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Ridiscutere Ceta e pure trattati con Marocco e Tunisia

“Basterà iniziare a dire qualche no ai tavoli europei e internazionali, come abbiamo cominciato a fare: il Ceta va rivisto per non abbassare il prezzo di grano e carne italiani. Dobbiamo rivedere i trattati con Marocco e Tunisia, che riguardano arance e olio. Ce lo siamo detti per anni come forza di opposizione e ora dobbiamo dettare le regole.
    Spero che si possa lavorare con gli altri Paesi per far sì che i nostri prodotti possano andare all’estero”. L’ha detto a Catania il ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio.
   

Nove le donne, una incinta. Mesi in Libia, ‘subito torture’

Quindici migranti sono arrivati ieri sera a Lampedusa a bordo di una piccola imbarcazione e sono stati soccorsi da una motovedetta della Guardia costiera a poche miglia dall’isola. I migranti, 6 uomini e 9 donne di cui una incinta, hanno detto di essere salpati dalla Tunisia. Quattro sono nordafricani mentre gli altri 11 provengono dal Congo e dalla Costa d’Avorio e hanno raccontato di aver trascorso tra gli 8 e i 10 mesi in Libia, dove hanno subito torture, prima di trasferirsi in Tunisia per affrontare la traversata. I migranti sono stati trasferiti nell’hotspot di Lampedusa.
   

 

Con avviso pubblico n.4/2017 l’Amministrazione regionale indiceva una procedura selettiva per la presentazione di candidature per l’attuazione dell’offerta formativa di Istruzione Tecnica superiore in Sicilia. Alla selezione avrebbero potuto partecipare gli organismi denominati ITS aventi natura di fondazioni costituende composte da un’istituzione scolastica e da altri soggetti tra cui anche un organismo di formazione professionale.E con riferimento ai requisiti di tali ultimi soggetti l’avviso richiedeva che gli stessi “di norma” fossero ubicati nella provincia sede della fondazione ; non potendosi in nessun caso fare discendere da una tale formulazione letterale una connessa prescrizione sanzionatoria consistente nell’esclusione dalla procedura selettiva per l’ipotesi di ubicazione dell’ente in provincia diversa rispetto a quella della fondazione. L’Istituto Scolastico “Filippo Re Capriata” con sede in Licata e la Green Life società cooperativa sociale con sede in Agrigento avevano partecipato alla selezione ; l’ente Green Life nelle more era stato accreditato ed aveva la propria sede direzionale sita in Palermo,Via Giuseppe Terragni. L’Amministrazione Regionale ha ritenuto inammissibile l’istanza di ammissione assumendo che l’ente in questione fosse sprovvisto del requisito di ammissione inerente la sede avendo la sede operativa in Palermo Via Terragni e non risultando nessuna sede di erogazione con ubicazione nella provincia di Agrigento sede della costituenda Fondazione. L’ente ha allora proposto un ricorso davanti al TAR Sicilia, con il patrocinio degli avvocati Girolamo Rubino e Lucia Alfieri, contro l’Assessorato Regionale dell’Istruzione, per l’annullamento,previa sospensione, del provvedimento di esclusione dalla selezione. In particolare gli avvocati Rubino e Alfieri hanno censurato il provvedimento impugnato sotto il profilo del l’eccesso di potere,atteso che l’avviso non onerava i soggetti partecipanti ad avere necessariamente una sede di erogazione nell’ambito provinciale della sede della fondazione. Il TAR Sicilia,Palermo,Sezione Prima, condividendo le censure formulate dagli avvocati Rubino e Alfieri, ha accolto la richiesta di sospensiva, disponendo l’ammissione con riserva della costituenda fondazione alla selezione.Pertanto,per effetto della sospensiva emessa dal TAR, la costituenda fondazione partecipera’ con riserva alla selezione in questione

Un percorso di formazione per favorire l’inclusione. Il progetto dello Sprar Don Bosco 2000 ha sollevato le critiche di alcuni studenti di Beni culturali. «È impensabile che ragazzi appena scolarizzati rubino loro il posto», rispondono dall’organizzazione

 

«Dopo tutto quello che ho passato, non avrei mai pensato di fare un tirocinio in un museo. Il mio compito è quello di mantenere in ordine le sale e pulire le vetrine espositive con la guida di un tutor». Sorride il giovane Fode, originario del Senegal, mentre racconta a MeridioNews l’attività che svolge per il museo archeologico di Aidone. Anche il maliniano Suleman, che arriva da un centro per minori non accompagnati di Catania, è stato accolto nello Sprar tre anni fa. Lui, invece, supporta gli addetti alla manutenzione del verde pubblico nell’area archeologica di Morgantina, insieme ad altri quattro ragazzi. «È un lavoro delicato – dice – perché questa è una città antica e importante». 

Suleman e Fode sono due dei sei richiedenti asilo dello Sprar Don Bosco 2000 di Aidone impegnati, da giugno, nelle attività di supporto alla manutenzione del museo e dell’area archeologica di Morgantina. «Il tirocinio formativo, dalla durata di cinque mesi, è frutto di una convenzione tra l’associazione Don Bosco 2000 e il museo archeologico di Aidone – spiega Monica Camiolo, educatrice e referente per l’orientamento al lavoro del centro Sprar – Lo scopo è quello di favorire l’integrazione e l’inclusione sociale attraverso dei percorsi di formazione. Tutti i ragazzi, seguiti da un tutor, ricevono un rimborso che è a carico dell’associazione mentre l’ente beneficiario, il museo, non versa nessuna quota».

Dopo l’annuncio pubblicato dal direttore del museo sulla pagina Facebook, sono arrivate le polemiche nei commenti lasciati da alcuni laureati in Beni culturali senza un impiego. «Io che ho una laurea in Beni culturali – commenta Giuseppe– non ho avuto la stessa opportunità». «Dare un posto ai migranti nei musei, che siano pagati o no – interviene Massimiliano – è uno schiaffo e una ingiustizia nei confronti di chi ha studiato e per poterci lavorare». Poi c’è chi, come Marcella «oltre alla Laurea in Beni culturali e archeologici, ho anche una qualifica come addetto alla manutenzione e gestione dei servizi museali e archeologici, ma – lamenta – sono a casa».

Le critiche, però, arrivano senza che si conoscano bene i fatti. «I nostri ragazzi sono appena scolarizzati – chiarisce la responsabile del centro Sprar, Roberta La Cara – È impensabile che possano occupare una posizione che spetterebbe a un laureato o specializzato. Il tirocinio è uno strumento per garantire ai richiedenti asilo una formazione da spendere una volta fuori dallo Sprar».

A chiarire la vicenda, interviene anche il direttore del museo. «Ho ampiamente risposto ai commenti – spiega Concetto Biagio Greco – postando due video del filosofo Diego Fusaro in cui emerge qual è la reale problematica dell’immigrazione che non si può racchiudere nella logica deviante del migrante nemico che ruba il lavoro agli italiani. Il vero nemico – sottolinea – è il potere a cui giova mantenere un livello di scontro verticale tra disoccupati italiani e migranti evitando che raggiunga un conflitto orizzontale verso i signori della finanza». In questo modo si perdono di vista i veri responsabili e si addita lo straniero come la causa di tutti i problemi. «Come si fa a non rendersi conto delle politiche colonialiste – si chiede il direttore del museo – che da secoli sfruttano i loro Paesi di provenienza costringendo queste persone a fuggire?».

Da parte del museo, per altro, non c’è stata nessuna assunzione. «Abbiamo accettato la proposta dello Sprar di avviare questi tirocini formativi a costo zero per il museo – precisa il direttore – utilizzando un’opportunità che la legge ci mette a disposizione. I ragazzi ci danno una mano svolgendo piccole mansioni. In un momento storico ostile, in cui le diversità culturali sono quotidianamente messe al bando da fatti di intolleranza e odio – conclude Greco – dare la possibilità a questi ragazzi di integrarsi sul territorio diventa un modo per restare umani».

Relazione su rendiconto generale per l’esercizio 2017

Il bilancio della Regione siciliana dovrà essere sottoposto ad una “apposita manovra correttiva”. Si legge nella relazione del giudice della Corte dei Conti per la Sicilia Francesco Albo, sul rendiconto generale per l’esercizio 2017. Albo ha segnalato nel suo intervento una serie di criticità del documento contabile e ha parlato di un “peggioramento del risultato di amministrazione rispetto al 2016”. La relazione descrive anche il “peggioramento della situazione contabile” degli enti locali siciliani questo peggioramento finisce, secondo Albo, per pregiudicare “il mantenimento degli equilibri di bilancio”

L’invito al dialogo che i carabinieri fecero arrivare al boss Totò Riina dopo la strage di Capaci sarebbe l’elemento di novità che indusse Cosa nostra ad accelerare i tempi dell’eliminazione di Paolo Borsellino. Lo sostengono i giudici della corte d’assise di Palermo che hanno depositato le motivazione della sentenza sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.”Ove non si volesse prevenire alla conclusione dell’accusa che Riina abbia deciso di uccidere Borsellino temendo la sua opposizione alla ‘trattativa’ conclusione che peraltro trova una qualche convergenza nel fatto che secondo quanto riferito dalla moglie, Agnese Piraino Leto, Borsellino, poco prima di morire, le aveva fatto cenno a contatti tra esponenti infedeli delle istituzioni e mafiosi, – scrivono – in ogni caso non c’è dubbio che quell’invito al dialogo pervenuto dai carabinieri attraverso Vito Ciancimino costituisca un sicuro elemento di novità che può certamente avere determinato l’effetto dell’accelerazione dell’omicidio di Borsellino”


Depositate le motivazione della sentenza del processo

 

Alle 16,58, ora della strage di via D’Amelio, a Palermo, alcune centinaia di persone presenti per le manifestazioni dell’anniversario, hanno osservato un minuto di silenzio nella strada dove il 19 luglio di 26 anni fa, Cosa Nostra ha assassinato il giudice Paolo Borsellino e i 5 agenti della polizia di Stato Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, che facevano parte della sua scorta. Poi sono stati suonati il Silenzio e l’inno di Mameli cui è seguito un lungo applauso. Molti giovani hanno alzato verso l’alto la mano che teneva l’agenda rossa simbolo della richiesta di verità e giustizia sulla strage. “Mio fratello è stato sacrificato sull’altare della trattativa. Se fosse stato ucciso dal ‘nemico’ non ci sarebbe una via D’Amelio.
    Non saremmo qui con queste agende rosse a chiedere verità e giustizia” ha detto Salvatore Borsellino il fratello di Paolo.
   

Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede (D), in via D’amelio per commemorare in cui fu ucciso il giudice Paolo Borsellino e gli agenti
Giovani hanno alzato verso l’alto la mano con agenda rossa

Ministro Bussetti tra i ragazzini con Orlando e sorella Paolo

Via Mariano D’Amelio, 26 anni dopo la strage che uccise il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e gli agenti della polizia di Stato Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, e distrusse strada auto e palazzi, si è trasformata in un ”campus” per bimbi con attività ricreative, giochi, letture con l’iniziativa ”Coloriamo via D’Amelio” in occasione dell’anniversario dalla strage. Centocinquanta bambini di sei scuole hanno partecipato anche a laboratori nell’ambito del progetto ‘Lo sport è un diritto per tutti’. Tra i bambini si vedono le sagome del ministro dell’Istruzione ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, del sindaco Leoluca Orlando, e di Rita Borsellino. ”Verità e giustizia – ha detto il ministro – sono valori importanti per la vita dell’uomo. A questi si aggiunge la ricerca della libertà personale. Ricordiamo oggi questa tragedia che ha un valore simbolico forte che vuole trasmettere ai ragazzi dei valori importanti”.

Assessore Roberto Lagalla

L’assessore Roberto Lagalla rassicura: “Entro una settimana tutto pronto per l’avviso 2. E la recente sentenza del Tar interessa soltanto l’avviso 8”. Ancora più nel dettaglio, il responsabile della Pubblica Istruzione e della Formazione Professionale in Sicilia precisa: “Domani venerdì terremo un incontro con sindacati e associazioni datoriali con i quali abbiamo percorso già molta strada in vista di un accordo che prevede le tutele così come riconosciute da un articolo dell’ultimo Collegato alla Finanziaria: le assunzioni insomma dovranno avvenire attraverso l’albo dei lavoratori. Le uniche eccezioni saranno quelle che riguardano i lavoratori iscritti all’albo negli anni successivi al 31 dicembre del 2009 e quelle professionalità richieste dagli enti e non presenti tra quelle dei lavoratori dell’albo dei formatori. Dopo l’incontro di domani, lavoreremo alla circolare applicativa in modo che si operi in modo omogeneo e per evitare fughe in avanti. Per la circolare credo servirà un’altra settimana. A quel punto, è tutto pronto. Toccherà agli enti. Inoltre, la recente sentenza del Tar interessa, e ha di fatto salvato, l’avviso 8, chiedendo al governo di modificare la graduatoria. Questa sentenza non ha nulla a che vedere con l’avviso 2, quello col quale stiamo riavviando i corsi. Della pronuncia del Tar adesso valuteremo le ricadute e quindi la tempistica. Una cosa è certa: questi corsi non potranno sovrapporsi a quelli dell’avviso 2 che partiranno tra poco. Al momento, quindi, concentriamoci sul nuovo avviso. Poi, quando questo sarà concluso, potrà ‘ripartire’ anche l’avviso 8”.

Festeggiano le associazioni che sostengono gli imprenditori nel percorso che porta alla denuncia del pizzo e dell’usura. Ad accedere ai finanziamenti sarà soltanto chi dimostrerà di aver realmente contribuito a liberare un’azienda dalle minacce della mafia

Parte dalla Sicilia la stretta sulle associazioni antiracket, per provare ad arginare quell’impegno di facciata che, in barba ai troppi sacrifici umani pagati nell’Isola, ha costruito carriere all’ombra dell’antimafia di comodo. Nel giorno del 26esimo anniversario della strage di via D’Amelio, le associazioni antiracket tornano a farsi sentire, rivendicando il «lavoro serio che in tanti portano avanti con gratuità nei territori, lontano dai riflettori» e festeggiando per la norma, promossa dalle stesse associazioni e approvata nel testo collegato alla Finanziaria regionale, che istituisce paletti più severi per l’accesso al fondo antiracket della Regione. 

Dopo il caso Saguto, lo scandalo Montante e l’inchiesta Labisi, ecco che quelle maglie troppo larghe nella definizione di antiracket, istituite con un decreto del Ministero dell’Interno nel 2007 (poi rivisto solo parzialmente), vengono ridimensionate un’altra volta. La legge è stata promossa proprio da chi lavora quotidianamente al fianco degli imprenditori taglieggiati e ha chiesto con forza che fossero indicati nuovi vincoli nell’accesso ai contributi messi a disposizione dalla Regione. 

La norma pubblicata in Gazzetta ufficiale lo scorso 13 luglio prevede non soltanto che le associazioni siano iscritte agli albi delle Prefetture, ma anche che non ricevano altri contributi da Enti locali, che abbiano un numero minimo di 10 soci, di cui almeno il 50 per cento imprenditori o commercianti che abbiano subito comprovate vicende di estorsione e/o che si siano avvicinati all’associazione antiestorsione per averne assistenza e sostegno, che dimostrino di essersi costituiti parte civile in almeno un procedimento riguardante un proprio assistito nell’ultimo anno. 

E ancora, le associazioni per accedere al fondo, che quest’anno ammonta a circa 450mila euro, dovranno dimostrare di aver presentato nell’ultimo anno almeno un’istanza di accesso al fondo per vittime di estorsione; di aver assistito imprenditori o commercianti e accompagnandoli alla denuncia, nell’anno precedente, in almeno tre fatti estorsivi conclusi con rinvio a giudizio. Non ultimo, le associazioni devono aver fatto attività di sensibilizzazione con le associazioni di categoria di commercianti e imprenditori; o aver promosso campagne educative nelle scuole.

«È una cosa molto bella – ammette Nicola Grassi, presidente dell’associazione Antiestorsione di Catania – che la proposta normativa, poi approvata dall’Ars, sia venuta proprio dal nostro mondo, sotto attacco per via delle inchieste giudiziarie. Penso che in questo modo si dia una risposta molto netta, che marca le differenze tra chi ci crede davvero e chi invece ha usato i percorsi antimafia per scopi personali».

Le associazioni, naturalmente, si augurano che questo sia soltanto l’inizio e che le maglie stringenti istituite in Sicilia possano fare da volano per una proposta normativa a livello nazionale, capace di frenare in tutta la Penisola il proliferare di associazioni sedicenti antiracket. «Anni fa – racconta ancora Grassi – ci siamo accorti che rispetto al fiorire di associazioni antiracket, dovute ai fondi messi a disposizione dal Pon sicurezza per aprire sportelli antiracket, le denunce non aumentavano affatto. Sembravano più contentini che venivano dati spesso a pioggia. È per questo che abbiamo cominciato a fare una battaglia, affinché il movimento antiracket tornasse a ciò che era in origine, cioè un’autodeterminazione di commercianti e imprenditori coraggio che come Libero Grassi sostenevano i colleghi in un percorso di emancipazione personale dalla morsa del pizzo e dell’usura, che è un percorso lungo e pesante. Anche le indagini giudiziarie hanno portato alla luce la verità di associazioni, iscritte agli albi delle Prefetture, che accedevano ai fondi per cosa? Per pagare la segretaria o l’affitto della sede prestigiosa? Ancora adesso sinceramente mi chiedo se abbiano mai restituito i fondi ottenuti, una volta che sono state cancellate dagli Albi prefettizi».

Secondo Grassi c’è «un tema di credibilità, per ridare dignità a un intero movimento antimafia infangato da chi ha finto di interessarsi alla lotta alla mafia soltanto perché lì ha intravisto un nuovo centro di potere. In realtà l’antimafia non è solo quello. E non parlo soltanto della nostra associazione perché ce ne sono tante altre che danno un aiuto sincero. Qui quando squilla il telefono e chiedono un appuntamento, sappiamo già che sarà sempre un incontro molto intenso, molto pesante, soprattutto la prima volta. Oggi portiamo a casa un risultato importante, ma non ci fermiamo a quello. Non ci fermeremo fino a quando anche a livello nazionale non verranno riconosciuti criteri più stringenti per poter definire cosa è antimafia». E cosa, invece, non lo è.