Il Castello Ursino di Catania ospita dal 22 aprile al 23 ottobre 2016 il Museo della Follia. L’esposizione mette insieme oli, sculture e disegni di Antonio Ligabue; dipinti e collage del pittore contadino Pietro Ghizzardi; sculture di Cesare Inzerillo e centinaia di opere sulla pazzia create dal 1600 a oggi.
Il Museo, nato da un’idea di Vittorio Sgarbi, è realizzato da Giovanni Lettini, Sara Pallavicini, Stefano Morelli e Cesare Inzerillo. L’esposizione è una coproduzione Comune di Catania, Centro Studi & Archivio Ligabue di Parma presieduto da Augusto Agosta Tota, Fenice – Company Ideas e vede il patrocinio del Mibact (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo). “Un repertorio, senza proclami, senza manifesti, senza denunce. Uomini e donne come noi, sfortunati, umiliati, isolati. E ancora vivi nella incredula disperazione dei loro sguardi. Condannati senza colpa, incriminati senza reati per il solo destino di essere diversi, cioè individui- Vittorio Sgarbi. “La grande rilevanza civile di questa mostra – ha detto il sindaco Enzo Bianco – risiede nella possibilità data ai più anziani di ricordare l’orrore che rappresentò la scoperta dei manicomi e dei reparti per gli irrecuperabili nell’Italia degli anni Settanta, e ai più giovani di comprendere perché non si debba mai tornare indietro. I manicomi erano ghetti, lager, in cui si consumava un piccolo olocausto quotidiano annientando esseri umani sofferenti nel sonno delle nostre coscienze. Il Museo della follia diventa così uno specchio che il curatore, Vittorio Sgarbi, ci pone davanti. Un po’ come fece Alda Merini scrivendo ‘La pazza della porta accanto’”. In mostra anche documenti su gentile concessione di Rai Teche, la proiezione dei video: «Linea Diretta – Discussione su “Legge 180” » e «X Day – I grandi della Scienza “Franco Basaglia”». In mostra anche documenti: la storia della Legge 180, una sorta di Wunderkammer dell’alienazione che espone camicie di forza, apparecchi per l’elettroshock, apribocca, medicine, ritratti di pazienti psichiatrici, l’inchiesta del Senato sugli ospedali psichiatrici giudiziari e documentari Rai. Grazie al contributo del Senatore Francesco Marino, all’interno di una stanza cieca e cupa, probabilmente adibita anticamente ai più deliranti agitati, rumorosi, pericolosi vi è proiettato un altro video-denuncia sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (realizzato dalla Commissione Parlamentare di inchiesta sull’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale – Senato della Repubblica). L’oggetto diventa sempre più schiacciato all’aumentare della velocità di battiti del cuore, lo spazio si contrae rapidamente, il tempo subisce la stessa sorte, cioè si dilata e rallenta. Non c’è più separazione tra osservatore (inerme) e il folle (anche se assente) che vive ancora nel ricordo che portano le mura dell’ex ospedale psichiatrico. Nella proiezione vengono anticipate, come una guida e per bocca dello stesso Vittorio Sgarbi curatore della mostra, le tre sezioni in cui si articola l’intero percorso:
Tutti i Santi – Le sculture di Cesare Inzerillo “che dà la traccia, evoca inevitabilmente Sigmund Freud e Michel Foucault, e apre la strada a un inedito riconoscimento, a una poesia della follia che muove i giovani in questa impresa” ha dichiarato V. Sgarbi. Alcune statuine, piccole cariatidi che rappresentano “una classe morta”, in cui i soggetti (pazienti, dottori e infermieri, distinguibili solo dai dettagli dell’abbigliamento, ridotti a mummie, uniti dalla improba lotta contro la sofferenza e la morte) si rimane sospesi in una zona di confine: mummie in un limbo tra realtà e sogno, nel fugace transito tra il mondo terreno e l’aldilà.
mummia- scultura di Cesare Inzerillo
La griglia – Fotografie, dipinti e neon. Novanta ritratti di pazienti ritrovati nelle diverse cartelle cliniche negli ex-manicomi d’Italia compongono una griglia di oltre 12 metri dove un neon luminoso, seguendo il contorno di ciascun ritratto, dona luce e rumore ai pensieri di ciascun volto. Colpisce la rappresentazione dei volti, dai tratti facciali omessi stratagemma per celare parzialmente e rispettare l’identità del malato, ma anche una astuta rappresentazione della malattia universalmente riconosciuta come “follia” di coloro in cui l’io fisico e l’io psichico non coincidono; inoltre la testa rappresenta il nucleo cosciente della persona, il suo Io razionale che controlla impulsi, istinti e gestisce le relazioni sociali e in molte delle immagini luminose sullo schermo le teste di questi sfortunati protagonisti sono volutamente più grandi (della normale proporzione testa/corpo) chiaro rimando ad un Io debole e i volti (in psicologia centro delle relazioni, del contatto emotivo e sensoriale con la realtà sociale) indicano poiché deficienti di occhi, naso o bocca: ritiro ostile, offeso da una realtà sociale in cui il soggetto non riesce ad inserirsi, isolamento e rifiuto di partecipazione sociale. Sala dei Ricordi – Oggetti abbandonati con decine e decine di teche contengono libri di letteratura in lingua originale che hanno trattato il tema della follia nel corso dei secoli, farmaci ritrovati nei manicomi, effetti personali dei pazienti, giocattoli e disegni dal passato inquietante.

La griglia-Museo della Follia-Castello Ursino-Catania-Maggio 2016- Elisa Carlisi ph
Nei “folli” come in Ligabue la pazzia era solo il proprio essere istintivo ed autentico nella vita, come nel suo essere pittore. Antonio Ligabue in arte, Antonio Laccabue (per nascita), detto “Al Matt” è riconosciuto, come il più alto esponente dei Naif italiani, riempie la realtà della campagna lombarda di alberi e foglie di una fantastica giungla popolata di animali domestici e selvaggi. Comincia a disegnare da piccolo, la sua forza è nel segno, forte, marcato, comincia un percorso esplorativo nel campo dell’arte. La sua “diversità” (un po’ menomato e un po’ folle, ma non troppo) colpisce lo scultore Marino Renato Mazzacurati nel 1927, che diede una svolta finalmente positiva alla sua vita sfortunata, che gli insegnò l’uso dei colori ad olio, aiutandolo a padroneggiare il suo talento e facendolo entrare nel mondo artistico. Ligabue non ha più problemi economici e lui può dedicarsi così alle sue passioni, tra cui la motocicletta che sarà causa di un incidente che, insieme ad una paresi che lo colpisce nella mente e nel fisico, lo porterà a dipingere sempre meno (da qui il suo “Treciclo volante” rappresentava una creatura ermafrodita, un po’macchina e un po’insetto, che ripropone il primo mezzo di locomozione di ognuno di noi ed il sogno del volo). Il coinvolgimento di Antonio Ligabue nella natura circostante, lo spinge addirittura ad aspirare ad essere uccello, un insetto, o uno dei suoi animali. Negli anni fra il 1930 ed il 1940, Ligabue oltre che con la pittura si esprime con la scultura; comincia un percorso esplorativo nel campo dell’arte, che lo porta a “rubare” il fango dalle ruote dei trattori dei contadini e ad impastarlo con l’argilla presa dal Po argilla che depurava masticandola pazientemente e rendeva malleabile impregnandola di saliva per creare le sue sculture, animali in prevalenza, dalle linee nette, rudi, forti. Dal blocco d’argilla Ligabue toglieva materia sbozzando la figura che voleva rappresentare, poi rifiniva il modello a colpi di pollice, usando un attrezzo affilato ed appuntito per scolpire alcuni particolari.
Gli animali sono i soggetti delle sculture di Ligabue, ma, a differenza di quelli dipinti, sono più realistici, come presi dalla pittura dell’ottocento, dimenticando le fantasiose deformazioni.
La maggior parte delle prime sculture di Ligabue, essendo fatte di materiale fragile, sono andate perdute, ma quando, dopo un decennio, negli anni ’50, riprende a scolpire, Ligabue si premura di cuocerle in modo da garantirne una più a lungo la durata. “L’artista prima o poi si ritira” (Fabri Fibra – Il Rap Nel Mio Paese) o lo internano nei manicomi: grandi cattedrali di donne e uomini determinati, liberi, folli ecco il perché del nome: Museo della Follia da Antonio Ligabue – Pietro Ghizzardi. “Ognuno di loro ha una storia, una dimensione che non si misura con la realtà, ma con il sogno. E quel sogno, con piena soddisfazione, oltre ogni tormento, rappresenta”, ha dichiarato Vittorio Sgarbi. Una sezione espositiva del “Museo della Follia” è costituita da una grande mostra antologica dedicata ai due artisti. L’iniziativa presenta 190 opere, di cui 12 dipinti e 2 disegni, di Antonio Ligabue e 37 opere di Ghizzardi. La mostra è organizzata da Augusto Agosta Tota, presidente del Centro Studi & Archivio Antonio Ligabue di Parma. Preziosa occasione per incontrare lo storicizzato e conoscere l’inedito, lasciandosi irretire dall’arte di due rappresentanti del Novecento medio-padano, che con aria allucinata, senso della natura, adesione ad una umanità al limite della sopravvivenza materiale e spirituale, sono stati capaci di una strenua lotta, anche quando appariva perduta nelle nebbie della follia. Ecco dunque 12 oli di Ligabue: Cavallo datato 1939-1942; un Ritratto risalente al 1941; eseguito fra il 1948 e il 1950 Cavalli all’aratro; fra il 1952 e il 1962 Ritratto di Donna; Scorpione, in due versioni differenti; Paesaggio agreste; Vedova nera con preda; Gatto con la talpa; datato fra il 1953 e 1954 Testa di tigre mentre Paesaggio con cani risale agli anni 1953-1955. Fra il 1957 e il 1958 è identificata la data di Lepre. Due disegni inediti senza datazione sono Alce e Cavallo. Fra i 37 lavori di Pietro Ghizzardi troviamo le tecniche miste Claudia Cardinale del 1960, Marilyn del 1968 e Mina del 1970.
La malattia disegna sul corpo ma nessuno può frenare la mente, lo spirito ( libero ) e la fantasia. Ligabue dopo 2 anni dalla paralisi, muore, perché non poteva più usare il suo braccio destro, muore perché non poteva più dipingere la propria libertà! L’arte cambia un uomo, la sua percezione del mondo e lo arricchisce di stimoli e di emozioni inattese, dà speranza per il futuro. Così il museo, ospedale prima e luogo di ricordi poi, si trasforma per assolvere al compito proprio di conservare (proteggere), mostrare (educare), al servizio della società e del suo sviluppo (cambiamento). I Romani erano convinti che la memoria risiedesse nel cuore (dal latino recordari e poi nell’inglese by heart, letteralmente con il cuore, e significa a memoria), Platone disse “questa conoscenza (la scrittura) renderà gli egizi sapienti e capaci di ricordare poiché con essa è stato trovato il farmaco della memoria e della sapienza”, oggi non vediamo i farmaci psichiatrici ma avvertiamo un dolore al cuore per ciò che è stato in passato quando il Castello Ursino fu luogo di fantasmi e di abbandono. Come Roncati pensava nel 1887 nel suo Compendio d’igiene (1887) l’ospedale psichiatrico deve essere come un’abitazione ordinaria, un luogo di certezze non più di paure, accogliente nei luoghi e ricco di umanità, nel pieno rispetto della persona; a volte basta poco, pochissimo: il calore di una mano che ti stringe, un bacio sulla fronte o anche un semplice sguardo di complicità.. Come risposta a urli disperati e alle richieste d’affetto come lo stesso Ligabue diceva: “Dam un bès”, “dammi un bacio”!
Elisa Carlisi