Simona Stammelluti, Autore presso Sicilia 24h - Pagina 3 di 94
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Ciao Michela,

mi sono presa qualche ora prima di scriverti.

Negli ultimi periodi, nelle ultime settimane, per me molto difficili,  mi sono abbeverata al tuo modo di concepire la vita; che non era solo coraggio, tempra, carattere; era anche quella capacità di mostrare la parte di noi stessi che tanto ci sforziamo di nascondere.

Tutto deve essere perfetto, omologato, “giusto”.

Mi hai insegnato che giusto è solo se è nostro, che la libertà di tutti è davvero libertà, che difendere un ideale sarà anche più difficile, ma è senza dubbio più bello che sedere su un trono fatto di ipocrisia, di falsità, di viltà.

Mi hai insegnato a guardare la vita dalla parte giusta, anche quando sembra sbagliata e a camminare senza fermarsi, tanto gli ostacoli ci sono sempre dietro l’angolo, basta imparare a saltarli, o a passarci di sotto.

Quel tuo piglio non mi era mai piaciuto tanto, quel tuo modo di stroncare ciò che non ti piaceva mi era sempre sembrato eccessivo; ma poi la tua malattia ha messo sotto i riflettori il tuo essere, la tua totale autenticità e allora la curiosità ha preso il sopravvento e ho deciso di guardarti un po’ più da vicino, per vedere cosa ci fosse sotto quel carattere che ha sempre brillato di luce propria.

E allora ho capito che meglio soli che male accompagnati, che le etichette vanno bene solo sulle cassette della frutta, che a decidere siamo sempre noi e che le passioni – questo l’ho sempre saputo – ci salvano.

Vorrei dirti grazie per “tre ciotole” che con delicatezza insegna a prendersi cura, ad avere cura, a lasciare che sia.

È stato.

Sarà.

Tu non ci sarai, ma ci saranno i tuoi moniti, i tuoi insegnamenti, le tue battaglie, le tue vittorie, la tua queer family che continuerà ad alimentare la gioia di vivere che hai insegnato a chi, prima di te, pensava che una consonare al maschile o al femminile potesse fare la differenza.

Oggi le differenze sono azzerate davanti alla tristezza che ci ha sorpresi mentre pensavamo che non fosse ancora l’ora di dirti addio.

Ciao Michela e grazie di tutto

Simona

La spettacolarizzazione della propria misera vita privata. Perché puoi anche essere un banchiere conosciuto e ricco, ma la tua vita resta misera e di poco valore se scegli di metterla in pubblica piazza.

Ad analizzare bene, sicuramente anche a muovere scelta, fatti e parole,  una buona dose di narcisismo, quel pizzico di notorietà in più che ti appaga dopo aver vissuto quintalate di frustrazione.

Si chiama vita privata perché tale dovrebbe rimanere e sicuramente la maggior parte delle persone che hanno guardato il video in cui un uomo senza fascino, di mezza età (e oltre), per nulla attraente e anche un po’ infantile (però ricco), lasciava la sua “futura sposa”, hanno pensato che forse lei avesse fatto bene, qualunque cosa avesse fatto.

In fondo, quando una storia finisce la colpa sta sempre nel mezzo.

Io sinceramente ho pensato che lei – qualunque cosa abbia fatto (o non fatto) – abbia fatto bene, che alla fine alcune situazioni sono anche peggio di come appaiono e chissà com’era in privato quell’uomo che in pubblico si è mostrato così pieno di sé ed anche alla ricerca di qualcuno che “gli desse un po’ retta”.

Il tradimento con tanto di filmino, è di una pochezza infinita. Per non parlare di terze persone trascinate nel fango.

Domani la gente se ne sarà ben che dimenticata; lei, la protagonista della storia, avrà tirato un sospiro di sollievo per essersi liberata di quell’uomo pedante, egocentrico e insopportabile, e lui resterà il cornuto (ops l’uomo tradito) che sicuramente non si farà mai un esame di coscienza. Peccato che lei debba continuare a lavorarci insieme. Pensate che calvario!

Certo, alla luce della sua performance (diventata miseramente vitale) dubito  che in giro ci sia una qualche donna che aspiri al posto di “fidanzata di quello che ho sputtanato la sua ex”.

Che vita triste deve essere quella di chi pensa che avere tanti soldi dia la libertà di mettere a soqquadro la vita degli altri, fossero anche i peggio fedifraghi.

Io sono con lei.

E se dovesse leggere questo articolo beh … cara mia, goditi il nuovo amore e tutti quelli che verranno. Magari la prossima volta usa tutte le armi che hai (anche l’esperienza ormai) per scansare situazioni in cui “uomini piccoli” usano l’unica arma che hanno per ferirti.

Tira su il capo, sciacquati la faccia e la prossima volta, sbaglia ancora, ma sbaglia meglio

Come diceva Antonio Neiwiller, grande artista di teatro, l’arte è arte quando è dialogo tra diverse discipline; E allora si fa presto a pensare all’arte quando si assiste ad una performance come quella che ieri sera Max Mazzotta ha regalato al suo pubblico nella suggestiva cornice del Teatro Svevo di Cosenza.

Noto al grande pubblico come attore di cinema e teatro, ieri sera ha raccontato il suo modo di fare musica, con un concerto dal titolo “Spiriti e maligni“. 10 canzoni, scritte e poi arrangiate insieme ad uno dei più bravi musicisti italiani, il chitarrista Massimo Garritano che insieme a Carlo Cimino al basso e al giovane batterista Antonio Belmonte hanno raccontato un modo di fare musica eclettico e originale.
L’originalità è propria dell’artista che coniuga con leggiadria l’arte del teatro con la musica e con l’uso minuzioso e intrigante della sua presenza scenica, oltre alla caratteristica voce ricca di sfumature che durante il concerto ha usato per creare suoni, controcanti, scat e innumerevoli sonorità molto ben accordate a quei testi capaci non solo di incontrare la sfera emotiva dell’ascoltatore, ma anche di divertire.

Sul palco anche due talentuose coriste, Noemi Guido e Claudia Rizzuti, dotate di voci capaci di essere supplementari a quella del cantautore ma anche di esprimere una bravura tecnica, interpretativa ed emozionale. Il gioco – mai facile – tra strumenti e voce, è efficace quando l’interplay è ben collaudato così come su quel palco ieri sera.

La musica di Mazzotta ricorda a tratti De André a tratti Rino Gaetano, eppure è “tutto suo”.
Quel suo cantare che sembra contaminato da tutti i generi musicali. Il cantautorato che incontra il funky,il pop, il folclore. La musica come cornice di quei testi che parlano di quotidiano, di vita di coppia che cambia con le stagioni, e di sogni che possono essere sia spiriti (inteso come lontani dalla realtà) che maligni ossia che provocano e a tratti conducono alla nostalgia.

Il tutto condito dalla fisicità espressiva riconoscibile ed inimitabile di un artista che sul palco non si risparmia mai e che mostra una notevole dote nel tessuto musicale del cantautorato. La metrica, gli accenti, la prosodia e la ricerca del dettaglio, sono senza dubbio le caratteristiche di questo lavoro musicale che merita di essere ascoltato e perché no anche riascoltato.

Ho trovato il concerto molto bello.
E considerato che utilizzo questo aggettivo sempre con parsimonia, è significativo del fatto che questo lavoro ha incontrato il mio interesse e mi ha piacevolmente sorpreso.
Ho apprezzato molto le scelte di ingresso e uscita degli strumenti, voci comprese, e la coralità di un lavoro fatto anche di tutta l’organizzazione che gira intorno ad un evento così ben realizzato.

Se penso al Giornalista di inchiesta in cima a tutti c’è sempre stato lui, Andrea Purgatori.

La notizia della sua morte scuote tutti, colleghi e persone comuni.

Tutti lo hanno conosciuto ed amato per il suo modo così schietto, astuto, autentico di occuparsi di casi che sono stati definiti – e talvolta sono ancora – irrisolti. Si pensi ad Ustica, al caso Orlandi, o la morte dei giudice Livatino. Per anni si è occupato delle più importanti inchieste giudiziarie, e poi di terrorismo, criminalità, intelligence per il corriere della sera. E non in ultimo i suoi innumerevoli reportage, la sua trasmissione Atlantide su La 7. Conosceva benissimo l’inglese e questo lo metteva sempre nella condizione di capire tutto nei minimi particolari e di comunicare lì dove ogni comunicazione sarebbe stata difficile. È stato inviato dalle zone di guerra, autore di importantissime inchieste giudiziarie.

Giornalista, conduttore, autore e sceneggiatore, è noto il suo contributo al documentario Vatican Girl sul caso di Emanuela Orlandi.

La notizia della sua morte all’Ansa arriva dai suoi figli Edoardo, Ludovico, Victoria e dalla famiglia rappresentata dallo studio legale Cau.

Muore a 70 anni, il giornalista perfetto, con la sua voce inconfondibile. A portarlo via una breve fulminante malattia.

Una mente brillante” – sottolineano i familiari distrutti dal dolore.

Mancherà la sua mente brillante. E pure la sua voce.

COSENZANon solo cinema e teatro, anche musica. Max Mazzotta infatti sveste i panni di regista e attore per ritornare ad indossare quelli di cantautore, una passione sempre coltivata e mai abbandonata. E lo fa con un nuovo concerto prodotto dalla sua compagnia Libero Teatro in collaborazione con L’Altro Teatro, al Castello Svevo di Cosenza martedì 25 luglio alle ore 21,30 nel quale presentail suo ultimo progetto musicale Spiriti e Maligni. Insieme a lui sul palco anche i musicisti Massimo Garritano (alla chitarre), Carlo Cimino (al basso), Antonio Belmonte (alla batteria) e le coriste Noemi Guido e Claudia Rizzuti. Spiriti e Maligni è il terzo progetto musicale di Mazzotta, dieci canzoni inedite che l’artista cosentino presenta al pubblico dopo i precedenti album Appariscente lucente e Torno a casa. Le canzoni dalle sonorità pop, senza mai trascurare i tratti vividi del cantautorato italiano, raccontano gli stati d’animo spesso contraddittori dei rapporti di coppia, amanti, sposi, amici. Tutti quei sogni, nascosti e mai realizzati, che rischiano di diventare macigni, una sorta appunto di spiriti maligni che alla fine non ci danno mai la possibilità di cambiare. Originale è l’uso che l’artista fa della sua voce accompagnando le canzoni con controcanti, suoni particolari, versi irriverenti e persino l’imitazione di strumenti musicali.

La canzone è una forma poetica visionaria che contiene in sé almeno quattro mondi riconoscibili – spiega l’autore – quello della musica, del canto, della poesia e del teatro; scrivere e cantare canzoni è ricercare continuamente un equilibrio fra queste discipline, una sfida entusiasmante per me nel cercare di toccare la sfera emotiva di chi l’ascolta e quando ci si riesce, non c’è niente di più bello

 

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Credits

SPIRITI  E MALIGNI

Autore: Max Mazzotta

Produzione: Libero Teatro

Musicisti: Massimo Garritano > Carlo Cimino > Antonio Belmonte

Coriste: Noemi Guido > Claudia Rizzuti

Responsabile Tecnico: Gennaro Dolce

Fonico: Gaspare Prete

Grafica: Enrico Miceli

Ufficio Stampa: Ilaria Nocito

Info e Prenotazioni

I biglietti hanno un costo di 10€ posto unico e possono essere acquistati in prevendita online o presso l’agenzia InPrimaFila Cosenza o direttamente al Rivellino del Castello Svevo la sera stessa del concerto

“È tempo di alleggerirsi e mettersi in cammino”

Conosco Antonio Raia da un po’; conosco l’uomo e l’artista. Ho provato spesso a sovrapporre le due figure, ma la forma dell’arte era sempre più ingombrante.

Compone, improvvisa, suona i sassofoni, ma suona anche la vita; ci soffia dentro, ai sassofoni, e si fa soffiare sul cuore dalla vita. Possiede un certo carattere, e quando si entra nel suo mondo, apparentemente silenzioso, rarefatto, quasi mistico, si scopre tutta la prorompenza e la bellezza della musica che lo abita e che lo ispira. 

Antonio (di lui ne parlo anche qui) vive di incontri, e di ispirazione. E così dopo essersi in qualche modo imbattuto in Antonio Neiwiller, artista di teatro scomparso nel 1993 – colui che ha provato (riuscendoci) a far dialogare il teatro alle altre arti –  nasce un progetto del titolo “La memoria bucata, apparente soliloquio con Antonio Neiwiller”; parole proferite, musica e parole scritte. Un piccolo gioiello madido di cultura. Antonio ascolta, suona e scrive. E la sua scrittura è ispirata, ricca di dettagli e il suo dire è in perfetta sintonia con gli insegnamenti del maestro Neiwiller. 

Antonio Raia incontra dunque il suono della voce di Antonio Neiwiller e si incammina nel marzo del 2018 per giungere a destinazione nel settembre del 2022 quando questo lavoro sarà compiuto. Ha maneggiato materiale storico, ha estrapolato da pagine di diario, si è lasciato ispirare da foto che arrivavano dal passato. Così nasce un dialogo, che “suona” come un soliloquio ma che in realtà risulterà all’ascolto come un dialogo tra i due artisti, domande proferite a parole che trovano risposta nel suono dei sassofoni del compositore.

Antonio Raia è sempre in cammino e più viaggia nel mondo, nel suo mondo e nel mondo della musica più si allontana da tutto ciò che è “conforme” a regole prestabilite, a metrica battente e basta. 

Vive e suona con la voglia di essere contaminato e di contaminare l’animo di chi lo ascolta, con l’essenza del suo essere raffinato, autentico, appassionato e pieno del sapore dolce di chi ha provato desiderio e nostalgia. 

Gli appartiene quel senso di infinito, come quando soffia nel suo sassofono e tutti i suoni del mondo si affacciano alla porta delle sensazioni. Un flusso di vita che si espande nota su nota, fiato su fiato e poi resta sospeso, come polvere di stelle. E poi quel pizzico di inquietudine che lo rende vivo e dunque in cammino. 

Il graffio vero, è l’ovvietà” dice Antonio Neiwiller. Raia imbastisce un dialogo, uno scambio, una idea di Arte, di artista ossia colui che riesce a “star dentro”, a far vibrare un vissuto.

Il vissuto non si tramanda, ma sul vissuto si può agire”, dice Neiwiller.

E siccome l’arte è attesa e tempo che corre, è importante dare il giusto tempo all’arte che nasce ed infatti questo lavoro di Antonio Raia, nato da una sintonia, ha preso respiro in 4 anni, attraversando cambiamenti ma alimentandosi di ispirazione e disciplina.

I suoni sono vissuti e vivibili, riconducono a ciò che è stato. 

Il soffio e il suono ipnotico dei sassofoni di Raia è un tempo che scorre dentro,  quello che vivi senza sapere che non lo puoi misurare ma che ti tiene in ostaggio. 

Un suono meditativo e intrigante che racconta di sé; la vita in un particolare, e questo lavoro è particolare; le parole di un soliloquio, che dialogano e pulsano nella musica che infonde e profonde, e sparge ovunque la voglia di comunicare e di esserci. 

I sensi, il sentire, la percezione di qualcosa che c’è, si avverte ma non si vede perché niente è più indispensabile del “sentire”. 

È tempo di alleggerirsi e mettersi in cammino. 

“Guardare oltre le macerie e l’orrore”, dice Neiwiller.

E così le parole e la musica di Antonio  Raia – che da sempre è frutto di apertura, di un “restare in ascolto” – diventano panacea, bellezza, sensazione, senso.

Il volume, in formato tascabile è raffinato in ogni suo dettaglio. Nero. Per scoprire il titolo, devi metterlo controluce. La copertina mostra un oblò dal quale ammiccano due occhi disegnati dalla matita di  Rosario Vicidomini che ha realizzato tutti i disegni che impreziosiscono il libro. All’interno anche gli appunti scritti di proprio pugno dal maestro Neiwiller.

Tutto quello che in questa recensione volutamente non ho detto, è giusto venga scoperto da chi deciderà di “aprire piano la porta” di questo progetto, come si fa con uno scrigno di cose preziose.
E per chi si chiede come si faccia ad ascoltare un disco da un libro, vi posso solo dire che si può.
È la magia di chi è sempre in cammino.

Singolare che i due artisti si chiamino entrambi Antonio.
Quasi come se si fossero cercati, per poi trovarsi sotto il tetto appagante dell’arte.

 

Questo accampare sempre scuse, questo voler trovare sempre un modo per mettere in cattiva luce la vittima di stupro, di violenza, di aggressione è deplorevole, è svilente, è inaccettabile.

E siamo alle solite.

La storia si ripete (ahinoi) e anche le reazioni di padri che senza un minimo di pudore (perché ci vuole anche quello nell’essere al contempo genitore e politico) non solo difendono a spada tratta i propri figli mettendoli al riparo da eventuali future e necessarie prese di coscienza e responsabilità, ma puntano il dito contro la vittima. E allora se chiunque è colpevole fino a “prova contraria”, la vittima/testimone è colpevole di una qualche cosa sin dal primo istante.

Eh ma era provocante, eh ma aveva bevuto, eh ma era questo era quello, eh ma se l’è cercata”.

Politici di turno che ci raccontano cose raccapriccianti, tanto quanto il reato (presumibilmente) commesso.

Ignazio La Russa “interroga” suo figlio (e già qui ci sarebbe tanto da dire) e stabilisce che “non ha fatto nulla di penalmente rilevante” e sposta vigliaccamente l’attenzione sulla ragazza “aveva preso la cocaina. E poi perché denunciare dopo 40 giorni?”

Poi prova a scusarsi ma la toppa è peggio del buco: “difendo mio figlio, sono stato frainteso”.

Seconda carica dello Stato, non panettiere a Canicattì (con immensa stima verso la categoria dei panettieri, ma era solo per rendere l’idea).

Non si può dire quello che si vuole e poi ritrattare, e non ci si può esprimere in quella maniera altrimenti viene il dubbio (più che fondato) di vivere in un paese nel quale nessuno ci potrà difendere con l’arma della giustizia (quella vera però).

Anche Grillo, ricorderete, come La Russa, gridò (letteralmente): “mio figlio non ha fatto nulla”. Anche lui accusato di stupro. Ora a giudizio.

Insomma, a monte nessuno fa mai nulla e se si arriva alla condanna si vuole l’attenuante circa il fatto che chi viene stuprato, in un modo o nell’altro se l’è cercato.

Questo gettare fango è ignobile.

Questo modo tossico e irresponsabile di gestire fatti di cronaca come questo è stato definito come “supporto omosociale”, una rete di supporto e protezione verso l’uomo (ovviamente) che compie un reato. E se ci si stringe intorno a chi ha commesso un reato, coprendo, sostenendo, tranquillizzando l’accurato, allora ci si macchia del reato di connivenza (inteso proprio come tolleranza nei confronti di una azione di colpevolezza).

Oppure vogliamo chiamarla omertà?

Scegliete voi.

Perché questo accade.

So e non parlo.

Vedo e mi giro dall’altra parte.

Provo quasi invidia verso l’uomo (?) che si è preso quello che voleva, anche con la forza, se serve.

La “victim blaming”, questa colpevolizzazione verso la vittima, inducendola anche a sentirsi responsabile dell’accaduto è tanto più grave quando arriva da una persona che ricopre un ruolo dal quale può influenzare le masse o far passare il messaggio che “se anche alcune cose accadono, se un reato viene commesso, non è poi così grave, perché anche l’altro ha le sue colpe”.

Per molti solo perché a parlare è un politico, alcune parole hanno più valore o sono più attendibile. Questo influenzare l’opinione pubblica è disdicevole, e approfittarne è ignobile.

La vittima purtroppo resta vittima per sempre, anche nel caso in cui venga fatta giustizia.

E prima o poi la gente si dimentica che lo è stata, vittima. Però ricorda che forse, “se l’era cercata”; l’ha detto anche il politico …

Le perizie parlano chiaro: non vi era una bomba a bordo del DC9 dell’Italia, non è dunque stata una bomba a bordo a causare la strage di Ustica, bensì la deflagrazione, l’esplosione di un missile ad alta quota che ha colpito l’aereo su cui viaggiavano 81 persone partiti da Bologna e diretti a Palermo, e a farle precipitare nel Tirreno. Questo missile è stato ipoteticamente sparato da un caccia che era in volo in quel momento.

Quello che è stato accettato giudiziariamente è che sui cieli italiani e sul mediterraneo la sera del 27 giugno del 1980 c’era uno scenario di guerra; vi erano dei caccia che “davano la caccia” ad altri aerei libici, qualcuno ha sparato, e questa esplosione ha creato lo squarcio nella fusoliera dell’aereo causandone l’abbattimento. quindi un aereo civile abbattuto da aerei militari.

L’inchiesta ancora in essere deve chiarire di chi fosse questo aereo militare.
C’è una inchiesta bis, aperta pochi anni fa, dopo che il presidente Cossiga, intervistato da Sky e Tg24 ha dichiarato che lui da Presidente del Consiglio nel 1980, apprese dai servizi segreti che a sparare erano stati i francesi. Poi lo stesso, sollecitato e incalzato dagli avvocati dai familiari delle vittime (che avevano un procedimento civile aperto), fu convocato e andò a testimoniare davanti ai giudici del tribunale civile di Palermo e in quella sede ribadì la stessa cosa, ossia che l’aereo era stato abbattuto dai francesi.
Tutto questo è negli atti.
Di fatto questo ha riaperto l’inchiesta attraverso la quale la procura di Roma ha cercato di fare luce.
Oggi si cerca di sapere la richiesta di archiviazione cosa conterrà, così da capire se i francesi o se altri paesi non hanno risposto alle queste accuse, o se mancano dei tasselli.
La politica dovrà dunque muoversi e capire cosa diplomaticamente si dovrà fare. 

Intanto ci sono voluti 43 anni per aprire un varco sulla verità. 

Ustica è uno di quei misteri pieni di intrighi. 

Esistono oltre 2 milioni di atti riversati in questi anni, ai magistrati e ai familiari delle vittime, vi è stata una grande confusione. Ne sarebbero bastati 2 o 3, i più importanti che richiamavano quel 27 giugno 1980, per esempio i tracciati radar, o i registri dei gruppi radar, ma questi non sono mai stati disponibili. Ci sono quelli dei 26 e poi quelli del 28 di giugno, ma quelli del 27, sono stati tagliati via.
Non c’erano più.
Ci sono voluti anni per farseli consegnare dalla NATO.
Tanti dunque i tasselli importanti mancanti, eppure gli stanzoni delle procure sono pieni di atti che non servono e non sono serviti.
L’aeronautica è stata assolta per la strage di Ustica.
E poi vi è certezza che n
essun legame sussiste tra strage di Bologna e quella di Ustica, anche se la politica vorrebbe far passare questo messaggio.
La verità è che tutto quello che ad oggi si sa, è frutto di un grande lavoro giornalistico, fatto per esempio da Andrea Purgatori che ci ha portato a sapere qualcosa di certo della strage di Ustica e poi della Rai;
le immagini dei corpi dei passeggeri che galleggiano nel mare, le abbiamo avute alle 7 del mattino di quel giorno, proprio grazie alla Rai e a Joe Marrazzo che dall’elicottero della Rai, filmò quelle immagini, mentre i soccorsi – chissà perché – non erano ancora arrivati.
I generali furono assolti sulla questione depistaggi.
La sentenza di Bologna, decreta gli estremisti di destra come autori, finanziati da Licio Gelli e dalla P2.
A qualcuno questo non va giù e ha provato a sostenere che ci siano dei documenti (citati da Lirio Abbate nel suo articolo) che sono stati desecreti dal segreto di Stato dopo quasi 40 anni e messi a disposizione della magistratura di Roma, che li ha letti e che riguardano i rapporti tra il Sismi italiano e l’Olp palestinese. In queste carte, non si fa mai menzione ad Ustica né a Bologna. Nelle carte c’è scritto che in quegli anni, i palestinesi non hanno mai commesso alcun attentato o azione nei confronti dell’Italia, o in Italia o in altre ambasciate all’estero.
Il depistaggio – che qualcuno vuole ancora tenere in piedi – è dunque depotenziato dai fatti, scritti nero su bianco.

 

È andato in scena lo scorso 17 giugno presso il Parco Acquatico di Rende, “L’amore si compie”, atto unico liberamente ispirato all’Alcesti di Euripide, scritto dall’autore e regista Adolfo Adamo per i ragazzi del corso di teatro del Liceo Classico Gioacchino da Fiore di Rende (Cs).
I ragazzi che hanno partecipato ad un corso durato sei mesi, hanno lavorato insieme al loro insegnante non solo sulla tecnica teatrale, ma anche sulla dizione, sulla lettura espressiva, sul “sentire” e sull’autostima.
La pièce racconta di un amore, quello di Alcesti e Admeto, in un tempo indefinito, che vive tra luci ed ombre, che viene adulterato da egoismo, narcisismo e indifferenza ma che alla fine trova la strada per “compiersi”.
Un testo ispirato e contestualizzato che ha dato ai ragazzi la possibilità di esprimersi attraverso il proprio talento, e la capacità di fare gruppo, nelle intenzioni personali e artistiche.

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