Viale della Vittoria, ad Agrigento … il salotto della città.
Le immagini sono di pochi minuti fa: ore 11.30 del mattino.
Ogni ulteriore commento ci risulta superfluo.
Viale della Vittoria, ad Agrigento … il salotto della città.
Le immagini sono di pochi minuti fa: ore 11.30 del mattino.
Ogni ulteriore commento ci risulta superfluo.
Nell’ambito della maxi inchiesta “Sorella Sanità” che sta facendo luce su intrecci tra il mondo politico e quello sanitario in Sicilia, rischia di finire agli arresti domiciliari il docente 46enne Vincenzo Li Calzi, di Canicattì.
I giudici del Tribunale del Riesame, ha accolto solo in parte il ricorso avanzato dalla Procura di Palermo, e nell’ordinanza depositata hanno tenuto in piedi il reato di corruzione, per il quale la richiesta di arresto.
L’indagine avrebbe accertato un vasto giro di tangenti nell’ambito degli appalti per le forniture a ospedali e aziende sanitarie provinciali e Li Calzi è considerato il braccio destro di Salvatore Mangarano, aspirante collaboratore di giustizia e stretto collaboratore del manager dell’Asp di Trapani, Fabio Damiani.
La misura cautelare però resta sospesa perché il legale di Vincenzo Li Calzi, Angela Porcello, ha annunciato che ricorrerà in Cassazione.
Come sempre ho bisogno di metabolizzare, ho bisogno di capire (per quanto possibile) e di riflettere. Poco altro si può fare quando la cronaca ci restituisce una realtà che non si può ignorare … non più. Siamo ad un punto di non ritorno, la violenza ha la forza di un potere subdolo e ignobile. La bellezza della vita viene sotterrata, infranta, umiliata, annientata. C’è un dolore che si fa eco e una mostruosità che si insinua sempre più nei nostri giorni, nelle vite di tutti, rendendoci un po’ colpevoli e forse anche complici.
A che serve un processo, per 4 mostri che uccidono un loro coetaneo?
Una crudeltà così efferata, una colpevolezza così esplicita, che non si coniuga con il principio di innocenza fino al terzo grado di giudizio. Chissà se un ergastolo potrebbe redimerli, ma io alla redenzione faccio fatica ormai a credere. Perché quei giovani così violenti, che si sono sentiti padroni del mondo e della vita altrui, che hanno massacrato di botte un giovane con tante speranza, un sogno nel cassetto e tutta una vita davanti, sono figli di famiglie che non hanno saputo insegnare loro il rispetto per la vita altrui e delle regole, non hanno insegnato loro l’educazione al vivere, non hanno saputo iniettare nelle loro coscienze la differenza tra bene e male, la forma di quell’essere parte di una società nella quale le differenze possono migliorarci, non scavare distanza che poi annientano, rendendo tutto così assurdo.
Concorso in omicidio preterintenzionale.
Calci, pugni senza sosta fino alla morte.
Non c’entra la passione per le arti marziali (che invece insegnano il senso di disciplina, il rispetto delle regole, l’autocontrollo, l’onore e lo spirito di sacrificio) né i tatuaggi, né il look. Non c’entra l’eventuale emulazione di violenza che da sempre nel cinema viene raccontata come parte di un mondo che si divide tra buoni e cattivi.
C’entra la mancanza di cultura, c’entra quella sottocultura che innesca questo genere di tragedia, c’entra una vita senza regole, il culto della violenza, i precedenti di questi ragazzi avvezzi alla rissa facile, su cui grava ad oggi un’accusa così tremenda.
“In fondo che ha fatto, ha solo ucciso un extracomunitario“. Sono le parole dei familiari di uno dei presunti assassini. I genitori di Willy Monteiro, capoverdiani sono perfettamente integrati, e non “estranei” a quella comunità.
Se esiste un aggravante razziale saranno gli inquirenti a stabilirlo, ma se si cresce in un ambiente familiare in cui un ragazzo nero viene considerato “solo un extracomunitario” allora non c’è più speranza per una società che diventa sempre più insensibile al dolore.
Saranno testimoni e immagini di telecamere a dire come siano andate le cose, ma c’è una condizione sociologica che deficita, un grado di civiltà che si è assottigliato fino a spezzarsi, una disattenzione generale verso la crescita di una nuova generazione che non ha maturato l’importanza del limite che è alla base della differenza tra il lecito e il reato.
20 minuti per uccidere, per togliere la vita.
Un tempo sospeso che annienta e cambia i connotati della vita di molte persone.
Una realtà che ormai oltre ad una morte a tempo, ha sdoganato tutto, dalla violenza verbale al razzismo, dal delirio di onnipotenza all’atto di follia. Torniamo ad educare, al rispetto delle regole, all’onore, all’autocontrollo, allo spirito di sacrificio.
Per ora ci resta la speranza che chi ha commesso il crimine venga assicurato alla giustizia, venga punito in base al crimine commesso e che possa arrivare assieme alla giustizia terrena, anche una redenzione, affinché il male si esaurisca, piano e inesorabilmente, dentro le coscienze e oltre le sbarre di una prigione.
Simona Stammelluti
Non scrivere una recensione circa Tenet il nuovo film di Christopher Nolan – nelle sale in questo giorno, che c’ha tenuti tutti in gran curiosità durante il lockdown – sarebbe davvero scortese. Non fosse altro perché Nolan (che a questo giro ha fatto tutto da solo, soggetto, sceneggiatura, regia) resta uno straordinario regista, che sa come giocare con gli effetti speciali, che si serve di un comparto tecnico impressionante, e che ha scritto storie che – nel corso della sua carriera – hanno avuto il destino di essere ricordate e premiate.
Ve lo dico subito così ci togliamo il pensiero, a me il film non è piaciuto, almeno alla prima visione, e vi prego di credermi se vi dico che non ero stata influenzata dalle voci che giravano, che nulla sul film avevo letto e che mi ero tenuta lontana anche dai tanti trailer che a ripetizione mi si piazzavano dinanzi sui motori di ricerca. Se fosse per assurdo l’ultimo film del grande regista inglese, per me sarebbe come “il rantolo del ciglio”, al posto del “canto del cigno” e questo lo dico pur essendo pazzamente innamorata di Christopher Nolan (cinematograficamente parlando).
150 minuti in sala nei quali continui a scuotere la testa a dire frasi tipo “non ho capito“, “ma questo che vuol dire“, “non c’ho capito nulla“, “ah … forse ho capito“, “ma questo è il presente o il passato? Ah già, vanno indietro, quindi è il passato“. Insomma passi due ore e mezzo a capire se sei dinanzi ad un capolavoro o ad una minchiata pazzesca.
Nel film c’è il Nolan degli effetti speciali, della dinamicità che non lascia scampo, ci sono scene che ricordano Batman, che ricordano Dunkirk e che ricordano anche Interstellar, ma a differenza dei suoi capolavori del passato questo film non ti prende, non ti trascina altrove, non ti fa provare quella piccola ansia mentre tifi per qualcuno e quindi è – a mio avviso – un film privo di pathos.
La trama, tra il nonsense e una storia fantascientifica poco probabile anche nel 2020, è debole, malgrado si snodi in una macchinosità senza precedenti. Non sai come definirlo: Action movie? Film di spionaggio? Film di fantascienza? Ci provi, a definirlo, ma non ci riesci.
Ho apprezzato pochissime cose della pellicola e tra queste poche cose c’è la colonna sonora firmata da Ludwig Göransson che è inquietante, ammorbante, martellante, ma è stata l’unica cosa capace di creare una certa suggestione soprattutto perché il film – che Nolan mi perdoni – ha dei dialoghi a dir poco imbarazzanti, tanto che spesso ti viene da dire: “ma perché!?“, portandoti la mano alla fronte.
Nata come una sfida (da parte del regista) finisce per essere una resa a mani basse (da parte dello spettatore) che continua a porsi delle domande (lecite) davanti a delle evoluzioni assai contorte nella narrazione che raccontano più delle ossessioni di Nolan, che della storia in sé.
Direte: “Ma di che parla questo film”?
Troverete cento recensioni ed ognuna vi racconterà una storia a modo suo.
Normale, perché la verità è che solo Nolan, se volesse, potrebbe dirci cosa cacchio voleva raccontarci con questo film.
A me alla domanda: “Ma di che parla questo film?” verrebbe da rispondere: “E chi lo sa” – seguito da una sentita risata. Ma siccome il regista è il grande Christopher Nolan allora ve lo dico, a modo mio di cosa parla questo film, senza spoiler, perché quello, sarebbe un sacrilegio, perché le domande, ve le dovete porre tutte, se decidete di andare a vedere il film e dovete soffrire per 150 lunghi minuti come ho fatto io.
E’ la storia di una corsa per salvare il mondo, andata e ritorno.
Un po’ nel passato un po’ nel presente.
C’è un protagonista (senza nome) che senza saperlo (perché il futuro non è contemplato nel film) ingaggia una squadra per impedire ad un trafficante russo, di far cessare il mondo. E per fare tutto questo si innesca un viaggio cronologicamente impazzito, un algoritmo diviso in 9 parti che non deve mai riuscire a comporsi per intero, una guerra tra buoni e cattivi con armi nucleari invertite, dentro e fuori una dimensione che fai fatica a tenere d’occhio, dentro una entropia, un disordine che finisce per tenere incastrato anche il pubblico in una “tenaglia temporale“ che però non emoziona.
Tenet è una organizzazione, ma è anche una porta, un passaggio tra flussi temporali che a volte si sovrappongono e a tratti ti ingannano. Tenet – nome palindromo – è un enigma, una inversione, con un riferimento a una doppia dimensione, tutta da scoprire, e chissà quante volte dovremo vedere il film per capirci qualcosa che anche “lontanamente si avvicini” (scusate il gioco di parole) alle intenzioni di Nolan.
Parole chiave come “tempo crepuscolare”, “paradosso del nonno”, “mossa a tenaglia” gravitano dentro una distruzione che avverrebbe se non si invertisse la rotta, se non si attraversassero dei flussi temporali al contrario, un andare controcorrente per resistere ad un tempo nel quale si innesca un conto alla rovescia.
Veniamo ai protagonisti? Tutti belli, ma poco efficaci.
Il figlio del gigante cinematografico Denzel Washington, John David Washington è il protagonista senza nome (e pure senza gloria, aggiungo io) che non ha quell’appeal che serviva per creare una empatia con lo spettatore. Crede di essere un agente della CIA ed invece è …(andate al cinema)
Dal futuro arriva Neil, interpretato da Robert Patterson, (biondino e slavato) che fa un po’ tutto, informatore, agente segreto, amico del protagonista, ecc e che si sacrifica in qualche modo. Come? (andate al cinema)
Kenneth Branagh veste i panni del magnate russo che tiene in pugno tutti e tutta la vicenda, prima fra tutti sua moglie, interpretata da una deliziosa Elisabeth Debicki, che vorrebbe vederlo morto. Perché? (andate al cinema)
A Nolan non interessa affatto spiegare perché alcune cose nel film accadono o al contrario non accadono. Perché mentre qualcuno muore, e dovrebbe accadere qualcosa, questo qualcosa non accade?
Nolan si è servito di stratagemmi narrativi irrilevanti per costruire una vera e propria provocazione, nulla più. Non gli interessava chiarire la trama, che è aperta proprio perché di difficile messa a fuoco.
Solo Nolan si poteva permettere questo genere di provocazione, questo capriccio, con un film confezionato ad arte, dentro il quale ti domandi perché, se potevano andare nel passato non hanno bloccato tutto quel caos prima ancora che accadesse. La risposta è … andate al cinema.
Simona Stammelluti
Quando avvengono morti così terribili ma al contempo così complesse, si corre il rischio di voler trovare un colpevole che abbia un nome ed un cognome, qualcuno da assicurare alla giustizia se è ancora in vita o da crocifiggere sull’altare delle colpe, come se debba per forza essere uno e uno soltanto il colpevole.
E’ davvero un “rompicapo con troppe variabili” – come lo ha definito il Procuratore di Patti Angelo Cavallo.
La storia di Viviana Parisi e del suo figlioletto Gioele che occupa le pagine principali di giornali e Tg ci pone inevitabilmente davanti a innumerevoli quesiti, molti dei quali sono differenti e distanti da quelli ai quali stanno lavorando gli investigatori, che devono delle risposte a chi resta, devono delle risposte perché il loro lavoro è quello di risolvere enigmi, fornendo dati certi, concreti ed inconfutabili. E lo dovono perché la verità è d’obbligo, perché si deve sapere cosa sia successo. Un po’ più difficile è stabilirne i perché e dietro quei perché spesso c’è un mondo buio, sconosciuto, a volte incomprensibile fino in fondo e che fa paura, calato in quella realtà in cui ci siano dei bambini tanto piccoli quanto indifesi; perché non sempre noi genitori siamo in gradi di proteggerli da qualcosa di brutto e a volte anche da noi stessi.
E così mentre ancora investigatori e forze dell’ordine lavorano alacremente e senza sosta per porgere ai familiari e all’opinione pubblica una verità quanto più possibile vicina alla realtà, a volte fatta anche di congetture, ricostruzioni, presupposti tutti da verificare e da far quadrare, a me è venuto in mente l’importanza di tutto quello che è dietro la vita di quella famiglia, qualcosa che si sia nascosto in una quotidianità apparentemente come tante altre, ma che in buona sostanza era la personalissima vita di Viviana, di suo marito Daniele Mondello e del piccolo Gioele.
A me sembra che si cerchi a tutti i costi di screditare l’operato delle forze dell’ordine come se ci fosse una volontà precisa di non consegnare la verità. Ma la verità fa il paio con coscienza.
Daniele Mondello dalle pagine di Fb, dalla sua pagina pubblica che fino a qualche mese fa usava esclusivamente per mettere musica a palla (cose da Dj) oggi, lancia l’elenco di cose che – Mondello ci scuserà – sappiamo già perché ce le aveva già dette ossia che la moglie non aveva mai picchiato il figlio, e che soffriva di un po’ di ansia. A parte che la cosa più brutta di casi come questo è che la vita cosiddetta privata diventa di dominio pubblico, ma viene da chiedersi invece cosa sia accaduto davvero nel periodo antecedente alla tragedia. Chissà se il signor Mondello qualche domanda se la sia posta, se sia andato indietro con la mente a qualche episodio del passato, a qualche avvisaglia, a qualche parola detta o al contrario taciuta.
Dal certificato medico diffuso dai legali del sig. Mondello, ritrovato nell’autovettura datato 17 marzo si evince che Viviana Parisi fosse affetta da “paranoia con un crollo mentale dovuto a una crisi mistica”. Tra stato ansioso e crisi paranoica c’è un vero abisso e lo si capisce anche non essendo esperti in materia. Ma ho chiesto ad uno specialista di spiegarmi cosa accade quando si è affetti da questa patologia e così ha risposto:
Tutte le patologie di tipo psicologico o psichiatrico danno le “avvisaglie”. Nel caso specifico, trattandosi di psicosi con deliri paranoidei e deliri mistici, direi che i comportamenti disfunzionali che ne derivano sono assolutamente chiari e visibili. Quando si parla di psicosi, non si deve pensare solo alla conosciuta schizofrenia che generalmente ha un’insorgenza nella giovane età adulta, anche se i sintomi prodromici, spesso equiparati a quelli tipici dei disturbi di personalità, sono presenti già in adolescenza, ma anche ad altri tipi di psicosi con origini differenti, come quelle indotte da condizioni mediche, indotte da sostanze oppure da traumi. In questi casi le psicosi possono essere diagnosticate a qualsiasi età. Al momento si sa solo di queste diagnosi ma se ne dovrà accertare l’origine. Veramente una triste storia che poteva essere evitata se solo alle malattie mentali si desse la stessa dignità di quelle fisiche.
Io non lo so che cosa sia successo a Viviana e al piccolo Giole e resto in attesa che si faccia luce su tutta la vicenda, perché si è consumata una tragedia della quale ancora sappiamo molto poco, e la strada è ancora lunga fino a quando si potrà accertare cosa sia accaduto con certezza, ma alcune domande nascono spontanee:
C’è stata la giusta cautela?
Ci si accertava tutti i giorni che questa donna fosse in grado di badare a se stessa e al bambino?
Ci saranno state altre bugie come quella di quel giorno della scomparsa, quando Viviana raccontava di dover andare in un luogo e poi si è trovata da tutt’altra parte?
Perché quando ha ingerito quelle 6 pillole, si è lasciato che la donna firmasse per lasciare l’ospedale?
Qualcuno può dire o meno se si era trattato di un tentativo di suicidio?
La donna era o non era sotto osservazione?
Quella crisi mistica che effetto aveva nel quotidiano della donna?
Dalle pagine Facebook si evincono video in cui è evidente che fosse una normalità per i genitori di Gioele permettere al bambino di stare in piedi in macchina al centro tra mamma e papà mentre la macchina era in marcia. Cantavano, si riprendevano e il bambino era in piedi, sempre. Presumibilmente anche il giorno della sciagura – saranno i video sequestrati insieme alla pagina social della donna a darne conferma – il bambino era in piedi. Chiameremmo “incoscienza” quello che forse per loro era solo una leggerezza. Non assicurare un bambino così piccolo in un regolare seggiolino omologato, è un atto sconsiderato, senza coscienza.
Gli operai dell’Anas sostengono che quando hanno sentito la botta del tamponamento avvenuto ad opera di Viviana Parisi, si sono avvicinati alla vettura che dopo l’impatto aveva proceduto ancora di 50 metri e che una volta giunti sul posto non hanno visto nessuno, non c’era nessuno all’interno del veicolo. Ma Viviana con in braccio Gioele si sarà allontanata dal luogo e risulta impossibile credere che nessuno abbia visto la donna e che nessuno si sia chiesto cosa ci facesse a piedi su un’autostrada e perché scavalcasse un guardrail. Tanti sono stati gli appelli da parte degli investigatori a chi avesse qualche notizia che potesse essere d’aiuto per risolvere questo caso così simile ad un rompicapo. E quell’ultimo messaggio lasciato da Viviana: “arriva il momento in cui ci smarriamo, in cui abbiamo bisogno della solitudine”.
Si sentiva sola Viviana?
Dentro quale tipo di solitudine era finita?
E se aveva una crisi mistica, e credeva in Dio perché uccidersi?
Perché era salita su quel traliccio?
Da cosa o chi scappava?
A me sembra che si voglia screditare gli altri, quando basterebbe forse, nell’attesa che si arrivi alla sacrosanta verità, che ci si soffermasse a porsi qualche domanda. Forse una parte di verità risiede anche in fondo ad una indispensabile coscienza.
SHAKESPEA RE DI NAPOLI composto e diretto da Ruggero Cappuccio al Globe Theatre Dal 2 al 6 Settembre
Se fosse possibile stilare una hit parade dei testi teatrali contemporanei più rappresentati, SHAKESPEA RE DI NAPOLI sarebbe saldamente sul podio. Lo spettacolo, che da 26 anni e oltre 2000 repliche attraversa i palcoscenici dei teatri italiani ed esteri, va in scena per la prima volta in assoluto al Globe Theatre, nel tempio romano del Bardo. Il testo di Ruggero Cappuccio, pubblicato nella Collana Classici Einaudi, è interpretato, oggi come allora, da Claudio Di Palma e Ciro Damiano. La messinscena, nata al Festival di Sant’Arcangelo diretto da Leo De Berardinis nel 1994, ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti internazionali e continua ad affascinare platee e generazioni diverse.
Shakespea Re di Napoli nasce da questo perché: la morte è quel sogno ad occhi chiusi che nella vita facciamo ad occhi aperti. Il mio difetto è credere solo negli aldilà, oltre il visibile, oltre il reale, la parola, il teatro. Siamo nei primi anni del Seicento. Desiderio torna a Napoli dopo un avventuroso naufragio e riabbraccia il suo vecchio amico Zoroastro. A lui racconta di aver vissuto a lungo a Londra e di essere diventato il più grande interprete dei personaggi femminili del grande drammaturgo inglese. Zoroastro è incredulo, sospetta che Desiderio stia narrando una delle raffinate menzogne cui lo ha abituato fin da ragazzo. La sfida interiore tra i due amici va avanti tra altissima poesia e tagliente comicità, mentre il mistero si estende progressivamente sulle loro vite. Così, nella storia appaiono misteriosi fotogrammi: le sabbie, il Seicento, la peste, un quadro, un baule, l’inchiostro sbiadito dei Sonetti di Shakespeare. Una nave affondata. Un anello perduto. Desiderio e Zoroastro: due amici sorpresi nell’abbraccio di un addio e di un ritorno. L’Inghilterra. Il genio. La bellezza. Le lettere dell’eros del grande poeta di Stratford. Tutto fiammeggia in una lingua che è intima di un’idea della partitura, della concertazione, del suono, in cui i sensi impongono una comunicazione intuitiva fondata sull’indicibile del compositore, l’indicibile dell’interprete, l’indicibile dell’ascoltatore. Solo il non detto è degno di essere letto. Solo i silenzi possono veramente essere ascoltati. Il conflitto e confronto del teatro elisabettiano con le forme espressive della Napoli barocca sono i presupposti per l’invenzione di una sinfonia del dire, specchiata in significati e ritmi che tendono alla sospensione assoluta di una storia nel tempo. La menzogna, l’indimostrabilità, la falsificazione dei fatti come gesto eversivo in grado di estendere i confini della verità sono in questa scrittura le luci che affermano e negano ogni cosa. Dopo tutto l’arte somiglia alla ricerca di prove che dimostrino eventi mai accaduti.
Ruggero Cappuccio
con
CLAUDIO DI PALMA e CIRO DAMIANO
Musiche
PAOLO VIVALDI
Scene e Costumi
CARLO POGGIOLI
Luci
GIOVANA VENZI
Aiuto regia
NADIA BALDI
Edizione Einaudi
Direzione tecnica
STEFANO CIANFICHI
Light Designer
UMILE VAINIERI
Sound Engineer
DANIELE PATRIARCA
La Corte dei Conti, ha assolto sia in primo grado che in appello, Calogero Firetto ex sindaco di Porto Empedoce e attuale sindaco di Agrigento, e il dirigente dei servizi finanziari Salvatore Alesci, dall’accusa di aver provocato un danno erariale al Comune di Porto Empedocle.
L’Ente risarcisce i due, delle spese legali sostenute. Il consiglio comunale di Porto Empedocle, ha già autorizzato il pagamento di una somma di oltre 30 mila euro, regolarizzando la questione, con una somma di debito fuori bilancio.
L’atto è stato pubblicato all’albo pretorio, le identità dei beneficiari delle somme omesse, ma i nomi di Firetto e Alesci sono stati fatti dal sindaco Ida Carmina, una volta presa la parola.
Si ricorda che ai due assolti, si contestava un danno erariale di circa 3 milioni di euro, per aver utilizzato in maniera indebita alcuni fondi (anticipazioni di liquidità) contravvenendo all’obbligo legale della destinazione dei fondi ricevuti dalla cassa Depositi e prestiti nell’anno 2014.
E’ una sorta di bilancio consuntivo e di prospettive future. Sostanzialmente sono questi i contenuti dell’intervista al segretario provinciale della Uil Gero Acquisto che pubblichiamo di seguito e che ha realizzato Simona Stammelluti.
Segretario Acquisto, l’estate volge al termine e con l’autunno alle porte, e quindi il ritorno alla vita normale, la preoccupazione riguarda il tema dell’occupazione, visto che il Covid19 ha delineato degli scenari horror con le aziende in grave difficoltà, soprattutto di liquidità. Su questo scenario quale visione ha?
“Noi pensiamo che occorra valorizzare il lavoro di chi, con la propria attività quotidiana, nonostante le eccezionali difficoltà, ha mantenuto a galla il sistema delle imprese, dei servizi e della pubblica amministrazione. Cominciamo, dunque, dal rinnovo dei contratti per milioni di lavoratrici e di lavoratori. Nella provincia agrigentina sono in migliaia ad attendere risposte da tempo. Oggi regna una grande incertezza sul futuro e questo può alimentare lo scontro sociale. A causa del Covid19, le retribuzioni mensili dei lavoratori dipendenti posti in cassa integrazione, al netto dell’Irpef nazionale e delle addizionali regionali e comunali, si sono alleggerite mediamente dal 18% al 37%, a seconda del reddito e dei tetti massimi del sussidio. Questo impone una riflessione sulla necessità di una riforma complessiva degli Ammortizzatori Sociali. In base ai dati macroeconomici contenuti nel DEF 2020, nell’ultimo Rapporto della Banca d’Italia e secondo le stime di crescita dell’Unione Europea e dei maggiori Istituti, attraverso uno Studio UIL, riferito ai rapporti di lavoro attivati e cessati e all’andamento delle aperture e chiusure delle imprese nel II Trimestre 2020, si stimano tra i 530 mila e i 655 mila posti di lavoro a rischio nel 2020. Nessuno deve restare indietro, perché c’è sviluppo vero e duraturo se riguarda tutti. Solo un dialogo costruttivo, che conduca a decisione giuste ed economicamente efficaci, può scongiurare questo rischio. Ci auguriamo che il Governo centrale possa agire con solerzia, non c’è tempo da perdere. In una realtà come quella agrigentina, dove il numero dei poveri è in continuo aumento, l’autunno può diventare drammatico”.
Il turismo da sempre è stato una valvola di sfogo per l’economia agrigentina. Con il Covid19 sono mancati soprattutto i turisti stranieri. Per molte attività potrebbe essere la fine. Che notizie avete?
“La situazione è molto complessa e difficile. Noi, non pensiamo soltanto alle attività che chiaramente hanno subito dei mancati incassi importanti, pensiamo anche agli operatori del turismo, ai precari di questo settore strategico che hanno ricevuto pochi aiuti. In tanti non hanno lavorato, per loro si prevedono tempi durissimi. Ecco, lo Stato non deve dimenticare queste persone che a causa del Covid19 hanno guadagnato neppure un terzo di quello che solitamente guadagnano ogni anno. Dalle nostre parti si lavora tanto nel settore e dobbiamo ricordare che non ci sono stati turisti per tre mesi di fila, soprattutto in primavera. La stagione è cominciata intorno al 10 luglio, malgrado le misure messe in atto dal Governo con il bonus vacanze, tanti non si sono potuti permettere nemmeno pochi giorni di ferie. Insomma, per la provincia agrigentina, è stato un salasso. La possibilità che molte attività di ristorazione, ma anche quelle che operano nel campo della ricettività, possano chiudere i battenti per sempre c’è ed è anche elevata”.
Il Governo ha deciso che la scuola riparte dal 14 settembre. Cosa ne pensa?
“I ragazzi sono stati quelli più colpiti dalla pandemia. Sono a casa dallo scorso mese di marzo. Qualche rischio che si possa chiudere dopo qualche giorno è reale, ma ci auguriamo che vengano messe in atto tutte quelle disposizioni necessarie per far sì che il nuovo anno scolastico possa cominciare senza tanti problemi. I comuni devono fare in modo di soddisfare le richieste dei presidi che chiedono altri locali per attuare quel distanziamento necessario. Le classi pollaio non sono più possibili”.
Tra poco più di un mese Agrigento andrà al voto. Cosa prevede e soprattutto cosa dovrà fare il nuovo sindaco?
“Noi non ci schieriamo con nessuno. La valutazione sull’amministrazione comunale uscente non è di certo positiva, andava fatto molto di più. Ma al di là di questo, chi andrà ad occupare la poltrona più alta di Palazzo dei Giganti, anche nel caso in cui dovesse essere lo stesso sindaco uscente Firetto, dovrà dare una svolta vera, non solo a parole come siamo abituati a sentire in ogni campagna elettorale. La città non può più attendere. Penso al piano regolatore generale di cui nessun candidato parla, malgrado sia il volano indispensabile per il riscatto; penso, inoltre, al piano del recupero del centro storico e alla sistemazione di tutte le strade visto che la maggior parte è ridotta ad un colabrodo. Insomma, bisogna cambiare letteralmente registro. Occorre creare lavoro ed occupazione, non possiamo assistere impotenti alla fuga dei giovani. In questa terra, malgrado le difficoltà e le contraddizioni, ci sono le premesse per un riscatto socio-economico. Ma il conducente deve essere determinato, deve sapere anche rischiare e risultare anche impopolare, in alcune situazioni, ma se alla fine porta a casa il risultato la gente farà presto ad applaudirne i meriti. Ai candidati diciamo: meno slogan e più fatti. “
Lampedusa scoppia sul fronte migratorio. I vigili del fuoco chiedono più uomini per fronteggiare l’emergenza. Inoltre, voi della Uil vi state battendo per la costruzione proprio della nuova caserma degli stessi vigili. Perché tutto appare fermo?
“Intanto, mi preme sottolineare che rinforzare l’organico è necessario, visti i numerosi arrivi. Con sole tre unità non si può far granché. Per quel che riguarda la costruzione della nuova caserma, siamo amareggiati e delusi per il comportamento del Sindaco Martello. C’è la volontà del Dipartimento, ci sono i fondi, ma, malgrado le promesse, il primo cittadino non riesce ancora a reperire l’area necessaria. Per settembre siamo pronti a tornare alla carica con una serie di azioni di protesta. Non è possibile perdere un’occasione del genere”.
Grazie segretario provinciale e buon scorcio di vacanze.
Menfi 26 agosto 2020 – Conoscenza, Coraggio e Umiltà sono le tre parole chiave recentemente utilizzate, che hanno suscitato molte speranze per il rilancio del nostro Paese, cui sembra ispirarsi l’Accordo firmato tra La Rotta dei Fenici – Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa, il Comune di Menfi e la Pro Loco di Menfi, con l’obiettivo di investire sui giovani e sulla loro preparazione, nonché elaborare nuove strategie di valorizzazione turistica e culturale a favore delle PMI che stanno soffrendo maggiormente il post Covid19 con la conseguente crisi economica.
L’Accordo prevede la condivisione di un percorso comune tra l’Amministrazione locale, La Rotta dei Fenici (in qualità di partner tecnico-scientifico oltre che coordinatore strategico) e la Pro Loco di Menfi, quale partner locale espressione della comunità e dei privati.
Tra le attività previste la elaborazione di una sorta di Piano Strategico Culturale e Turistico di Menfi, mettendo in rete gli attrattori territoriali a partire da Palazzo Pignatelli, in connessione con le attività dei comuni vicini, che con Menfi condividono l’esperienza di rete della Unione dei Comuni.
Tra i target su cui si intende puntare il turismo culturale, quello enogastronomico, il turismo scolastico ed educativo, il turismo silver e quello responsabile, esperienziale e creativo. E si parla anche di turismo di comunità.
Dichiarazioni dei protagonisti:
“Con questo accordo – dichiara Marilena Mauceri, Sindaco di Menfi – l’Amministrazione Comunale intende dotarsi, tramite La Rotta dei Fenici, di strumenti operativi e tecnico scientifici adeguati al difficile momento che stiamo vivendo. Puntare sui giovani e sulle imprese è la scelta obbligata se si vuole dare un futuro competitivo ad un territorio che ha dimostrato di esserlo ed oggi lo deve essere ancora di più.
Menfi è conosciuta per le sue produzioni vitivinicole ed agricole, per le molteplici qualità del suo territorio, come la Bandiera Blu ed altro. Questa qualità è stata premiata da un movimento turistico di buon livello anche internazionale. Adesso intendiamo puntare ancora più in alto valorizzando le recenti scoperte archeologiche e il recupero della identità, contando sul più importante “patrimonio” della nostra città che è la capacità della comunità di fare sistema. Per questo abbiamo coinvolto anche la Pro Loco, che ha risposto prontamente alla proposta ed invitiamo tutti quanti a partecipare a questa innovativa azione di rilancio del territorio.”
“Con tutto quello che sta accadendo sono cambiate modalità di viaggio e vacanza accelerando l’attuazione di nuovi modelli che si basano sulla sostenibilità, sulla esperienzialità e la creatività” – spiega Antonio Barone, Direttore della Rotta dei Fenici. “Adesso tocca alla comunità intera, e non al singolo operatore, modificare le modalità di accoglienza dei flussi turistici, persone che viaggiano per la qualità della partecipazione allo stile di vita del territorio, dunque un turismo di motivazione e non più solo di destinazione, un turismo della gente per la gente, un turismo di vero incontro e condivisione. Intervenendo sul “destination management” si può contribuire alla crescita dei territori nel senso di una maggiore competenza tecnica, dell’accoglienza e del servizio offerto al pubblico, che diventa parte della comunità durante la sua permanenza. Questo è un vero processo di valorizzazione del patrimonio materiale ed immateriale di un territorio. Un processo che La Rotta dei Fenici può certificare e contribuire a divulgare”.
Con questo Piano, elaborato insieme agli operatori privati ed agli stakeholders del territorio, prenderanno anche avvio una serie di iniziative per aumentare l’appeal del territorio di Menfi, partendo dal suo patrimonio culturale, naturale, rurale e paesaggistico, dai numerosi saper fare espressione di una storia antica della Sicilia.
Si mirerà a migliorare le capacità professionali degli operatori, dei volontari, dei giovani, in collaborazione anche con le scuole del territorio, ad accrescere la consapevolezza e la capacità operativa dell’intera comunità a partire dalle giovani generazioni.
Queste metodologie, tipiche della Rotta dei Fenici, trovano espressione nel concetto delle SmartWays, percorsi di eccellenza territoriale.
Un anziano di Agrigento non aveva più neanche un euro per mangiare, era digiuno da 5 giorni.
Disperato ha chiamato il pronto intervento della Polizia che tempestivamente è arrivata portando all’uomo beni di prima necessità oltre ad una buona dose di affetto, e quella, quando si è anziani vale più di tutto. Gli agenti hanno così trascorso anche un po’ di tempo con lui.
Un immediato sostegno dunque all’uomo che, in lacrime, ha spiazzato tutti con le sue parole: “Aiutatemi, sono senza soldi, non mangio da 5 giorni“.
Il caso è stato prontamente segnalato ai servizi sociali, che ora si prenderanno cura dell’uomo, che a causa di alti costi di bollette e affitto, non ha potuto più acquistare il necessario per mangiare e dunque per sopravvivere.
Gesto encomiabile anche quello del proprietario del supermercato che, incuriosito dagli acquisti degli agenti, ha offerto parte dei beni di prima necessità destinati all’anziano agrigentino.