Beni mobili e immobili per 8 milioni e 260 mila euro, equivalenti all’imposta evasa, sono stati sequestrati, in via preventiva, dai finanzieri del nucleo di polizia economico finanziaria di Enna agli amministratori di tre società operanti nel settore delle costruzioni edili, che sono indagati per evasione e frode fiscale.
Il sequestro emesso dal gip di Enna, su richiesta della Procura, ha sottratto alla disponibilità degli imprenditori 10 immobili, fra fabbricati, terreni ed aree edificabili, veicoli nonché disponibilità finanziarie. Dalle indagini delle fiamme gialle è emerso un sistema di frode fiscale attuato, principalmente, attraverso frequenti operazioni economiche rivelatesi inesistenti, in quanto risultate solo cartolari e prive di reale effettività economica.
All’ordine del giorno dei lavori dell’Assemblea Regionale Siciliana di oggi c’era, fra i vari punti, l’esame del disegno di legge sulla “istituzione della Giornata regionale del ricordo e della legalità e del Forum permanente contro la mafia e la criminalità organizzata”. Il testo approvato ad unanimità dalla commissione Affari istituzionali indicava come “Giornata della memoria” il 30 aprile, giorno che coincide con l’anniversario dell’omicidio dell’allora segretario del Pci Pio La Torre e del suo collaboratore Rosario Di Salvo. Nel corso del dibattito d’aula, però, si è aperto uno “scontro” sul giorno scelto per celebrare questa ricorrenza. Il capogruppo di Diventeràbellissima Alessandro Aricò ha criticato l’opportunità di indicare il 30 aprile “perché – ha detto – coincide con il giorno dell’omicidio di un prestigioso esponente della vita politica siciliana, quando invece la Giornata della memoria deve essere le giornata di tutti”. Aricò ha quindi proposto il 19 luglio, anniversario della strage di via d’Amelio nella quale furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta. Il capogruppo del Pd Giuseppe Lupo ha difeso la scelta del 30 aprile, ricordando fra l’altro che “Pio La Torre è stato anche parlamentare regionale”. Giusy Savarino, esponente di Diventeràbellissima, ha “rilanciato” proponendo il 6 gennaio, anniversario dell’uccisione del presidente della Regione Piersanti Mattarella, mentre il suo collega di partito Giorgio Assenza ha proposto “il primo sabato di maggio”. Claudio Fava, presidente della commissione Antimafia, ha chiesto di indicare il primo maggio, anniversario della strage di Portella della Ginestra. Al termine di questi interventi il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè ha rimesso la scelta all’aula, che ha approvato l’articolo 1 del ddl così come era stato votato dalla commissione, che indica la data del 30 aprile quale “Giornata della memoria”. Il voto finale al disegno di legge potrebbe arrivare nel corso della seduta di oggi.
Il presidente della Regione è intervenuto nel merito dell’emergenza rifiuti in Sicilia, dei lavori in corso e delle prospettive future. Nello Musumeci ha affermato: “L’emergenza rifiuti si affronta recuperando 22 anni di arretrato. La prima emergenza è scoppiata nel 1998. Fare in 22 mesi quello che non è stato fatto in 22 anni è la nostra sfida. Quando noi diciamo che entro due anni l’emergenza rifiuti in Sicilia sarà soltanto un ricordo, non siamo né ottimisti, né pessimisti. Siamo soltanto realisti, come deve essere la buona politica. La Sicilia ha bisogno di impianti, possibilmente pubblici, di trattamento dei rifiuti, ed ha bisogno di 390 sindaci che si convincano che fare la raccolta differenziata è una missione di civiltà, non è un capriccio, oltre ad essere un obbligo di legge previsto ormai da diversi anni. In questi sei mesi, lo dico con grande orgoglio abbiamo guadagnato quasi 10 punti nella raccolta differenziata. A novembre, quando siamo arrivati, noi eravamo intorno al 15 per cento in Sicilia. Ora, ragionevolmente, abbiamo superato il 25. Permettete che entro dicembre arriviamo al 30? E non vi pare una grande conquista? Significa allineare la Sicilia alle altre regioni d’Italia. Nel frattempo stiamo prevedendo gli impianti. Saranno realizzati in un anno – un anno e mezzo”.
La proposta arriva dal deputato Claudio Fava. Nell’Isola è ancora difficile riuscire ad applicare la norma sull’interruzione volontaria della gravidanza. «Non è solo procedura chirurgica, serve una rete di sostegno», commenta il ginecologo Alberto Vaiarelli
Una legge che da oltre 40 anni risulta difficile da applicare. È la 194 del 1978 che norma «la tutela sociale della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza», uno strumento fondamentale per la salute delle donne troppe volte rimasto solo sulla carta. A rimettere sul tavolo la questione adesso è il deputato regionale leader dei Cento Passi Claudio Fava con un disegno di legge che prevede una serie di misure volte alla piena applicazione della 194: da progetti di informazione ed educazione alla sessualità nelle scuole a un incremento dei consultori familiari, dalla disponibilità di metodi contraccettivi gratuiti per i cittadini al rafforzamento di una rete di sostegno, oltre alla effettiva realizzazione del diritto di interrompere una gravidanza in piena sicurezza. Per questo, una delle azioni pratiche da mettere in campo nella proposta di Fava sarebbe quella di predisporre «concorsi pubblici specificatamente volti all’applicazione della legge 194/78 nelle aziende ospedaliere».
Si tratta di bandi mirati all’assunzione di personale medico che non sia obiettore di coscienza e, dunque, in grado di garantire le prestazioni sanitarie connesse alle pratiche abortive. Qualcuno, in passato, di fronte a questa ipotesi ha storto il naso tirando in ballo l’articolo 3 della Costituzione. Ma sono stati diversi tribunali amministrativi a sentenziare che non c’è nessun contrasto con il principio di eguaglianza nell’assumere medici non obiettori. Del resto, invece, sono numerose e gravi le violazioni dei diritti della donna dovuti all’alta percentuale di medici che per scelta non praticano l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg). Negli ultimi dati ufficiali del ministero della Salute, in Sicilia l’86,1 per cento dei ginecologi dichiara di essere obiettore di coscienza. Un numero destinato a crescere se a questi si aggiungono anestesisti, infermieri e personale sanitario. Tradotto questo significa l’impossibilità di praticare l’Ivg in moltissime strutture e un numero altissimo di aborti clandestini, stimato dall’Istituto superiore di sanità fra i 12mila e i 15mila all’anno in Italia.
A fare le file nei pochi luoghi che rispettano il diritto di interrompere la gravidanza ci sono donne giovani, adulte, arrivano da sole o in coppia e non tutte sono spinte solo da difficoltà economiche. «Il concetto fondamentale – spiega a MeridioNews Alberto Vaiarelli, medico chirurgo specialista in Ginecologia e Ostetricia – è che la possibilità di interrompere una gravidanza dovrebbe essere un servizio al quale tutte donne che ne fanno richiesta devono poter accedere secondo scienza, coscienza e normativa vigente». È anche sulla base di questo che l’articolo 2 del ddl prevede, fra i compiti delle Aziende sanitarie provinciali e delle altre strutture anche del privato accreditate in Sicilia, di «assicurare l’effettuazione degli interventi di Ivg richiesti, anche in presenza di personale medico e sanitario che abbia sollevato obiezione di coscienza».
Nelle linee tracciate dal ddl, le strutture ospedaliere dovrebbero mettere a disposizione delle pazienti un percorso dedicato. «Non si tratta solo di una procedura chirurgica – precisa il ginecologo – Attorno alle donne deve esserci una precisa organizzazione da parte dell’azienda ospedaliera: dalla sala operatoriaall’equipe medica e infermieristica, alla degenza post-operatoria. Una rete che si prenda cura delle paziente prima, durante e dopo. Per essere un servizio utile a garantire il rispetto del diritto della donna, questa deve innanzitutto essereinformata in modo corretto per scegliere consapevolmente, dopo una consulenza completa da parte del medico e di uno psicologo che dovrebbero avvenire in un ambulatorio dedicato. Per ognuna di loro è importante che ci sia una rete che riesca a garantire il servizio in tempi rapidi».
Ed è all’articolo 4 del ddl che si precisa che se «dovesse emergere che le Asp presentino, nei propri organici, carenze di figure professionali non obiettori tali da pregiudicare la corretta e puntuale applicazione della disciplina in materia di Ivg, i direttori generali provvedono alla sostituzione di personale mediante turni di reperibilità, attivando procedure di mobilità, assegnando premi di produzione, o procedendo all’indizione di concorsi specificatamente riservati a personale sanitario non obiettore». Anche per evitare una discriminazione su base economica delle pazienti perché chi ha più mezzi ha anche la possibilità di rivolgersi a strutture private a pagamento o spostarsi in altre Regioni o Stati.
In questa stessa direzione va l’idea di mettere a disposizione gratuitamente i metodi contraccettivi (ormonali, impianti sottocutanei, dispositivi intrauterini, contraccezione di emergenza, preservativi femminili e maschili) in tutti i presidi ospedalieri e nei consultori per persone di età inferiore ai 26 anni e donne con età compresa tra i 26 e i 45 anni in condizioni di precarietà economica, nei 24 mesi dopo l’intervento di Ivg o nel primo anno dopo il parto. «Per il raggiungimento di tali scopi – si legge nell’articolo 3 – la Regione Siciliana predispone e assicura ogni specifica misura organizzativa adoperandosi per rimuovere eventuali ostacoli alla sua applicazione e per prevenire e sanzionare eventuali violazioni che possano configurare una interruzione di pubblico servizio o inosservanza del diritto a una maternità consapevole».
L’assessore alla Salute interviene nel dibattito in merito alla circolare del ministero guidato da Giulia Grillo, che prevede in attesa dell’approvazione del decreto Milleproroghe la possibilità per i genitori di assicurare l’avvenuta vaccinazione dei figli
«Sono certo che prevarrà il buon senso e si eviterà di compiere passi indietro che potrebbero risultare pericolosi». A dichiararlo è l’assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, in merito alle ultime polemiche riguardanti l’indirizzo del governo nazionale in materia di vaccini, e in particolare la circolare del ministero – guidato dalla pentastellata siciliana Giulia Grillo – riguardante l’autocertificazione sufficiente a garantire l’iscrizione a scuola, in attesa del decreto Milleproroghe che prevede il rinvio di un anno all’obbligo di dimostrare le avvenute vaccinazioni.
«Sul tema delle vaccinazioni c’è sempre un confronto aperto con il ministero della Salute, particolarmente proficuo e serrato anche durante la crisi per i casi di morbillo che si sono manifestati in Sicilia alla fine della scorsa primavera – continua Razza -. Proprio alla luce di quella esperienza, credo non si possa non tenere conto dei risultati ottenuti grazie all’incremento della campagna di vaccinazione per aumentare le percentuali ed abbassare la soglia di rischio».
Ed è proprio dalle Regioni che in queste ore è arrivata una risposta al governo nazionale. «È un passo indietro. Lavoriamo perché non passi in Parlamento, altrimenti siamo pronti a ricorrere alla Consulta, perché la Sanità non è una materia esclusiva di competenza dello Stato», ha dichiarato il coordinatore della commissione Salute della conferenza delle Regioni Antonio Saitta. A riguardo non è ancora chiaro se il governo Musumeci si accoderà a quelle Regioni, come nel caso dell’Umbria, che hanno annunciato la volontà di approvare una legge regionaleper vincolare le famiglie all’obbligo della vaccinazione, stante il fatto che la materia sanitaria non è di esclusiva competenza nazionale.
Mappatura genetica dei cani non sterilizzati e creazione di una Banca dati regionale del Dna canino per il controllo del randagismo in Sicilia. Ecco l’elemento attorno a cui ruota il disegno di legge per la prevenzione del randagismo presentato stamattina in sala stampa dal presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Gianfranco Miccichè, dal consulente dell’Ars ed esperto in materia Giovanni Giacobbe Giacobbe e dal professore Giovanni Scala, giurista e costituzionalista che ha contribuito alla stesura del ddl. Un disegno di legge che, pur mantenendone i principi, rielabora la legge regionale 15 del 3 luglio 2000 sull’Istituzione dell’anagrafe canina e norme per la tutela degli animali da affezione e la prevenzione del randagismo con l’obiettivo di risolvere il problema alla radice attraverso una rivoluzione culturale. “Il disegno di legge è una novità assoluta nel settore e potrebbe diventare un esempio a livello europeo” ha detto Miccichè.
La sua nomina a responsabile del Dipartimento tematico dei diritti civili del Partito democratico ha suscitato polemiche e provocato tre dimissioni all’interno del partito. Lui è Sergio Lo Giudice, il 57enne messinese di nascita e bolognese di adozione, uno dei volti storici del mondo Lgbt italiano. Laureato in Filosofia nell’università di Messina, dove torna tutte le estati per le vacanze, si trasferisce in Emilia nel 1986 e insegna in un liceo. Diviso fra l’associazionismo e la politica, Lo Giudice è stato presidente nazionale dell’Arcigay, per dieci anni anche consigliere comunale a Bologna e senatore del Pd dal 2013 al 2018.
Tema dello scontro interno al partito è la maternità surrogata, argomento caro a Lo Giudice ma contro cui da tempo si battono le donne fondatrici del Pd FrancescaMarinano, Francesca Izzo e Licia Conte che hanno scritto al segretario MaurizioMartina per comunicare il proprio passo indietro di fronte alla scelta del partito di «una figura che ha fatto della battaglia per la legalizzazione dell’utero in affitto la propria bandiera identitaria», per usare le loro stesse parole.
«Considero questa polemica strumentale e infondata – commenta Lo Giudice a MeridioNews – Queste tre signore dicono che la mia nomina sia un’apertura del partito alla tematica dell’utero in affitto. Innanzitutto trovo sia del tutto inopportuno e oltraggioso usare la definizione utero in affitto, riduttiva per riferirsi a donne che mettono in campo questa loro scelta con libertà e consapevolezza». Non fa mistero il senatore di essere impegnato da anni nel riconoscimento dei diritti dei bambini figli di due uomini o di due donne, a partire dalle questioni legate alla stepchild adoption. Letteralmente “adozione del figlio affine”, un istituto giuridico che consente al figlio di essere adottato dal partner (unito civilmente o sposato) del genitore.
«Sul tema della gestazione per altri bisogna innanzitutto fare delle distinzioni – precisa Lo Giudice – tra lo sfruttamento del corpo delle donne che può esistere, specie in luoghi dove la donna non è ancora sufficientemente tutelata o vi ricorre per condizioni di estrema povertà come nei Paesi del terzo mondo, e le situazioni normate e legittime in posti che vantano una lunga tradizione sui diritti delle donne come, per esempio il Canada o il Belgio. Il punto – continua – è che tutti i bambini che vengono al mondo anche attraverso qualsiasi tecnica di fecondazione assistita hanno e, quindi, devono avere dei diritti garantiti».
Su questo tema i tribunali sono andati avanti e molti Comuni, anche siciliani, registrano già la nascita di bambini come figli di due uomini o di due donne. È il caso, ad esempio, di due gemellini catanesi. Parla con cognizione di causa Lo Giudice che, insieme a Michele Giarratano – l’uomo al quale è unito civilmente – ha due figli, una maschietto di quattro anni e una femminuccia di quasi due. «Sono nati entrambi in California portati in grembo dalla stessa donna che è diventata una di famiglia e con cui ci scambiamo continuamente foto dei nostri bambini – sorride – nei periodi in cui non riusciamo a incontrarci a causa della distanza».
Al di là delle polemiche, l’ex senatore ha accolto «con grande piacere la fiducia che mi è stata accordata e starò in questo ruolo pensando a tutti i diritti civili che non sono solo questioni di gay o di lesbiche, come può pensare qualcuno: dai disabilialle carceri, dagli immigrati di seconda generazione alle libertà individuali di tutte le persone», afferma. Insomma, Lo Giudice non ci sta alla dinamica di legare al suo nome e alla sua nomina una sola questione. In vista del prossimo congresso del Partito democratico è consapevole del fatto che il tema non è in discussione. «È uno dei tanti su cui bisognerebbe aprire un dialogo, ma non ci sono proposte di legge in merito e non sarà nemmeno all’ordine del giorno. Più che altro, temo sia una bandiera agitata solo da detrattori scandalizzati di vedere riconosciuti i diritti dei bambini nati all’estero grazie a una possibilità legale e legittima che si mette in pratica da decenni».
E il Pd? «È reduce dalla più grande sconfitta da quando esiste la sinistra italiana – ammette – Per questo è necessario ripensare un progetto politico che avvii dall’interno un percorso di apertura di porte e finestre, mirando a un ampio coinvolgimento di cittadini, associazioni, e altre forze politiche. Da qui al prossimo febbraio – conclude – sono convinto che il partito riuscirà a mettersi in discussione e a rimettere al centro le questioni che riguardano la lotta per l’uguaglianza in un Paese in cui cresce sempre di più la forbice delle disuguaglianze. Il nostro punto di forza deve essere rappresentare e non trascurare le fasce più deboli, mettendo in campo non solo domande che agitano ma anche risposte che costruiscono».
Sono stati ritrovasti in piena notte in una zona boschiva molto impervia, stanchi, spaventati e infreddoliti, ma tutti in buone condizioni di salute, 15 scout siciliani, con età comprese tra i 17 e i 20 anni, che si erano persi da molte ore durante un’escursione nella zona tra Fontanelle e Pettino, in provincia di Perugia.
I ragazzi sono stati soccorsi dai carabinieri forestali di Campello sul Clitunno che, partiti con il fuoristrada, poco dopo sono stati costretti a proseguire a piedi, visto che l’area in questione non consentiva l’utilizzo del veicolo. Alle ricerche hanno poi preso parte anche una pattuglia di carabinieri forestali di Sant’Anatolia di Narco e i vigili del fuoco di Spoleto. I militari erano in costante contatto telefonico con gli scout, ma nonostante questo le ricerche sono state particolarmente difficili, a causa del buio e del terreno ripido e scosceso.
I ragazzi erano partiti la mattina alle 6 e sono stati ritrovati circa mezz’ora dopo la mezzanotte.
Dopo oltre sette ore di ricerche, nove turisti sono stati salvati in mare da una motovedetta della Guardia di finanza che, insieme a un mezzo della Capitaneria di porto di Lampedusa, ha perlustrato l’area delle Pelagie. Il gruppo, a bordo di un gommone a noleggio che ha avuto un’avaria, stava rientrando a Linosa da dove era salpato alle 16 di ieri. A bordo c’erano un giovane di Lampedusa che pilotava l’imbarcazione, l’imprenditore lombardo Marco Cattaneo, cinque persone della sua famiglia e una coppia di amici. Le ricerche sono cominciate ieri alle 19 e si sono concluse alle 4 di stamane, quando la motovedetta della Gdf è rientrata a Lampedusa con a bordo i naufraghi, attesi da un centinaio di persone.
“Ci eravamo fermati per un’avaria ai motori – ha spiegato Marco Cattaneo che ha ringraziato i soccorritori – e non avevamo il segnale dei telefonini. Nonostante il buio e le correnti, sono riusciti a trovarci”. Alle ricerche hanno preso parte anche decine di barche di isolani.