Con i suoi occhi belli e i suoi tatuaggi, si è recato in quel luogo per donare un sorriso ai piccoli pazienti, per portare loro dei regali proprio come fa Babbo Natale, ma senza barba bianca e tradizionale abito rosso; in corsia il cantautore è arrivato con un cappellino, mascherina e camice azzurro.
Con i bambini del reparto Achille Lauro ha giocato, cantato e trascorso momenti di spensieratezza.
Con gli infermieri e i medici ha tagliato un panettone e chiacchierato un po’.
Ai medici, l’artista ha poi consegnato un regalo pazzesco, una donazione di 100 mila dollari, raccolta mettendo all’asta una sua opera innovativa, un quadro digitale che riporta le sue sensazioni e i battiti del suo cuore mentre interpreta i suoi pezzi; questo grazie a dei sensori hi-tech applicati sul suo corpo.
Questa donazione cospicua servirà all’ospedale per l’acquisto di un ecocardio-color-doppler tridimensionale, un macchinario che consentirà di curare i piccoli pazienti.
Un grazie enorme ad Achille Lauro, uomo di sensibilità profonda e grande generosità.
“Vite di Ginius”, un lavoro enorme, difficile e di grande rilievo drammaturgico quello portato in scena da Max Mazzotta al Piccolo Teatro Unical dal 30 novembre al 5 dicembre, già apprezzato la scorsa estate al Campania Teatro Festival e che continua la sua tournée nei teatri italiani nei prossimi giorni: il 10 dicembre al Teatro Comunale di Badolato (Cz) e il 17 e 18 gennaio a Roma al Teatro Sala Umberto.
Una tridimensionalità artistica che impatta in maniera assai coinvolgente sul pubblico che si trova ad attraversare quello spazio in cui non è possibile non immedesimarsi, non riflettere, non apprezzare.
Max Mazzotta, attore e drammaturgo di grande levatura, che negli anni si è cimentato con testi importanti senza deludere mai, cuce su di sé il ruolo di un’anima che si relaziona con una dimensione altra, sconosciuta, che intraprende un viaggio di purificazione e di sconforto, ma anche di consapevolezza. Ginius si lascia guidare da una voce che lo assiste durante quel passaggio e che lo aiuta a scavare dentro la sua anima, a capire come sia stata davvero l’esperienza in vita – e in questo caso nelle vite – nelle vite diverse vissute da Ginius che ha condotto la propria esistenza da codardo, da vigliacco, incapace di fare la cosa giusta. E tutto questo, attraverso il ricordo, che Mazzotta porta in scena, con 4 tempi, raccontando le esperienze del personaggio, crudelmente, mostrando tutti i limiti avuti in vita e coinvolgendo il pubblico con una prorompente carica empatica.
Diversi linguaggi si fondono in scena. Una musicalità avvolgente e il ritmo incalzante della prima parte declamata in terzine, con una metrica tanto difficile quanto appassionante, che richiede però una massima attenzione per comprenderne a pieno il significato e la potenza. E poi i suoni, le immagini proiettate, le scene rappresentate in video capaci di riprodurre i luoghi e i momenti storici raccontati dall’attore, che vive in scene le vite di Ginius, nell’arco temporale di mille anni.
Il linguaggio usato da Mazzotta in scena va dai dialetti all’italiano forbito, e il tutto è fatto in maniera magistrale.
Ogni parola scritta e poi declamata di questo spettacolo racconta non solo la sua capacità di concepire il teatro come quella dimensione di magia e di possibilità di riflessione, ma anche la sua bravura come attore che in scena regala ogni parte di sé. Le sue tante voci, le sue espressioni facciali, la sua energia, la sua carica carismatica, rendono tutto perfetto.
La dimensione onirica, il ricordo, la paura, che si trasformano in stille di emozione.
Neanche una parola scontata, e se quando arrivi a teatro non sai bene cosa ti aspetterà, quando vai via, sai di aver fatto anche tu un viaggio; un viaggio culturale ed emozionale. Ti prende la voglia di ricordare la tua vita passata, chi sei stato e come hai vissuto.
Anche la scelta di che personaggi delineare, di che carattere attribuire loro, è stata geniale. Ognuna delle vite di Ginius consegna la consapevolezza, che forse per imparare a fare la cosa giusta, non basti una vita sola, ma poiché solo una ce ne viene data, allora si finisce per essere alla continua ricerca tra l’intenzione di ognuno e il destino che regola alcune dinamiche del vivere.
La grandezza della scrittura di Max Mazzotta sta proprio nella sua capacità di essere colto e comprensibile, di scrivere con la capacità di connettere le diverse sfumature e i diversi elementi che compongono lo spettacolo teatrale.
Simona Stammelluti
È un disco jazz, anzi è un accattivante disco jazz.
Eppure non è un disco per soli appassionati di jazz.
E Massimiliano Rolff non delude mai.
La soddisfazione di ascoltare un bel disco, che non deve per forza avere scritture originali per essere originale, interessante ed appagante.
La trama leggera e sofisticata del nuovo lavoro discografico del contrabbassista ligure, si nutre dell’opera alla quale si ispira ma va anche “al di là” perché ne utilizza il carisma, la carica passionale e poi vi riscrive arrangiamenti che mettono in risalto quel viaggio non solo dentro la musica statunitense ma anche attraverso le sfumature folk, le contaminazioni che furono anche in origine indispensabili per la stesura dell’opera alla quale Rolff si è ispirato.
Le esecuzioni si aprono, prendono respiro e mostrano la bravura dei musicisti che in trio sono gli artefici di “Gershwin on Air – Porgy, Bess and Beyond“, in grado di appassionare con esecuzioni raffinate e fluide, tra sinuose melodie che non abbandonano mai il tema principale ma che da esso si discostano perché Rolff ha scritto degli arrangiamenti che esaltano gli strumenti che sono protagonisti, e sanno anche fare da controvoce al contrabbasso, strumento fondamentale nella tradizione jazzistica tanto quanto nella tradizione afroamericana.
Nel disco ci sono tempi e stili che sanno ben convivere e che sono magistralmente eseguiti.
C’è il blues, la bossa, lo swing.
C’è ritmica, sonorità, creatività.
Insieme a Massimiliano Rolff a suonare nel disco ci sono il giovane e talentuoso pianista lombardo Tommaso Perazzo, già attivo sulla scena newyorkese, ed il versatile batterista campano Antonio Fusco, già da qualche anno residente a Pechino.
Il trio spigliato e complice in un interplay vibrante, valorizza con maestria, talento e “moderno sentire”, i grandi classici di Gershwin, che gli appassionati conoscono a memoria ed è proprio la memoria del tema di questi pezzi – tutti sottoposti a svariate versioni – che conduce l’ascoltatore nelle evoluzioni e nelle improvvisazioni che sono ricche di dettagli interpretativi, soprattutto per alcuni brani. Infatti se pezzi come “Summertime” o “The man i love” vantano centinaia di rivisitazioni, strumentali e non, pezzi come “”Who cares” o “Love walked in” nelle mani di Rolff si nutrono di dilatazioni e accenti, capaci di creare una nuova atmosfera che nasce proprio dagli assoli puliti e precisi del contrabbassista, che poi piano lascia che il pianoforte possa ricamare una sequenze di note veloci e chiare, con un tocco sublime e virtuoso. La complicità della base ritmica è talmente perfetta, che la dimensione temporale si dilata e avvolge l’ascoltatore.
Il disco che è così amabile che non ci si stanca mai di ascoltarlo, si apre con una suite imperniata sull’opera “Porgy and Bess” per poi scivolare amabilmente tra quelli che furono i brani famosi di Gershwin scritti per opere teatrali e colonne sonore di film, divenute nel tempo grandi standard della tradizione jazzistica.
Difficile dire quale brano resti più impresso; è il gusto personale a guidare il piacere nell’ascolto di questo disco che è senza dubbio uno dei più belli ascoltati ultimamente, e che farà impazzire gli appassionati di jazz e della musica del grande Gershwin che nel tempo abbiamo sentito riproporre innumerevoli volte, da strumenti e voci iconiche.
Ma la cosa che ho amato particolarmente in questo lavoro, è il ruolo che Rolff ha dato al contrabbasso, come lo ha fatto suonare, perché è riuscito a dare ad esso mille voci e svariati suoni. Il contrabbasso nelle sue mani sa essere melodico, romantico, passionale, e poi pulsa, risponde a quel modo che il musicista ha di percuoterlo, con maestria.
Di tutto il lavoro che reputo di grande pregio, sono rimasta particolarmente affascinata da tre tracce in particolare: l’arrangiamento di “Summertime” sia per la scelta del tappeto usato lungo la linea del basso, sia per il dialogo con il pianoforte che è sofisticato, mai scontato; è inoltre ricco di note incastrate nell’armonia che poi però scivolano via lungo la scala, mostrando la padronanza tecnica dei musicisti e della componente ritmica che lascia al batterista la possibilità di usare con maestria, rullante, tom e timpano.
E poi ancora la leggiadria usata nell’esecuzione di “Who Cares” che Rolff ha concepito in maniera distante dal romanticismo pensato dall’autore. Un ritmo sostenuto, come in un moderno swing, e i musicisti mostrano una grande versatilità.
Ottima la scelta di chiudere il disco con “Embrecable you” (pezzo che ho trovato pazzesco) che ha una serie di giri armonici che si chiudono e si riaprono, e ad ogni riapertura c’è una piccola sorpresa, dai passaggi veloci del contrabbasso, alle rullate della batteria che dialoga con la cassa, alla bellezza delle svisate del pianoforte che percorre le note e le ricerca dentro un gioco di virtuosismi che ammiccano, senza mai togliere lustro al lavoro di gruppo e creando pause, sospese e bellissime, che conducono al finale.
Sarà il mio regalo di Natale per le persone che amo, questo disco uscito lo scorso 19 novembre, pubblicato dell’importante casa discografica olandese Challenge Records International, che ne ha curato ogni aspetto su dimensione Europea.
Mi piace ripeterlo, quando ne vale la pena: Massimiliano Rolff è uno dei miei contrabbassisti preferiti perché sa sempre come rubare la mia attenzione e non mi delude mai, e questo suo ultimo lavoro discografico è stato geniale, ben realizzato ed è ricco di complicità, dote fondamentale anche in musica.
Lo spettacolo, che ha debuttato nel mese di luglio al Campania Teatro Festival con un ottimo successo di pubblico e critica, partecipa a pieno titolo alle “Celebrazioni per il settecentenario della morte di Dante Alighieri” ideate, curate e patrocinate da DiSU Dipartimento di Studi Umanistici dell’UNICAL diretto dal Professore Raffaele Perrelli. Una ricorrenza importante per tutti gli Atenei italiani e l’UNICAL già il 18 e 19 novembre scorsi ha dato inizio agli eventi in programma con il convegno dal titolo “Tra cotanto senno. Dante negli studi umanistici”. Importante la collaborazione del CAMS Centro Arti Musica e Spettacolo presieduto dal Professore Francesco Raniolo per la realizzazione delle repliche nel Piccolo Teatro dell’UNICAL.
Vite di Ginius è il viaggio di purificazione e consapevolezza che l’anima di Ginius, corpo morto giunto al capolinea, intraprende in una dimensione spazio-temporale sconosciuta.
Lo spettacolo è una metafora visionaria in versi e prosa. Il verso con il suo scorrere musicale descrive il soprannaturale accompagnando l’anima nei molteplici stadi dell’essere. Come il Sommo Poeta di cui quest’anno ricorre il settecentenario dalla morte, l’anima si ritrova nella barca di Caronte, da qui Ginius percepisce una misteriosa voce che la aiuta ad andare oltre il tempo concepito dai mortali. Costretta a scavare dentro se stessa, l’anima di Ginius deve ricordare l’esperienza di alcune sue vite incarnate: un monito a ricordarci chi siamo stati per riconoscere chi siamo davvero.
«Il ricordo è la fase più dolorosa – spiega Max Mazzotta – perché ogni vita ricordata è come se venisse vissuta in prima persona e allo stesso tempo osservata come fosse una terza persona. Lo spettacolo interseca due dimensioni del racconto e diversi stili linguistici. La dimensione soprannaturale è descritta attraverso i versi: un linguaggio poetico strutturato in canti di versi in rima alternata e canti in terzine dantesche a catena. La seconda parte utilizza un linguaggio in prosa più adatto al racconto di frammenti di vite vissute».
Lo spettacolo interseca diversi linguaggi. Corpo, suoni viscerali, musica, ma è soprattuto il video che permette al pubblico di vivere insieme al protagonista tutti i moti e gli stadi dell’ultraterreno. Il lavoro di scrittura drammaturgica viene esaltato dalla sua fusione con una lingua di per sé musicale, ritmica, onirica. Straordinaria proprio come il viaggio di Ginius nelle sue vite passate.
I biglietti avranno un costo di 10€ intero e 5€ ridotto (studenti di ogni ordine e grado, universitari con libretto) e possono essere acquistati direttamente a Teatro la sera stessa dello spettacolo o in prevendita da Agenzia InPrimaFila a Cosenza e al Bar Ventimiglia dell’Università a Rende.
Per motivi di maggiore sicurezza e prevenzione oltre al controllo del green pass e all’obbligo di mascherine, come per tutti gli spazi dell’UNICAL aperti al pubblico, anche il PTU non sarà a capienza piena, ma si applicheranno norme di distanziamento e riduzione degli ingressi; si consiglia pertanto di acquistare preferibilmente i biglietti nei punti in prevendita o online e di recarsi a Teatro in anticipo per evitare file e ritardi.
La biglietteria del Piccolo Teatro UNICAL sarà aperta ogni giorno di repliche dalle 18.30 in poi.
Per comunicazioni: 333.9555376 > Iris Balzano | Organizzazione Libero Teatro
VITE DI GINIUS
scritto, diretto e interpretato da Max Mazzotta
installazioni video Max Mazzotta
assistente alla regia Angela Candreva
responsabile tecnico e struttura scenica Gennaro Dolce
costumi Giada Falcone/Moema Academy
consolle luci e video Serafino Sprovieri
consolle audio Vladimir Costabile
produttore esecutivo/amministrazione Gianluigi Fabiano
organizzazione Iris Balzano
produzione Libero Teatro
Saranno il Monte Somma, il Vesuvio, i suoi vini e lo storico tessuto culturale del vulcano più famoso del mondo ad ospitare la presentazione del nuovo disco del quintetto jazz di Leonardo De Lorenzo, “On fiVe” pubblicato da Alfa-Music in anteprima digitale, ed ora disponibile su CD.
Il tutto, il prossimo 27 novembre alle ore 22 presso il teatro Summarte, a Somma Vesuviana, Napoli.
A precedere il concerto, alle 18.30 ci sarà una conferenza stampa durante la quale l’artista presenterà il suo lavoro nel foyer del teatro.
La conferenza verrà condotta dai giornalisti Angelo Sciaudone e Diego Andese della testata musicale Sound Contest, media partner ufficiale per questo evento.
I musicisti consegneranno il disco al pubblico intervenuto alla registrazione e, a chi lo desidera, vi apporranno le firme. Il Cd sarà comunque disponibile per chiunque vorrà acquistarlo.
Al progetto ideato, arrangiato e diretto dal batterista e compositore Leonardo De Lorenzo, hanno partecipato Ciro Marone al sax alto, Giacinto Piracci, alla chitarra elettrica, Ergio Valente al piano e fender Rhodes e Vincenzo Lamagna al contrabbasso.
Il titolo del disco nasce da un gioco di parole modificando il modo di dire Inglese “to be on fire” (cioè essere nel fuoco, essere a “mille” e in grande fermento creativo) cambiando la lettera R con la V e facendolo diventare “on fiVe” letteralmente “sul cinque” perché il numero cinque in questo lavoro, è di grandissima importanza.
Così Leonardo De Lorenzo:
Ho preparato il repertorio alla soglia dei miei cinquantacinque anni, la musica è per quintetto e in cinque dei sei brani è sempre presente il 5/4 “puro” o espresso nei suoi multipli suddivisionali. On fiVe! Non poteva essere altrimenti! Ad accompagnarmi in questa nuova avventura, ci sono amici di vecchia data e qualche piacevole scoperta degli ultimi mesi, come il bravissimo e giovanissimo alto sassofonista Ciro Marone, conosciuto per caso durante la festa della musica nel 2018, quando ho diretto un’orchestra formata da allievi del conservatorio di Benevento, dove insegno. Giacinto Piracci alla chitarra ed Ergio Valente al pianoforte e tastiere, si sono occupati delle armonie e il fido e solido Vincenzo Lamagna con il suo contrabbasso ha coadiuvato il sottoscritto nelle tessiture ritmiche. Un repertorio non facile, ma sempre legato alla melodia, costituito da pez-zi di lungo respiro, quasi in forma di “suite” con tanti inaspettati cambi di scena, colori ed atmosfere. Ogni brano racconta una storia, e tutte le sto-rie di questo lavoro sono legate ad un filo rosso che porta l’ascoltatore per mano, avvolgendolo nel suono moderno del gruppo. Nel giorno 18 Gennaio 2019, poco prima della recrudescenza dei contagi da Covid e del lockdown, siamo riusciti a registrare questo cd con una formula molto particolare attraverso la quale abbiamo portato in studio un pubblico ristretto e selezionato di appassionati di musica e audiofili che hanno avuto così l’opportunità di assistere alla creazione del lavoro disco-grafico, facendone parte integrante! Inoltre, data la presenza del pubblico, le riprese sono state di tipo “diretto” in quanto pubblico e musicisti erano tutti nella stessa sala, rendendo così impossibile qualsiasi tipo di editing. Questo vuol dire che alcuni errori di esecuzione che potevano pregiudica-re la registrazione, non potendo essere corretti, ci hanno costretti a proce-dere ad una nuova registrazione (take). Esattamente come si faceva ai vecchi tempi nei grandi studi di una volta. Tutto questo ha reso possibile il flusso di un’energia particolare e spero che tutti i fruitori di quest’opera possano percepirla.
Gero Mannella (Jazzophile) dice del disco:
“In perfetta continuità con le mirabilie di “Waiting” e di “The Ugly Duckling” il nuovo progetto di Leonardo De Lorenzo “on fiVe” è un inno alla sincope e alla creatività. Suoni nuovi e progressivi, mai rimasticati, energia conta-giosa, vibrazioni telluriche che sono pura epifania. Con lui, infaticabile bombarolo, in quell’antro delle meraviglie che è la sua musica, la chitarra sanguinosa di Giacinto Piracci, il piano vorticoso di Ergio Valente, gli acuti sdruccioli del giovine sassofonista Ciro Marone, il basso poderoso di Vin-cenzo Lamagna.
Il jazz è vivo e lotta insieme a noi”
Giulio Scognamiglio:
Ho imparato ad applaudire senza battere le mani. Di lì a pochi giorni avremmo tutti fatto altre cose senza farle. Abbracciarsi senza brac-cia, baciarsi senza bocca, amarsi senza fare l’amore.
Il mondo sarebbe cambiato, e noi con lui, ma stavamo nella placenta della musica ed eravamo connessi alla nostra emozione.
La mia prima esperienza di registrazione di un disco con pubblico silente in sala. In parte è stato faticoso perché avrei voluto gioire con tutti i sensi, con l’esuberanza dell’eloquio e del gesto che mi appartengono, dopo ogni assolo, e alla fine di ogni brano. C’era un’atmosfera come alle cene di na-tale della mia infanzia; aspettavo che i grandi finissero di mangiare e di be-re, per scartare il regalo che avevo intuito e che mi faceva salire la febbre ben visibile sulle mie gote accaldate. E allora diritta avanti a me la chitarra, a destra il piano, a sinistra il sassofono, nelle gabbie il basso e, un po’ dal vetro e un po’ via monitor, Leonardo che osservavo come lo zio che il re-galo me lo faceva grande e che monopolizzava lo spazio angusto dei doni sotto l’albero.
Tutti i brani andavano via veloci, perfetti, senza ripetizioni o “accrocchi” della moderna tecnologia della quale, oramai ne facciamo un uso ecces-sivo un po’ tutti. Noi astanti eravamo emozionati ma loro, i musicisti, di più, perché non c’era la distanza del golfo mistico a separare le loro paure e la loro voglia di regalarci bellezza. Ma tutta questa tensione è defluita nella musica, nel gesto di un accordo sul pianoforte o di un colpo di timpa-no proprio lì in quel punto. Ci siamo trovati come dei piccoli peluche a muovere le mani in questo gesto catartico ma senza far rumore, senza far rumore come quando cercavo furtivamente di capire l’entità del mio rega-lo. Le connessioni emotive sono state tante ma anche indimenticabili per-ché quel giorno, dove ancora ci baciavamo con la bocca e ci abbraccia-vamo con le braccia, è stato un giorno dove abbiamo imparato a far l’amo-re con la musica, questa bella musica di un uomo, Leonardo, che sa come far l’amore anche senza poterlo fare.
Il disco – composto interamente da Leonardo De Lorenzo – è stato registrato in modalità live, in due set, con pubblico in sala.
Sì troppe parolacce e per giunta sempre le stesse, che – a lungo andare – stancano.
Però detto questo, che mi sembra d’obbligo proprio in prima battuta, “Strappare lungo i bordi” la serie animata di Zerocalcare visibile su Netflix, è stata una piacevolissima rivelazione.
Tante aspettative, buono il risultato.
Zerocalcare, pseudonimo di Michele Rech, è un fumettista famoso, che negli anni ci ha abituato ad entrare nelle sue storie, “vignettate”, raccontate senza pretese, quasi sempre autobiografiche, capaci di far riflettere, e che con “Strappare lungo i bordi” è passato all’animazione, alla serie animata, e l’ha fatto sperando di non deludere il suo pubblico, e tenendo dentro tutto il suo mondo narrativo.
Il passaggio semiotico dal fumetto all’animazione, è stato impegnativo, proprio perché è un altro linguaggio con sue proprie regole, ma è venuta fuori tutta la maestria di Zerocalcare che è passato dal lavorare in solitaria, alla collaborazione con 200 persone che con lui hanno permesso la realizzazione di questo piccolo capolavoro per il quale Michele Rech ha fatto proprio tutto. Scrittura, regia ed anche doppiaggio. Tutti i personaggi li ha doppiati lui, ad eccezione di quella della sua coscienza che ha forma di armadillo e che porta la voce riconoscibilissima del bravissimo Valerio Mastandrea. E solo Rech poteva fare tutte le voci, perché tutti i personaggi sono lui, sono l’animazione del suo modo di essere e di concepire l’esistenza, a volte sgangherata e tremendamente incerta.
6 piccole puntate da 20 minuti circa, niente di troppo impegnativo nell’epoca delle lunghissime serie tv.
Una storia compatta, che si evolve puntata dopo puntata e che si dipana attorno ai personaggi, che li ingloba, li racconta e li interseca ma mantenendo sempre una struttura che si evolve e si conclude all’interno di una puntata, trasportando però la storia sempre un passo più in là.
Il rimo della serie tv è abbastanza serrato, è dinamico e si serve di quelle parti della narrazione che sono tipiche della scrittura.
Un viaggio, che non sarà ovviamente solo fisico, ma anche all’interno di stati d’animo e di riflessioni sul vivere, e poi i flashback, che servono all’autore per sottolineare caratteri e caratteristiche dei personaggi, alimentare suggestioni e per sfumare tutto su atmosfere e particolari, così come si fa con una matita dalla punta leggera.
Intorno ai fumetti di Zerocalcare c’è stata tutta una regia tecnica, che doveva evidenziare le inquadrature, conferendo un taglio adeguato che passa dal comico al drammatico, e in questo ritengo che l’intento sia perfettamente riuscito. I personaggi raccontati si confessano spesso, davanti alla telecamera e si dotano di una tridimensionalità di intenti. La dinamicità dei personaggi e delle loro coscienze.
Il linguaggio usato è sicuramente irriverente, schietto, semplice e dunque accessibile a tutti, ma non è mai banale.
Diversi passaggi e il modo in cui ha raccontato la storia, l’ho trovato assolutamente efficace.
E’ la storia di Zerocalcare, del suo mondo, dei suoi amici che fanno un viaggio (un classico della narrazione) e che si raccontano, tra voci della coscienza e autoironia. Tra passato da bambini e il presente “imperfetto”. Una riflessione collettiva su come si debba pensare al proprio percorso non sempre come ad una linea tratteggiata che ci indichi “dove strappare” per far venire fuori l’immagine precisa e completa, ma come a volte serva strappare oltre, anche male, se questo possa servire a trovare il proprio posto nel mondo, che è fatto di scelte, di volontà e di tenacia, oltre che di carattere.
E il carattere del singolo spesso si scontra, altre si incastra a quello di coloro che scegliamo come amici, e come compagni di viaggio, anche quando la meta non è quella convenuta o sperata.
Una serie un po’ punk un po’ centri sociali, un po’ “regole di vita” un po’ “a cazzi”.
Tutto condito dal romanesco, sfacciato e bellissimo, con quelle frasi che sottolineano alcuni momenti dell’esistenza, che ti fa capire come tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo trovati a fare scelte e a sentirci inadeguati e a provare un senso di colpa.
Amori adolescenziali, inadeguatezza, incomprensioni, scelte su cosa fare da grandi, imprevedibilità e “spade di damoche” che a volte non cascano lì dove dovrebbero.
Si ride, ma si piange anche un po’.
Piacerebbe a Nanni Moretti quanto a Woody Allen, quella comicità che finisce dentro un groppone in gola.
Perché per riflettere non serve sempre la solennità, davanti alla macchina da presa.
Molto bene, a mio avviso questa prima esperienza animata di Zerocalcare e qualcosa mi dice che sicuramente continuerà a ragionare in questa direzione.
Ora sa come si fa.
“La prossima volta meno parolacce, ‘tacci tua Michè”
Roma, 9 novembre 2021 – Il Ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha incontrato il Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, Ezio Bonanni, affiancato dal coordinatore ONA della regione Sicilia, Calogero Vicario, in rappresentanza dei lavoratori delle Industrie Meccaniche Siciliane di Siracusa che sono in costante mobilitazione dall’estate del 2020.
Il presidente ha esposto al ministro, che ha mostrato particolare attenzione e sensibilità, la drammatica situazione del rischioamianto in Italia, anche a causa della pandemia Covid-19, e ha chiesto che, per rimuovere l’amianto dagli edifici privati, siano sanciti strumenti premiali per le imprese che innovano in sicurezza, con modulazione del premio INAIL in relazione agli standard raggiunti, credito di imposta e risorse del recoveryfound per le bonifiche, e bonus fiscale del 110%.
Nello specifico si è soffermato ad esporre il caso emblematico dei lavoratori delle Industrie Meccaniche Siciliane (SIN Siracusa) ai quali, nonostante l’esposizione ad amianto e ad altri cancerogeni, la Corte di Appello di Catania, in riforma della sentenza del Tribunale di Siracusa che aveva riconosciuto i benefici contributivi per l’esposizione alla fibra killer, ha negato il diritto alla pensione, giudizio ora affidato alla Suprema Corte di Cassazione.
Sia Bonanni che Vicario si sono appellati al Ministro chiedendo che la problematica possa essere risolta con un decreto ad hoc che tuteli i lavoratori. “Sono vicino alle vittime dell’amianto e alle loro famiglie. Faremo tutto quanto è nella nostra disponibilità per la bonifica dei siti, la loro messa in sicurezza, e per la tutela dei diritti delle vittime e dei lavoratori esposti” – ha dichiarato il Ministro nel sottolineare di essersi già attivato a studiare uno specifico intervento normativo da inserire nella prossima legge finanziaria.
La condizione di allarme amianto in Sicilia è stata certificata anche dall’ex Ministro dell’Ambiente, Generale Sergio Costa, che ha più volte visitato i territori, in particolare Augusta, e dalReNaM che, per quanto riguarda i mesoteliomi, stabilisce che la regione ha un’incidenza del 5,3% su base nazionale.
Il Presidente Ona ha comunque voluto esporre anche un ampio quadro della situazione italiana con i dati di morbilità e di mortalità delle malattie asbesto correlate provocate dall’esposizione ad amianto che, solo nel 2020, ha causato il decesso di 7000 persone nel nostro paese, prevedendo un picco di morti tra il 2025 e il 2030, e denunciando il ritardo del censimento pubblico sia dei casi di mesotelioma, che delle altre malattie asbesto correlate.
“Ho insistito sul fatto che è indispensabile bonificare con urgenza per ridurre il rischio di esposizione dei cittadini (prevenzione primaria), ma ho ribadito anche la necessità della sorveglianza sanitaria per coloro che sono stati già esposti (prevenzione secondaria) e delle corrette tutele previdenziali e risarcitorie (prevenzione terziaria), auspicando la deflazione dei contenziosi giudiziari a cui sono costrette le vittime e i familiari per il riconoscimento dei loro diritti” – spiega Bonanni.
Una storia, quella di Antonella Diacono, una ragazza piena di vita – “una forza della natura” come la descrive il suo papà – che a 13 anni, il 28 novembre del 2017, decide di togliersi la vita.
Ho intervistato Domenico Diacono, padre di Antonella “Paninabella” e con lui abbiamo affrontato questo delicatissimo argomento, con il garbo e l’attenzione che merita.
Insieme abbiamo cercato di capire le dinamiche, gli errori, le mancanze, le problematiche che coinvolgono i giovani, che hanno però spesso una personalità così spiccata, tanto da non riuscire a perdonare nulla neanche a sé stessi.
Domenico e sua moglie Angela, hanno fondato un’associazione, senza fine di lucro che si può sostenere se si vuole cliccando qui https://www.paninabella.org/la-nostra-missione/
o devolvendo il 5×1000
https://www.paninabella.org/sostienici/
Domenico e Angela Diacono incontrano genitori e ragazzi, raccontando la loro storia ma senza voler mai trovare un colpevole, qualcuno su cui sfogare rabbia e dolore, ma analizzando un unico perché: “Perché Antonella non ha chiesto aiuto?” Una domanda scomoda che però può portare a comprendere cosa si può fare per aiutare chi sta male.
Durante questa toccante e a tratti commovente intervista, Domenico ha parlato utilizzando parole, sentimenti e pensieri che sono stati di sua figlia, raccontando una ragazza che si era sentita “Sfondo nella vita degli altri” e che per qualcuno era “diversa“. Perché le parole di Antonella riguardano tutti.
Vi invito a guardare questa intervista e a diffonderla, perché sono tante le parole chiave che Domenico Diacono ha pronunciato e che – ne sono certa – potranno essere di aiuto a molti, anche a tutti coloro che mai hanno considerato il suicidio di un proprio figlio, come una cosa possibile.