Maggio 2023 - Pagina 18 di 42 - Sicilia 24h
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La Procura di Caltanissetta ha depositato i motivi d’appello della sentenza di primo grado nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio. I dettagli.

Il 12 luglio del 2022 il Tribunale di Caltanissetta, presieduto da Francesco D’Arrigo, ha emesso la sentenza di primo grado al processo sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio: no all’aggravante mafiosa, due prescrizioni e un’assoluzione. Nessun colpevole tra il funzionario Mario Bo, ex capo del gruppo d’indagine “Falcone e Borsellino” diretto dal defunto Arnaldo La Barbera, e gli ispettori in pensione Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, che si occuparono della tutela di tre falsi pentiti, Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Salvatore Candura. Bo, Mattei e Ribaudo avrebbero suggerito ai tre falsi collaboratori la versione da fornire agli inquirenti e i nomi da indicare quali responsabili della strage. La falsa verità, a cui tanti anni i giudici hanno creduto, ha nascosto i veri colpevoli, ed ecco perchè la Procura sostiene che la calunnia abbia favorito la mafia. Ed è costata la condanna all’ergastolo a sette innocenti, poi scarcerati dopo le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, e che si sono costituiti parte civile in giudizio. Ebbene adesso il Procuratore di Caltanissetta, Salvatore De Luca, e il pubblico ministero, Maurizio Bonaccorso, hanno impugnato la sentenza di primo grado e hanno depositato i motivi di appello. Tra le 98 pagine si legge: “E’ dimostrato in maniera incontrovertibile il coinvolgimento nella strage anche di soggetti estranei all’associazione mafiosa Cosa Nostra, quindi l’esistenza di co-interessenze con centri di potere esterni alla mafia nella deliberazione della strage e nella successiva partecipazione alle fasi esecutive di appartenenti ad apparati istituzionali. E ciò non può nemmeno essere messo in discussione dal mancato accertamento di specifiche responsabilità penali”. E poi: “Prove del coinvolgimento di soggetti estranei alla mafia sono la tempistica della strage, che non coincide con gli interessi della consorteria mafiosa, e la strana presenza di appartenenti al servizio di sicurezza attorno alla vettura blindata del magistrato negli attimi immediatamente successivi all’esplosione”. E poi: “Il depistaggio delle indagini sull’attentato, che portò all’incriminazione di innocenti e che è stato contestato ai tre imputati, è imputabile al dottor La Barbera, capo del pool che indagò subito dopo l’attentato. E ha avuto come finalità principale proprio quella di occultare le responsabilità esterne. La valutazione complessiva delle risultanze probatorie offre un quadro estremamente chiaro delle motivazioni che hanno spinto il dottor La Barbera a commettere gli abusi e i gravi illeciti nella conduzione delle indagini sulla strage: da un lato certamente anche la finalità di carriera ma soprattutto la necessità di mantenere le indagini su un livello tale da non disvelare i rapporti di co-interessenza che Cosa Nostra ha avuto nella ideazione e nella esecuzione della strage con ambienti ad essa esterni. Ciò contrasta con la ricostruzione della sentenza di primo grado che esclude che La Barbera abbia agito per favorire i boss e che porta all’esclusione dell’aggravante mafiosa anche per i poliziotti imputati e alla conseguente prescrizione dei reati a loro contestati. La fotografia del dottor La Barbera che le risultanze probatorie ci consegnano è quella di un ufficiale di polizia giudiziaria in realtà legato mani e piedi al servizio segreto civile, contrariamente a quanto sostenuto in maniera incomprensibile dal Tribunale. I poliziotti non solo erano consapevoli del piano di La Barbera: la loro è stata una totale adesione al disegno criminale perseguito”. E poi: “La lettura della sentenza manifesta le evidenti difficoltà dei giudici di primo grado nelle operazioni di analisi e valutazione dell’imponente materiale probatorio acquisito nel corso del processo. E la spia di tale difficoltà si ricava – oltre che da un estenuante ricorso al ‘copia e incolla’ delle precedenti sentenze che hanno definito i processi già celebrati sulla strage – da contraddizioni e profili di illogicità che talvolta la motivazione presenta”.

Il governo Schifani ha approvato tre nuove misure di sostegno alle piccole e medie imprese e ai liberi professionisti. A disposizione 155 milioni di euro.

La Giunta regionale ha approvato tre nuove azioni di sostegno economico alle piccole e medie imprese e ai liberi professionisti siciliani. Le misure di aiuto, predisposte dall’assessorato all’Economia e dal dipartimento Programmazione, sono frutto della ri-programmazione di risorse per complessivi 155 milioni di euro dell’agenda europea 2014 – 2020 e del Fondo per lo sviluppo e la coesione. Il primo intervento, da 70 milioni, aumenta la dotazione finanziaria del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese al fine di sostenere gli investimenti o i progetti di sviluppo aziendale fornendo liquidità per le garanzie nelle operazioni finanziarie delle aziende. La seconda misura deliberata assegna 65 milioni di euro all’Irfis, per lo scorrimento delle graduatorie dei beneficiari di aiuti per l’emergenza covid. Fino a oggi la Regione, attraverso il proprio istituto finanziario, ovvero l’Irfis, ha assegnato prestiti fino a 100 mila euro per contenere le sofferenze delle imprese siciliane. Il nuovo stanziamento consentirà di estendere la platea degli operatori che accederanno ai finanziamenti. Infine la terza misura è un sostegno da 20 milioni di euro destinato dal governo regionale ai Confidi, i Consorzi di garanzia collettiva fidi, come da intesa tra le rappresentanze di categoria e l’assessorato all’Economia per facilitare il piccolo e medio credito destinato a fronteggiare le esigenze finanziarie di operatori, liberi professionisti e partite Iva indebolite dall’attuale congiuntura economica.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

La Guardia Costiera di Termini Imerese, in provincia di Palermo, in prossimità del porto industriale ha sorpreso un furgone carico di 10 esemplari di tonno rosso, per un peso complessivo di 1.500 chili, e una lampuga di 6 chili, il tutto sprovvisto dei documenti finalizzati ad attestarne la tracciabilità. All’autista del mezzo è stata pertanto inflitta una multa di 2.667 euro. Il prodotto ittico sequestrato, sottoposto ad ispezione da parte dei medici veterinari dell’Azienda sanitaria di Termini Imerese per le verifiche igienico-sanitarie di competenza, è stato dichiarato idoneo al consumo umano e pertanto devoluto in beneficenza al banco alimentare della Sicilia Occidentale di Carini.

Sono trascorsi quarant’anni dal congresso regionale della Democrazia Cristiana che si svolse nel mitico Jolly Hotel di Agrigento nel lontano 1983, quando nel partito, una nuova leva di quarantenni in modo coraggioso fece la scelta antimafia espellendo Ciancimino, un nome ormai che è sinonimo di mafia e legato al pericoloso clan dei corleonesi.

Quella lezione di etica politica, sempre valida, ieri come oggi, sarà ricordata in un convegno organizzato dal Centro Studi Evangelium vitae, diretto dal prof. Enzo Di Natali, Giovedì 25 Maggio alle ore 17,oo nella prestigiosa Biblioteca Lucchesiana di via Duomo di Agrigento, cui prenderanno parte coloro che furono i protagonisti di quella scelta coraggiosa: Gino Alaimo, Nuccio Cusumano, Rino La Placa, Pasquale Hamel, Lillo Mannino, Lillo Pumilia, Enrico La Loggia, Angelo La Russa e Vito Riggio.  Altra figura degna di essere menzionata in questa scelta è il nostro Presidente Sergio Mattarella.

Durante l’incontro sarà presentato il libro di Lillo Pumilia e Vito Riggio Speranze e declino in cui, soprattutto Pumilia, ricostruire gli anni ’80 partendo dal Congresso regionale di Agrigento.

A dare il saluto, il Sindaco dott. Franco Miccichè e il direttore della Biblioteca Lucchesiana don Angelo Chillura. Il ricordo storico, con gli interventi dei protagonisti, sarà introdotto dal prof. Enzo Di Natali. Numerose sono le testimonianze di felicitazioni ricevute in questi giorni da amici che hanno accolto con favore questa iniziativa e che saranno presenti a questo convegno studi, nonostante siano trascorsi molti anni.

Beni per un valore di circa 10 milioni di euro riconducibili ad un noto imprenditore agrigentino, Giuseppe Burgio nel frattempo deceduto, sono stati confiscati definitivamente. Ad eseguire il provvedimento è stata la Guardia di finanza del Comando provinciale di Agrigento. La confisca ha riguardato, in particolare, le quote di tre società, due centri commerciali di ampia estensione e tre appartamenti di pregio ubicati nelle provincie di Agrigento, Caltanissetta e Palermo, per un valore stimato in oltre dieci milioni di euro. L’imprenditore era finito sotto processo per plurime condotte di bancarotta fraudolenta aggravata, con danno nei confronti dei creditori per svariati milioni di euro. Nel 2016, era stato arrestato dalle Fiamme gialle nell’ambito dell’operazione denominata “Discount” coordinata dalla Procura della Repubblica di Agrigento. All’esito del procedimento, la Corte di Appello di Palermo ha disposto la confisca (divenuta definitiva) dei beni di proprietà delle società, riconducibili all’imprenditore.

“Le società ancora dotate di cospicua patrimonialità – scrive la Guardia di finanza in una nota stampa -, costituita mediante provviste finanziarie apportate illecitamente dalle altre società poi decotte e dunque derivanti da condotte distrattive. Per la realizzazione delle condotte delittuose l’imprenditore, servendosi, uti dominus, di schermi giuridici societari asserviti alle sue logiche criminose, si avvaleva di un meccanismo finanziario che prevedeva l’artificiosa erogazione di anticipazioni infruttifere, da parte dello stesso quale socio, nei confronti delle società avviate al fallimento, di cui diveniva così creditore, nonché dei successivi rimborsi delle anticipazioni, in tal modo generando flussi finanziari apparentemente legittimi, provenienti delle società destinate alla decozione, reimpiegati per operare consistenti investimenti immobiliari o per provvedere alle spese correnti di gestione”.

Si ripete la storia del furto delle autovetture nonostante siano parcheggiate all’interno del sito che ospita l’ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento.

Lo scenario è sempre lo stesso e i ladri non hanno esitato un solo istante a compiere il furto di una Fiat 500 decappottabile di proprietà di una dottoressa del reparto di Cardiologia.

Già alcuni anni fa si era riproposto il problema dei furti di autovetture all’ospedale agrigentino ma nessuno, in merito, ha adottato provvedimenti, come ad esempio una sorveglianza, per far desistere i malavitosi a compiere il furto. Un furto, quello di ieri, avvenuto alla luce del sole.

 

Il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Agrigento Iacopo Mazzullo ha prosciolto il sindaco di Palma di Montechiaro Stefano Castellino e il Dirigente del settore Urbanistica Filippo Incorvaia con la formula di non luogo a procedere.

I due erano accusati di onissione di atti di ufficio in merito ad una mancata demolizione di uno stabile sito in Punta Bianca che era stato acquisito dal Comune in quanto ritenuto pericolante.

Una segnelazione anonima aveva avvertito i carabinieri i quali subito dopo hanno effettuato una indagine cosegnata allaPm Sara Varazzi che aveva chiesto il processo sia per Castellino che per Incorvaia perchè l’immobile rischiava di crollare da un momento all’altro e, quindi, creare seri pericoli per la pubblica incolumità.

Il giudice, tuttavia, ha ritenuto che non vi fosse la “ragionevole previsione di condanna” richiesta dalla riforma Cartabia (in precedenza era sufficiente la necessità di approfondire i fatti in dibattimento) tanto da disporre il proscioglimento.

Si è barricato in casa minacciando di suicidarsi con una motosega. Sono intervenuti i carabinieri del nucleo Radiomobile, che sono riusciti a convincere l’uomo a desistere dopo una lunga trattativa. E’ successo in un’abitazione di Licata dove, inizialmente, era stata segnalata una lite. I militari dell’Arma sono accorsi sul posto e non sono però riusciti ad entrare nell’appartamento dove l’uomo si era, nel frattempo, barricato con all’interno la propria fidanzata. La donna è riuscita a chiudersi a chiave all’interno di una stanza e a scongiurare per lei probabili tragiche conseguenze. Appena l’uomo si è accorto della presenza della pattuglia si è affacciato dal terrazzino mostrando una motosega e minacciando di togliersi la vita. Ecco dunque che, a questo punto, sono sopraggiunte altre pattuglie dei carabinieri della Compagnia di Licata. I militari hanno iniziato un’opera di convincimento per far desistere il licatese dall’intento, che è andata per fortuna a buon fine visto che l’uomo è uscito di casa e successivamente con un’ambulanza è stato accompagnato al pronto soccorso dell’ospedale “San Giacomo d’Altopasso”. La donna è stata, nel frattempo, portata in caserma per ricostruire cosa è effettivamente accaduto.

Il Tribunale di Agrigento ha assolto tre fratelli di Siculiana dal reato di rissa. I fatti risalgono all’agosto del 2016 e secondo l’accusa, tre fratelli di Siculiana, S. P., S.C.S. e S.G. sarebbero arrivati alle mani con uno zio dello stesso paese G.L.. dando luogo così ad una rissa dalla quale scaturivano lesioni personali in danno di S.P. e di G.L. nonchè della moglie di quest’ultimo M.G.. i tre fratelli, difesi dall’avv. Giuseppe Aiello, riuscivano a dare una ricostruzione dei fatti totalmente diversa da quella narrata dallo stesso G.L. nella propria denuncia. Infatti dalla istruttoria è emerso che il sig. G.L. avrebbe atteso, con un bastone, lo S.P. e lo avrebbe bastonato proprio sotto casa. I fratelli di quest’ultimo saputa la notizia si sarebbero recati presso lo zio G.L. per comprendere i motivi di tale aggressione. La discussione si sarebbe svolta all’interno del magazzino di G.L. al termine della quale ha presentato denuncia alla procura per aggressione nei confronti dei tre fratelli. L’avv. Aiello ha dimostrato, durante la fase istruttoria che S. P. non aveva partecipato ad alcuna aggressione ma che anzi era stato vittima della aggressione del G.L. mentre nessuna prova era emersa che gli altri due fratelli avevano aggredito, all’interno del magazzino, il G.L.. Nel frattempo nelle more del processo il G. L. era deceduto e la difesa dei tre fratelli ha chiesto l’assoluzione di tutti e tre i fratelli. Il Tribunale di Agrigento nella persona della dott.ssa Bazzano con propria sentenza dichiarava il non doversi procedere nei confronti di G. L. per morte dell’imputato mentre assolveva i tre fratelli dalle accuse formulate dalla Procura.

Il movimento “Liberi e Solidali” composto dai consiglieri comunali: Zicari, Bongiovì e Hamel (assente già da parecchie settimane) dirama una nota stampa che crea allarmismi inopportuni su un tema molto delicato. La Commissione consiliare “Servizi Sociali” da circa 18 mesi lavora ad una proposta di regolamento che tende a migliorare il servizio a garanzia di: continuità, scelta, trasparenza e tutela lavorativa.
In tutti questi mesi le due consigliere avrebbero potuto interagire con la Commissione promotrice in modo da emendare in maniera propositiva e migliorativa tale proposta invece di attendere la fase finale per una pura propaganda elettore alle spalle di un tema particolarmente sensibile come: l’assistenza alla disabilità dei bambini.
Pertanto a nome mio e dei colleghi consiglieri: Alfano e Settembrino invito entrambe le consigliere ad informarsi prima di fare fuoriuscite che tendono ad offendere il lavoro dei colleghi atto alla tutela di un diritto fondamentale, e che non privilegi in maniera esclusiva la gestione delle cooperative.
Si concorda con l’invito rivolto alla discussione in assise per meglio chiarire la proposta. Certo di una giusta disanima da parte dei colleghi che sapranno opportunamente valutare il lavoro mio e dei colleghi.