, quella volta è lui, con tutto il suo ego che lo ha reso un mostro accattivante, dentro il suo maledetto paradiso.
La conta di quegli 11 secondi che lo separano dal buio, dalla morte, che lasciano sospeso l’orrore, prima che precipiti, esaurendosi per sempre.
Un’opera diretta con la maestria di chi sa bene dove si vuole andare, come raggiungere il pubblico, come colpirlo nella coscienza, con la costruzione di un personaggio, che è uguale a quelli raccontati dalle cronache ma che mostra, la forma di una crudeltà che alla fine, non trova scampo.
Simona Stammelluti
Ogni anno infiocchettiamo pensieri a favore delle donne, ci schieriamo contro la violenza, ci atteggiamo a persone integerrime e incapaci di qualunque violenza.
Poi guardiamo i numeri, e sale lo sgomento.
Eppure la violenza sulle donne non è solo una violenza fisica. Lo diciamo ogni anno e ogni anno siamo sempre punto e daccapo.
E’ violenza ogni qualvolta si immagina un mondo in cui la donna ha un ruolo minore, di secondo piano, in società, in politica, nelle professioni in cui ancora l’uomo domina la scena;
ogni volta che non la si considera allo stesso livello di un uomo, che non la si considera meritevole di una promozione, di un ruolo di rilievo, di un nome sulla porta di una stanza di comando;
ogni volta che si pensa di poterla soggiogare anche con parole che non sono educate, consone, rispettose, o quando con atteggiamenti di potere si pensa di poterle sottomettere, impaurire, “conquistare”, dettare loro regole di comportamento che possano piacere a chi è più in alto, volendole adeguare ad un codice in cui la donna ancora deve sottostare, deve stare a casa, deve lasciare spazio all’uomo e se non lo fa allora deve essere redarguita, rimessa al suo posto, segregata dentro uno stereotipo di genere che non è più possibile concepire.
E’ violenza tutte le volte che immaginate una donna che non ha potere neanche sulle proprie emozioni e sui propri sentimenti, e che dunque non può lasciare un uomo quando non ama più, ma deve sottostare, deve subire, deve arrendersi ad una condizione che sta bene a tutti tranne che a sé stessa, come se la donna tutta, avesse un valore inferiore all’uomo.
E’ violenza anche quella psicologica, quella che si insinua dietro finte parole d’amore.
Ti vorrei così […] Mi piacerebbe che tu facessi […] Ancora non mi hai ubbidito […]
lasciando intendere che non è e non sarà mai “perfetta” agli occhi dell’uomo che invece fa sempre e solo quello che vuole, e che reputa giusta qualunque sua azione e parola, anche gridare “sei una puttana”, oppure assestando uno schiaffo, che poi diventano due, tre, che poi diventano massacri dentro mura che sanno essere solo prigione e sede di violenza domestica. E’ violenza anche quella di chi sa e non parla, di chi fa finta di non sapere tanto “non sono affari miei”.
La donna non può desiderare, non può scegliere un uomo con cui intraprendere una relazione, perché sennò resta una poco di buono, l’uomo che lo fa, che sceglie, che fa il piacione in giro, è invece macho, è uomo di mondo.
Ogni anno noi giornalisti ci ritroviamo a fare i famosi “report” su quello che accade, siamo costretti a raccontare numeri, eventi, reati.
Lesioni, costrizioni al matrimonio, stalking, e adesso anche il “reveng porn” quella subdola e vigliacca diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti. Perché un uomo si sente autorizzato a filmare un rapporto sessuale, si sente forte, potente, lui può tutto, può divertirsi e poi far divertire anche gli altri, violando la privacy della donna che ha scelto quel rapporto sessuale, liberamente, ma che poi si trova imprigionata dentro la diffusione di immagini che la riguardano e che la offendono, la annientano, le tolgono tutto.
E allora non serviranno i convegni, le panchine rosse dedicate e neanche la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, se non cambiamo il modo di comportarci, se non educhiamo i ragazzi che diventeranno uomini ad avere rispetto della donna, prima ancora che insegnare alle ragazze che diventeranno donne a difendersi dall’uomo violento, che la denigrerà, che la offenderà, che la circuirà, che la violenterà e che non le riconoscerà mai diritti, capacità, ruoli.
L’ipocrisia di un giorno nel commemorare le vittime di femminicidio, di violenza, non laverà via colpe, non ripulirà coscienze. Vorrei un cambio di rotta, mentre si incomincia dal basso, dall’insegnare a chiedere scusa, dal rispetto che si deve alla donna come essere umano e come essere umano capace e libero di dire NO, senza finire vittima di un sistema che la contempla come una costola di chissà quale Adamo che resta uomo e pertanto, imperfetto.
Simona Stammelluti
Andrà in onda su Rai Radio 3 il 25 novembre alle ore 20,30 – per la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne – la lettura Barbablù/Bluebeard, testo di Hattie Naylor, traduzione di Monica Capuani, interprete Tommaso Ragno e con la regia di Veronica Cruciani; sonorizzazione a cura di Giovanna Natalini, introduzione di Simona Argentieri, a cura di Laura Palmieri.
Veronica Cruciani porta in radio un testo feroce, drammatico, potente e necessario perché la violenza contro le donne è sempre più al centro del dibattito pubblico: persino in un’epoca che si professa civilizzata come la nostra il fenomeno è in aumento.
È un testo controverso, che pone interrogativi e questioni che ad alcuni potrebbero risultare “scandalosi”, questo Bluebeard della drammaturga britannica Hattie Naylor, monologo teatrale che ha debuttato all’Old Vic di Bristol nel giugno 2013 per poi approdare al Soho Theatre di Londra, e ancora mai rappresentato in Italia.
Un racconto in prima persona, senza mezze misure e senza sconti, di un uomo che confessa le sue imprese sessuali, senza indulgenza verso di sé o le sue partner. Una confessione che contiene in sé (come la favola di Perrault) due tratti tipici dello schema criminologico che si ritrova nella casistica delle forme più gravi di violenza di genere: la dipendenza / sottomissione al potere maschile e l’isolamento della donna vittima.
Dalle note di regia di Veronica Cruciani
Le donne continuano a morire. Il femminicidio è l’esplosione di violenza che porta all’uccisione di una donna quando decide di non rispettare il confine del ruolo impostole da un uomo. Come l’ultima moglie di Barbablù, che oltrepassa la soglia della stanza proibita.
“Ho sempre voluto scrivere un Barbablù”, dice la drammaturga inglese Hattie Naylor. “Barbablù si inserisce in modo molto scomodo nella tradizione della fiaba, perché è un racconto particolarmente raccapricciante. Ci sono pochi serial killer nelle fiabe. La mia ispirazione è stata anche la bellissima versione di Angela Carter in La camera di sangue. Non mi ha mai convinto l’opinione comune sulla morale di Barbablù, e cioè che “la curiosità ha un prezzo”. Di solito le fiabe sono avvertimenti, ma la punizione che tocca alla nuova moglie di Barbablù è del tutto sproporzionata rispetto al crimine”.
Nella mia visione lo spazio di Barbablù è il luogo del narcisismo maschile. È lo spazio in cui l’aguzzino costruisce la documentazione celebrativa delle sue gesta ero(t)iche, che è anche lo spazio che i corpi delle donne-vittima hanno abitato.
Questo moderno Barbablù parlerà al microfono – strumento che metterà in luce la dimensione di auto-rappresentazione perversa della propria vita. Il tentativo di narrarsi, celebrarsi, giustificarsi, di fare mondo, di essere mondo. Di lasciare traccia, una traccia manipolata e costruita che disegna la propria autobiografia adulterata.
“Jung credeva nelle storie archetipiche, storie che ci colpiscono nel profondo, e che risiedono da e per sempre nell’‘inconscio collettivo’”, continua Hattie Naylor. “Quando attingi a un archetipo, stai utilizzando un modello durevole, solido e familiare, con risonanze emotive già molto profonde. È un grande trampolino. Puntare un riflettore sui luoghi più bui della nostra condizione umana, con le sue infinite sfumature e contraddizioni. Astenendosi dal giudizio, ponendo interrogativi difficili, lasciandoci preda di complessi dilemmi. È questo il mandato delle fiabe immortali, della tragedia greca, della migliore drammaturgia contemporanea”.