75esima edizione del Festival di Sanremo: Perché ha vinto Olly? È stato un Festival senza “opposizioni”

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Potremmo dire che Olly ha vinto perché fa parte di quel circuito di potere che comanda in ogni singolo settore della musica? Quelle major, quelle degli streaming, la musica a portata di click, l’abitudine ad un certo tipo di sonorità e l’incapacità ormai di immergersi in un ascolto che prevede armonia e testi che si aprono sulla post-modernità?
È forse più facile piazzare Olly che un cantautore?
Hanno votato più i ragazzini e meno coloro che la musica la conoscono in maniera più approfondita?
Credo che sia molto più complesso di così.
Intanto si fanno gli auguri ad Olly, cantautore e rap genovese, che dalla sua ha un percorso di studi di musica e canto in conservatorio, una laurea in economia e managment, che ha diverse collaborazioni alle spalle, due dischi, una precedente partecipazione nella sezione giovani a Sanremo nel 2022 e di lui abbiamo detto “però … non mi dispiace“. La vittoria di Olly si consuma tra fischi del pubblico in sala al teatro Ariston, dopo le lacrime (presumo di gioia) di Giorgia, sesta nella classifica definitiva con il brano “La cura per me“, tornata al Festival con una canzone non bellissima ma con (quasi) tutta la sua capacità vocale, e che ieri sera ha ricevuto il premio Tim come artista più votata sull’applicazione.
I premi altri vanno ai cantautori. Il premio Sergio Bardotti per il miglior testo va a Brunori sas, dato per favorito, che arriva 3 in classifica con il brano “L’albero delle noci“. Un bel excursus, quello sanremese per Dario Brunori, sostenuto da tutta la sua Calabria.
Il premio Giancarlo Bigazzi dato dai maestri dell’orchestra per la migliore composizione va a Simone Cristicchi (5 in classifica ed anche lui dato per favorito) con il brano”Quando sarai piccola“. Il premio della sala stampa va al brano “Volevo essere un duro” di Lucio Corsi, grande rivelazione, cantautore già pronto ad un futuro pieno di cose belle che da oggi in poi spiccherà il volo nel mondo della musica italiana. Per lui il palco di Sanremo è stato per davvero una vetrina per far conoscere il suo modo di fare musica. Di lui ne abbiamo parlato sui social, durante le colazioni al bar, nelle pause in ufficio.
Ho fatto il festival perché avevo la canzone giusta, ma non ho scritto una canzone per Sanremo”– dice Lucio in una delle tante interviste.
La musica mi consente di fuggire dal passato reinventandolo. I miei pezzi sarebbero andati bene nel 1930 e funzioneranno anche nel 2070“.
E nella serata duetti, la sua suggestiva interpretazione con Topo Gigio nella canzone “Volare” di Modugno, ha messo tutti d’accordo.
Il 4 posto è andato a Fedez con Battito.
A prescindere da com’è andata, in molti avrebbero voluto la vittoria di Achille Lauro tornato a Sanremo con il pezzo “Incoscienti giovani” con quel suo tocco amarcord, quel suo fascino da poeta maledetto 2.0, e quel modo un po blue di raccontarsi in musica. Lui, che ieri sera si è inchinato per ringraziare il pubblico che gli dedica una standing ovation. Sarà pure una canzone “piaciona” ma si conferma un “Re”, malgrado il posto in classifica.
Alla fine, è il festival della canzone italiana, non del cantante, e quindi dovremmo andare alla ricerca del pezzo più bello.
Ma di cosa è fatta una canzone?
Di tanti dettagli. È fatta di testi, di tema, di metrica, di prosodia, di armonia, di estensione, di variazioni, di intro, strofa, bridge, refrain, e a volte anche di parti speciali (per esempio suoni onomatopeici, scat ecc. come per esempio nel brano di Serena Brancaleanema e core“).
Difficile riscontrare tutto questo nelle canzoni di quest’anno considerato che la maggior parte di esse sono state scritte da soli 5 autori. Sempre gli stessi, con temi che sono sempre gli stessi, ma che non vanno mai a fondo.
Diciamolo, la musica è anche messaggio, è un mezzo per dire quello che i comuni mortali non sanno dire. La musica, la canzone è un viatico di riflessioni (lì dove se ne sia capace) su temi che sono difficili da analizzare tra persone che non hanno i mezzi per poterlo fare. Ed ecco che arriva in soccorso la canzone. Non dimentichiamo il ruolo fondamentale che hanno avuto in passato i cantautori come De André.
Ebbene questo genere di messaggio è mancato a Sanremo, e forse le uniche eccezioni sono state Cristicchi che ha parlato di una grave malattia come l’Alzhaimer, ponendo però l’attenzione sulla tenerezza dei rapporti e non sulle difficoltà che si incontrano quasi sempre nell’ambito sanitario.
E poi c’è stato Willie Peyote, che con il suo sound, con i suoi suoni a volte ballabili, e arrangiamenti mai banali è in grado di raccontare le ombre sui comportamenti quotidiani. E in questo festival punta l’attenzione su tutte quelle volte nelle quali abbiamo il coraggio di dire no a situazioni che non fanno per noi, di dire no alle ipocrisie e usando l’educazione diciamo “Grazie, ma no grazie”.
Se pensiamo alla dinamica musicale, al riff più accattivante allora quest’anno l’attenzione cade su lei, la cantante più contaminata degli ultimi 10 anni che sul palco ha portato tutta la sua esperienza, la sua storia, i suoi studi e le sue scelte di stili linguistici. Serena Brancale, è un talento indiscusso, capace di grandi escursioni vocali, di tecnica studiata e studiata ancora, ma anche di scelte. Alcune l’hanno resa virale, altre possono non piacere a chi l’ha apprezzata con pezzi diversi, come in passato. Come non sottolineare la performance della Brancale con Alessandra Amoroso nella quale l’anima soul e la padronanza vocale hanno reso interessante la versione di i “If I ain’t got you” di Alicia Kyes nella serata dei duetti. Quella serata però viene vinta da Giorgia ed Annalisa, con il pezzo di Adele “Skyfall“.
In gara insomma, quasi tutte canzoni d’amore, che raccontano di amori che finiscono.
Ma come finiscono fa spesso la differenza tra una canzone e un’altra ma quest’anno nulla da segnalare.
Fedez sbaraglia tutti. Non si capisce se per il testo della sua canzone che canta un vero e proprio disagio o se tutto il rumore mediatico intorno a lui nell’ultimo periodo possa aver incuriosito i più.
Se scorriamo la classifica, poi, troviamo materiale un po’ per tutti.
Quest’anno sono sembrati tutti intonati sin dalla prima serata. Sicuramente tutti “aggiustati” per una bella figura in vetrina. Poi però ci sono stati quelli che da sempre sono intonati di loro. Gabbani, Noemi, Elodie, Ranieri, la stessa Marcella Bella, Giorgia.
Per i restanti cantanti rimando agli articoli scritti nei giorni precedenti (vi lascio qui i link)
Un festival un po’ troppo austero, condotto di corsa da un Carlo Conti che praticamente è sempre lo stesso qualunque cosa faccia. Alcune cose pasticciate, le co-conduzioni senza slancio, a volte anche improvvisate, (Mahmood bravo nel suo, ma impacciato alla conduzione) al netto di una bella e solare Bianca Balti che è intervenuta come modella, ma che è stata presentata come “mamma guerriera”, poi tornata ieri sera a declamare i vincitori (come per scusarsi della gaffe) e una ironica, geniali, sagace, dissacrante e coraggiosa (in quella atmosfera austera e un po’ ostile) Geppi Cucciari, l’unica voce “opposta” in un Festival senza temi, quasi censurato in alcune parole chiave.
Non un monologo, non un accenno a quello che accade nel mondo, come se il Festival fosse celebrato in una bolla sospesa, lontano dalla realtà. Anche le canzoni, infatti, completamente prive di temi sociali, come a voler tenere tutti zitti e buoni, per non scontentare nessuno, per anestetizzare e non far “sentire” il dolore del mondo. Nessun argomento come guerra, immigrazione.
Un micromondo, quello dei rapporti personali, come dice Conti.
Per la serie “ad un metro dal mio culo, accada quel che vuole accadere”.
Ma da quando la musica non è un messaggio?
A provare a portare un messaggio è Benigni, nella 4 serata dedicata ai duetti.
Benigni a Conti: “hai bloccato l’italia, dovresti fare il ministro dei trasporti.
[…] Ho incontrato Marcella Bella, che conosco e ho detto: Bella, ciao! Non ti dico il macello

Un po’ di satira che non è piaciuta a Carlo Conti, spesso infastidito da quei guizzi che non ha potuto evitare ma solo tenere a bada. Insomma, qualche battuta, ma con il contagocce.
Un Sanremo senza dubbio sottotono, che rispecchia un po’ la ristagnazione culturale di un paese che è fermo. Certo, si dovevano evitare le polemiche della scorsa edizione per le parole di Ghali o di Dargen D’Amico che avevano denunciato l’invasione di Gaza.
La realtà è rimasta fuori dalla porta del Teatro Ariston. L’eleganza è stata solo negli abiti.
Un festival non “come ai vecchi tempi”, con la professionalità di Baudo che scopriva talenti (vedi Giorgia, la Pausini), l’internazionalità degli ospiti che venivano a cantare in Italia solo sul palco di Sanremo (pensiamo a Whitney Huston), o al ruolo femminile così tanto contestato per essere di supporto e poi puntualmente dimostravano sempre di avere tanto, fin troppo da dire.
No, non è stato un festival come ai vecchi tempi, è stato un festival stantio.
Premi alla carriera alla Zanicchi e a Venditti.
I Duran Duran con la loro capacità di farci ripiombare negli anni ’80 quando eravamo giovani, belli e spensierati e molte di noi oggi cinquantenni, volevano sposare Simon Le Bon.
Cosa resta?
Due cose. Anzi tre.
Che forse qualcosa sta cambiando nel mondo della musica, ma siamo ancora ai prodromi.
Il ritorno di Giorgia, i nuovi giovani cantautori, la voglia di lasciare un segno, sono un piccolo sprint. Ma la strada è ancora lunga e dobbiamo continuare a contrastare quella musica usa e getta, che da qualche anno sta monopolizzando il mercato mucisale italiano.
Resta che le major hanno ancora vita facile con i pezzi dei giovani rap e trap, perché il pubblico (soprattutto quello giovane) non è avvezzo alla musica nella sua giusta e sana complessità.
Resta che da oggi ognuno di noi canterà quello che è rimasto in mente.
Io da giorni canticchio, Settembre (vincitore della sezione Sanremo Giovani), Brancale, Peyote, Achille Lauro, Lucio Corsi.
E da domani si torna alla vita di sempre, quella fatta di difficoltà, di dubbi sul futuro. Anche quello della musica.

Buona domenica, Terrestri

Però in fondo Sanremo è Sanremo, e come tutti gli anni tra polemiche e scelte più o meno condivise, ci tiene tutti lì davanti alla Tv a discutere e a dire la nostra. Almeno su questo.

Al prossimo anno

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