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Secondo quanto riporta la relazione della Dia del seconso semestre 2016, a componente di cosa nostra agrigentina risulterebbe la più attiva in Germania e in Canada. La Germania continua a rappresentare un territorio di attrazione per le organizzazioni criminali nazionali, in ragione sia della vicinanza geografica che della florida economia locale, fattori, quest’ultimi, che nel tempo avrebbero favorito l’insediamento delle cellule mafiose siciliane.  Recenti evidenze info-investigative testimoniano, peraltro, come la propensione delle famiglie siciliane ad investire nel settore edile abbia trovato spazio in questo Paese. Non a caso, la Questura di Colonia risulta da diversi anni impegnata, con successo, in indagini a carico di soggetti riconducibili alla cosiddetta “mafia dell‘edilizia”. Tra questi, un ruolo di primo piano sarebbe stato assunto da presunti membri di cosa nostra originari delle province di Enna, Caltanissetta e Agrigento, già segnalati dalla polizia tedesca per evasione fiscale e contributiva, nonché per violazioni ai diritti dei lavoratori. Proprio la componente mafiosa agrigentina si conferma la più nutrita e concentrata nella parte meridionale ed occidentale del Paese, in particolare nella Renania Settentrionale-Westfalia, in Baviera e a Baden-Wurttemberg, risultando fortemente interessata al traffico di stupefacenti.

L’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Agrigento,
rappresentata dal Presidente Paola Maria Giacalone, esprime rabbia ed indignazione per
il vile gesto compiuto a danno della stele che ricorda il barbaro assassinio del Giudice
Rosario Livatino.
I Commercialisti agrigentini, il cui ruolo sociale è rivolto al rispetto delle regole, aspetto
fondamentale dell’etica pubblica, nell’affermare fortemente i principi di legalità e lotta
alla mafia, intendono dare un contributo concreto alla difesa e l’esaltazione della figura
del Giudice Canicattinese.
D’intesa con Don Giuseppe Livatino, postulatore della causa di beatificazione, il
Consiglio dell’Ordine ha deliberato di elargire un contributo economico rivolto a
sostenere la causa di beatificazione.
Secondo Giovanni Falcone “Perchè una società vada bene, si muova nel progresso,
nell’esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell’amicizia, perchè
prosperi senza contrasti tra i vari consociati, per avviarsi serena nel cammino verso un
domani migliore,basta che ognuno faccia il suo dovere.”
I Dottori Commercialisti e gli Esperti Contabili di Agrigento sono pronti a fare il

L’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Agrigento, rappresentata dal Presidente Paola Maria Giacalone, esprime rabbia ed indignazione per il vile gesto compiuto a danno della stele che ricorda il barbaro assassinio del Giudice Rosario Livatino. I Commercialisti agrigentini, il cui ruolo sociale è rivolto al rispetto delle regole, aspetto fondamentale dell’etica pubblica, nell’affermare fortemente i principi di legalità e lotta alla mafia, intendono dare un contributo concreto alla difesa e l’esaltazione della figura del Giudice Canicattinese.D’intesa con Don Giuseppe Livatino, postulatore della causa di beatificazione, il Consiglio dell’Ordine ha deliberato di elargire un contributo economico rivolto a sostenere la causa di beatificazione.Secondo Giovanni Falcone “Perchè una società vada bene, si muova nel progresso, nell’esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell’amicizia, perchè prosperi senza contrasti tra i vari consociati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore,basta che ognuno faccia il suo dovere.”I Dottori Commercialisti e gli Esperti Contabili di Agrigento sono pronti a fare il

C’era una volta la Cattedrale! C’era una volta è l’espressione che in genere viene utilizzata nelle fiabe, ma questa volta di fiabesco c’è ben poco! Ad Agrigento c’era una volta l’imponente Cattedrale di San Gerlando, “c’era” nel senso che era aperta alla Città e alla popolazione. Ma da ben sei anni, la Cattedrale c’è ed è chiusa! Lei è lì, dove è sempre stata, e il suo è un aspetto sofferente. Il costone continua a scivolare a valle. E adesso il problema non è solo la tristezza nell’essere privi di una “struttura madre”, monumento glorioso, ma la concreta, reale preoccupazione nei confronti della sicurezza pubblica. Il sindaco Lillo Firetto ha scritto al presidente della Regione Rosario Crocetta ribadendo che: “Ad eccezione dell’intervento” che verrà avviato a breve, nessun’altra attività o intervento, altrettanto importante e ben più corposo in termini economici, pare essere stato avviato”… Firetto continua scrivendo: “Nel ribadire l’urgenza, si chiede un suo autorevole ed incisivo intervento per salvaguardare la sicurezza pubblica a monte come a valle, oltre che l’importante monumento”. E in merito alla questione Cattedrale, abbiamo ascoltato don Giuseppe Pontillo…intervista a Pontillo in onda oggi al Videogiornale di Teleacras…
Va inoltre ricordato che con la sottoscrizione del Patto per la Sicilia, alla città spetta un finanziamento di 37milioni di euro per i lavori di messa in sicurezza. Firetto, ancora scrivendo a Crocetta, afferma: “La situazione della nostra cattedrale è stata oggetto di numerosi colloqui, incontri, riunioni, corrispondenza che, a fronte di un inevitabile e progressivo deteriorarsi della condizione strutturale, non hanno sortito l’effetto desiderato”. Il Comune è stato autorizzato a procedere alla gara d’appalto per i lavori che riguarderanno la navata Nord della cattedrale. La procedura è attualmente in corso, con la convocazione della prima seduta della commissione già fissata per il 7 agosto. Se questo è un primo, importantissimo, risultato, bisogna tuttavia ricordare che non è la soluzione del problema che necessita di un impegno economico e di risorse ben superiori”.
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Fonte Teleacras

Dramma a Palermo. Un uomo di circa 60 anni è rimasto colpito da infarto mentre cercava di raggiungere un pirata della strada che pochi secondi prima aveva investito un motociclista.  I primi a soccorrerlo sono stati gli agenti delle volanti arrivati in zona. L’uomo poi è stato soccorso dai sanitari del 118 e trasportato all’ospedale Villa Sofia. Le condizioni sono gravissime. L’automobilista è stato bloccato dal personale della Capitaneria di Porto e dai carabinieri mentre tentava la fuga nelle viuzze del Borgo Vecchio.


I militari della Compagnia Carabinieri di Taormina, la scorsa notte, presso la Casa Circondariale di Siracusa hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal G.i.p.  Eugenio Fiorentino del Tribunale di Messina su richiesta del Procuratore Aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia di Messina-Dottor Sebastiano Ardita- e del sostituto Procuratore della Repubblica-Dottor Francesco Massara-, nei confronti di 2 esponenti di “Cosa Nostra” Etnea, e ritenuti responsabili – a vario titolo – di estorsione in concorso, con l’aggravante del metodo mafioso:

  1. Faranda Francesco Antonio, nato Catania, classe 1979, residente in Fiumefreddo di Sicilia, ritenuto appartenente  clan “Brunetto”, egemone nell’area sub-etnea nord-occidentale;
  2. Blanco Emanuele Salvatore, nato Catania e classe 1973, residente in Fiumefreddo di Sicilia (Ct), ritenuto appartenente  anch’egli al clan “Brunetto”;

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I provvedimenti di carcerazione sono scaturiti dalla prosecuzione una più complessa attività d’indagine svolta dall’Aliquota Operativa e convenzionalmente denominata Good Easter che portò nel mese di Aprile 2017 all’arresto anche di altri due esponenti di spicco di “Cosa Nostra” e che vide oggetto dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere anche Porto Carmelo, nato Catania nell’anno 1957, residente in Calatabiano (Ct),  ritenuto anche per pregresse vicende giudiziarie elemento apicale del clan mafioso “Cintorino”.
Nella prima operazione  i militari dell’Arma durante l’attività di prevenzione acquisivano da fonti confidenziali la notizia che appartenenti a clan mafiosi operavano anche nel Comune di Taormina tentando di sottoporre ad estorsione attività economiche e nello specifico rivendite di autovetture.
In questa circostanza invece i due soggetti arrestati per estorsione in concorso , con l’aggravante di aver agito con il  metodo mafioso sempre nell’Aprile scorso ponevano in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere un imprenditore titolare di agenzia del luogo a concludere un contratto di assicurazione di autoveicolo con targa di prova, nonostante la targa non fosse registrata alla banca dati, condizione questa necessaria alla conclusione del contratto.
Nello specifico dopo che l’imprenditore   aveva comunicato ad uno degli aguzzini il rifiuto alla stipula del contratto di assicurazione, quest’ultimo telefonicamente minacciava la vittima dicendogli “….Sono problemi tuoi, forza il sistema, premi il bottone e fammi la polizza..” e poi ancora: “…senti tu non lo sai chi sono io? Quando ti chiedo una cosa chiudi l’ufficio e vieni subito a casa mia, non ci vieni?”, altrimenti avrebbe sistemato con le maniere forti la faccenda.
I militari operanti predisponevano tra le altre attività un servizio di vigilanza nei confronti della vittima e della sua compagna: i carabinieri notavano la presenza di un soggetto (prontamente riconosciuto in Blanco Emanuele Salvatore) che nel tardo pomeriggio di un giorno di Aprile si poneva davanti alla porta dell’agenzia della vittima e all’arrivo di quest’ultima vi faceva ingresso ivi soffermandosi per alcuni minuti: una volta uscito il Blanco si metteva alla guida della sua autovettura ma veniva bloccato ed accompagnato presso una Stazione Carabinieri dipendente dalla Compagnia di Taormina.
Le risultanze investigative condotte dai militari trovavano riscontro e risultavano concordanti con la Procura della Repubblica di Messina che analizzate le fattispecie di reato si riteneva la sussistenza di esigenze cautelari gravi ed attuali nei confronti di entrambe gli indagati e specificatamente un concreto e grave pericolo di reiterazione della medesima attività criminosa quale si ricava agevolmente dalle peculiari connotazioni oggettive della condotta delittuosa descritta. Determinante anche questa volta è risultato essere il coraggio, la determinazione e la collaborazione dimostrata dall’imprenditore che in piena sinergia con la Magistratura di Messina e con l’Arma dei Carabinieri ha permesso di assicurare alla giustizia 2 pericolosi malviventi.
La loro opera ha permesso agli inquirenti,  in tempi  brevissimi, di respingere il fenomeno criminale che cercava di trovare spazio nella fascia costiera dell’Ionio e nei vicini comuni limitrofi.  Si auspica che altri imprenditori possano con celerità rivolgersi alla magistratura inquirente e all’Arma dei Carabinieri in modo da poter mettere fine al fenomeno, purtroppo ancora presente, delle estorsioni sul territorio. Gli stessi imprenditori denunciando hanno permesso il brillante risultato, frutto di un certosino lavoro di squadra, e che ha saputo, ridare la libertà a loro stessi che da tempo si vedevano costretti a pagare con i loro sacrifici “il pizzo” al sol fine di non avere minacce e ritorsioni ulteriori.

Negli anni Novanta c’era un piano per destabilizzare l’Italia ma a portarlo avanti non e’ stata solo Cosa Nostra. La Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria ha ricostruito – attraverso l’apporto di nuovi e fondamentali elementi raccordati e collegati fra loro – i moventi del duplice omicidio del 18 gennaio 1994 e dei due tentati omicidi dei carabinieri dell’1 dicembre 1993 e dell’1 febbraio 1994. Vicende che si inquadrano nel contesto della strategia stragista che ha insanguinato il Paese nei primi anni 90′ e in particolare nella stagione definita delle “stragi continentali”.
Protagonista di quella stagione, secondo quanto emerso dalle indagini, non fu solo Cosa Nostra (che ebbe il ruolo operativo fondamentale) ma anche la ‘ndrangheta, in una intesa che aveva come obiettivo l’attuazione di un piano di destabilizzazione del Paese anche con modalità terroristiche. Ritenuti mandanti degli attentati e raggiunti oggi da ordinanza di custodia cautelare, il siciliano Giuseppe Graviano, capo del mandamento mafioso di Brancaccio, coordinatore delle cosiddette “stragi continentali” eseguite da Cosa Nostra, attualmente detenuto in regime di carcere duro ed il calabrese Rocco Santo Filippone, 77 anni, di Melicucco (Rc), capo del mandamento tirrenico della ‘ndrangheta all’epoca degli attentati ai carabinieri.
A quest’ultimo è contestato anche il reato di associazione mafiosa per essere, anche attualmente, l’elemento di vertice dell’articolazione territoriale della ‘ndrangheta, localmente denominata cosca Filippone – direttamente collegata alla più articolata e potente cosca Piromalli di Gioia Tauro – al quale sono demandati compiti di particolare rilievo come quello di curare le relazioni e incontrare i capi delle altre famiglie di ‘ndrangheta e di aderire alla strategia stragista di attacco alle istituzioni dello Stato, attuata in Calabria, negli anni ’93 e ’94, in sinergia con Cosa Nostra attraverso il compimento degli omicidi e tentati omicidi dei carabinieri, materialmente eseguiti da Giuseppe Calabrò e Consolato Villani
VERITA’ SULL’OMICIDIO DEI CARABINIERI FAVA E GAROFALO Per il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo della Dda di Reggio Calabria, sono loro i mandanti dell’omicidio dei carabinieri Antonio Fava e Giuseppe Garofalo, trucidati nei pressi dello svincolo di Scilla il 18 gennaio 1994, e dei due agguati che nei giorni successivi sono quasi costati la vita ad altri quattro loro colleghi, Bartolomeo Musico’ e Salvatore Serra, feriti alla periferia sud di Reggio Calabria il 1 febbraio, e Vincenzo Pasqua e Salvo Ricciardo, rimasti miracolosamente illesi dopo l’attentato subito il 1 dicembre del ’93.
STRATEGIA DI DESTABILIZZAZIONE Tutti delitti – ha svelato l’indagine coordinata dal procuratore Lombardo insieme al sostituto della Dna, Francesco Curcio – che si inscrivono in una strategia di attacco allo Stato, che dopo i brutali attentati costati la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ha continuato a mietere vittime anche fuori dalla Sicilia. E non solo a Firenze, Roma e Milano. C’e’ stata una tappa calabrese nella strategia degli “attentati continentali”, concordata dai vertici delle mafie tutte. Un piano funzionale alla costruzione dello Stato dei clan.
PERQUISIZIONI IN TUTTA ITALIA Sono in corso di esecuzione anche numerose perquisizioni in diverse regioni d’Italia. Alle operazioni eseguite dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria, dal Servizio Centrale Antiterrorismo e dal Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, partecipano anche i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria. I particolari dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa che si terra’ alle 11 nella sala convegni della Questura di Reggio Calabria, alla presenza del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo Franco Roberti dei magistrati inquirenti e degli investigatori.
IL MOSAICO A oltre vent’anni di distanza dal brutale omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo e dal ferimento rimasto senza perche’ dei loro quattro colleghi, si ricompone in un quadro inquietante quello che all’epoca fu considerato un delitto da balordi. Per arrivarci, i magistrati hanno ascoltato centinaia di boss, pentiti e non, hanno fatto sopralluoghi, cercato riscontri, incrociato informative. Perche’ fra le pieghe di indagini del passato, piu’ di un’indicazione era gia’ affiorata. Oggi pero’, tutti quegli elementi sparsi trovano unita’ in un quadro inquietante che tiene insieme le mafie tutte, pezzi deviati dei servizi, ambienti piduisti e galassia nera. Tutti responsabili – affermano i magistrati di Reggio Calabria – di aver tentato di sovvertire l’ordine repubblicano in Italia.
LE RIUNIONI Un piano che in Calabria e’ stato oggetto di almeno tre riunioni, la prima al villaggio turistico Sayonara di Nicotera, controllato dal clan Mancuso di Limbadi, legato a doppio filo al potentissimo casato mafioso dei Piromalli, le altre due a Oppido Mamertina. Al tavolo, c’erano i massimi esponenti dell’epoca della ‘ndrangheta calabrese e gli “emissari” siciliani di Toto’ Riina. Storicamente legato ai Piromalli, storico casato di ‘ndrangheta che vanta legami con la Sicilia fin dalle prime decadi del Novecento, il boss siciliano si era rivolto a loro per “convincere” i massimi vertici delle ‘ndrine ad aderire alla strategia degli attacchi continentali.
IL PROGETTO Questo tuttavia – emerge dall’indagine della Dda reggina – non era che un aspetto parziale di un piano ben piu’ ampio e complesso, da maturare in piu’ fasi. iniziato a maturare qualche anno prima. A svelarlo negli anni scorsi erano stati collaboratori di giustizia come Antonio Galliano e Pasquale Nucera, che avevano parlato ai magistrati del progetto delle mafie di ?destabilizzare lo Stato?. Un progetto cui la ‘ndrangheta non ha lavorato da sola.
LOGGE SEGRETE, SERVIZI DEVIATI E CALABRIA NERA Erano i primi anni Novanta, la Prima Repubblica aveva iniziato a scricchiolare sotto i colpi di Tangentopoli e il possibile avvento del Partito comunista al potere terrorizzava le mafie e non solo. In allarme all’epoca erano entrati militari e agenti di intelligence di estrazione piduista, in passato legati all’area di Gladio, e la galassia nera che con loro spesso e’ andata a rimorchio. A loro, guardava con interesse – hanno svelato diversi pentiti – anche rappresentanti del mondo economico. Insieme hanno progettato di sostituire la vecchia, ormai inaffidabile classe politica, con una di nuovo conio, ma sempre pronta ad assecondare i compositi interessi di mafie, logge, pezzi deviati di Stato e grande imprenditoria.
LE RIVELAZIONI CALABRESI DI SPATUZZA E’ in questo quadro che si inseriscono l’omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo e i due attentati che all’epoca hanno colpito altri quattro loro colleghi. Il primo a dare precise indicazioni sulla corretta lettura di quegli attentati e’ stato il pentito Gaspare Spatuzza, braccio destro dei boss Graviano. Nel 2009, il collaboratore ha rivelato ai pm che il boss Giuseppe Graviano avrebbe dato l’ordine di commettere nuovi attentati per fare pressione sui referenti istituzionali dell’epoca. Perche’ i calabresi avevano gia’ “aperto le danze”.
GLI ORDINI DI GRAVIANO “Si deve fare per dare il colpo di grazia – mette a verbale Spatuzza -, Graviano mi disse che dovevamo fare la nostra parte perche’ i calabresi si sono mossi uccidendo due carabinieri e anche noi dovevamo dare il nostro contributo. Il nostro compito era abbattere i carabinieri e quello era il luogo dove potevano essercene molti, almeno 100-150″. Si tratta dell’attentato che il 22 gennaio del ’94 avrebbe dovuto spazzare via due pullman di carabinieri allo stadio Olimpico, fallito solo per un malfunzionamento del telecomando. In Calabria, nei mesi precedenti a quel tentativo, gli uomini dei clan erano andati a segno.
LO SCACCHIERE CALABRESE Contrariamente a quanto fino ad ora noto, la ‘ndrangheta disse di si’ alla proposta di partecipare alla strategia stragista. O meglio, i massimi vertici della ‘ndrangheta dissero di si’. Per questo, i mandanti dell’attentato sono da cercare fra le grandi famiglie. A individuare i sacrificabili esecutori sono stati in due, Mimmo Lo Giudice, oggi deceduto, espressione dell’e’lite dei clan reggini, De Stefano-Libri-Tegano, e Rocco Filippone, uomo di vertice del clan di Melicucco, diretta emanazione dei Piromalli. Sono stati loro a forgiare e formare, Giuseppe Calabro’, nipote di Filippone, e Cosimo Villani, all’epoca minorenne e oggi pentito. Nonostante nel corso delle prime indagini sugli omicidi siano stati individuati altri complici, solo loro due sono stati condannati. Ma solo dopo molti anni dopo quella condanna hanno iniziato a raccontare la verita’.

Poteva essere una tragedia e per fortuna non lo è stata. Tutto per un’autovettura che, ieri, sbagliando ingresso, ha iniziato a percorrere contromano un tratto della S.S. 640, fino a a quando alcuni automobilisti sono riusciti a fermare il conducente. Il fatto è accanduto nei pressi del bivio per Favara, vicino al distributore Erg. Una segnalazione è arrivata ai centralini della polizia che hanno inviato una pattuglia sul posto. Dello sbadato automobilista, però, non vi era più traccia.

Clima rovente a Licata dove 16 consiglieri comunali, tutti di opposizione, hanno ufficializzato la richiesta di discussione della mozione di sfiducia al sindaco Angelo Cambiano. Due consiglieri del Pd non si sono uniti ai colleghi ed hanno detto non non volere sfiduciare il primo cittadino non sottoscrivendo il documento che se passasse porterebbe al decadimento dello stesso. Affinché accada questo, però, è necessario che i voti in aula consiliare siano almeno venti, dunque, se la maggioranza si compatterà, il tentativo di far cadere il sindaco a sua volta cadrà.

Coin una lettera inviata al governatore della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, il sindaco di Agrigento, Lillo Firetto, ripercorre la vicenda della Cattedrale di Agrigento e dei necessari lavori di consolidamento. La gara d’appalto di aggiudicazione degli stessi è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale ma l’iter burocratico procede molto lentamente. Nella lettera, inviata ieri, il primo cittadino sollecita il presidente della Regione ad attivarsi per la soluzione del problema-Cattedrale afficnhe si arrivi a “salvaguardare la sicurezza publica a monte come a valle, oltrechè l’importante monumento”.