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I Carabinieri hanno arrestato a Campobello di Mazara Emanuele Bonafede e la moglie Lorena Lanceri: avrebbero protetto la latitanza di Matteo Messina Denaro.

A due mesi esatti dall’arresto di Matteo Messina Denaro, oggi, 16 marzo, a Campobello di Mazara, sono stati arrestati dai Carabinieri del Comando provinciale di Trapani altri due presunti fiancheggiatori del boss. Sono stati ristretti in carcere Emanuele Bonafede, 50 anni, e sua moglie Lorena Ninfa Lanceri, 48 anni, indagati in concorso per favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena, reati aggravati dall’avere agevolato Cosa nostra. Emanuele Bonafede è cugino del geometra Andrea Bonafede, 59 anni, colui che ha prestato l’identità a Messina Denaro. Tra le contestazioni penali si legge: “La coppia avrebbe ospitato in via continuativa e per numerosi giorni, nella loro casa di Campobello di Mazara, il padrino all’epoca latitante. Abitualmente, dunque, il boss sarebbe andato a pranzo e a cena nell’appartamento dei due, entrando e uscendo indisturbato grazie ai controlli che i Bonafede svolgevano per scongiurare la presenza in zona delle forze dell’ordine. I coniugi avrebbero quindi fornito al boss prolungata assistenza finalizzata al soddisfacimento delle sue esigenze personali e al mantenimento dello stato di latitanza. Lorena Lanceri, inoltre, era inserita nel circuito di comunicazioni che ha consentito all’ex latitante di mantenere contatti con alcune persone a lui particolarmente care”. Oltre a essere nipote del boss di Campobello, Leonardo Bonafede, Emanuele Bonafede è fratello di Andrea Bonafede, 53 anni, l’impiegato comunale, cugino del Bonafede di 59 anni, arrestato il 7 febbraio allorchè avrebbe recapitato a Messina Denaro le prescrizioni sanitarie compilate dal medico Alfonso Tumbarello, anche lui arrestato.

Angelo Ruoppolo (Teleacras)

E’ passato un anno e mezzo da quando fra il 6 e 7 gennaio la marna della Scala dei Turchi è stata ombrattata con della vernice rossa.

La procura si è pronunciata: manda a processo i due presunti responsabili,  di Domenico Quaranta, 49 anni, condannato in passato per gli attentati terroristici dimostrativi alla Valle dei Templi e alla metropolitana di Milano e Francesco Geraci, 46 anni, entrambi di Favara.

Il pubblico ministero della procura di Agrigento, Gloria Andreoli, ha disposto la citazione diretta: l’ipotesi accusatoria nei loro confronti è di deturpamento di cose altrui e deturpamento di bellezze naturali. Il processo si celebrerà a partire dal 3 luglio davanti al giudice monocratico Rossella Ferraro.

I carabinieri, coordinati dal maggiore Marco La Rovere, acquisirono le immagini del sistema di video-sorveglianza della zona e avviato accertamenti sulla vendita del prodotto usato per l’imbrattamento chiudendo il caso in pochi giorni. Si tratta di ossido di zinco, normalmente usato per verniciature in esterna: la pioggia avrebbe sciolto la polvere trasformandola in una lunga scia di colore rosso, per fortuna non indelebile.

Mentre i social insorgevano scagliandosi contro i responsabili del gesto, già pochi giorni dopo la scogliera di marna era stata ripulita da alcuni volontari. Ad agire materialmente sarebbe stato Quaranta mentre Geraci avrebbe fatto da autista del furgone Ford Transit e da “palo”.

Quaranta, fin dall’inizio, era il sospettato principale del danneggiamento. Quaranta nel 2006, era stato condannato a 16 anni di carcere per avere sistemato una bombola di gas alla metropolitana di Milano, nel 2002, e per avere fatto brillare un ordigno rudimentale nel cuore della Valle dei Templi . Nel 2011 era già stato destinatario della misura di sorveglianza speciale, applicata fino al 2018. Di recente aveva anche imbrattato la marna di Punta Bianca ed era stato segnalato all’autorità giudiziaria per vilipendio per avere postato delle frasi ingiuriose e delle offese nei confronti delle forze dell’ordine.

Dopo l’ultima denuncia era finito in carcere per effetto della della “misura di sicurezza della casa lavoro”. I difensori – gli avvocati Salvatore Cusumano e Antonella Carlino – potranno chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento.

La Confasi Sicilia Comparto Scuola continua a consegnato anche quest’anno i rilevatori di CO2 agli istituti che ne hanno fatto richiesta nell’ambito del progetto nazionale “Adotta una Scuola” promosso dalla Onlus “Orizzonti Futuri”. A Ficarazzi, in particolare, il sindacato ne ha consegnato 10 nel corso di un incontro, cui erano presenti, tra gli altri, il dirigente scolastico Mario Veca, il Presidente regionale di Confasi Davide Lercara e il responsabile locale del sindacato Pierpaolo Russo.

A tal proposito viva soddisfazione è stata espressa da Davide Lercara, il quale ha sottolineato come “ prosegue nel concreto anche nel 2023 l’azione di Confasi in favore della collettività scolastica ”. Nel corso dell’incontro è stato affermato come sia importante il ruolo svolto di questi rilevatori al fine di monitorare la concentrazione di anidride carbonica nell’aria. Il progetto “Adotta una Scuola” , come si ricorda, si è alimentato grazie alle donazioni del 5xmille. L’iniziativa sostenuta in Sicilia a suo tempo dall’ex assessore regionale alla Pubblica Istruzione Lagalla, oggi sindaco del capoluogo siciliano, si è potuta realizzare sul territorio a seguito dell’impegno fattivo di Confasi, sindacato sempre attento ai problemi della salute nel mondo della scuola.

La sig.ra C.D., di anni 47, di Porto Empedocle, titolare dell’omonima ditta operante nel settore della produzione di energia da fonti rinnovabili, nel 2017 risultava destinataria di una informativa interdittiva antimafia resa dalla Prefettura di Agrigento.
In particolare, l’amministrazione prefettizia riteneva sussistente un rischio di condizionamento mafioso nei confronti della titolare della ditta sulla scorta dei precedenti giudiziari dell’ex marito.
A seguito del provvedimento interdittivo il GSE disponeva la risoluzione di diritto delle convenzioni in Conto Energia in essere con la ditta.
 Pertanto la ditta insorgeva avverso i suddetti provvedimenti innanzi al Tar Palermo, con il patrocinio degli Avv.ti Girolamo Rubino e Calogero Marino.
Nello specifico gli Avv.ti Rubino e Marino, a mezzo del suddetto ricorso, evidenziavano l’illegittimità del provvedimento interdittivo in quanto esclusivamente basato sui risalenti precedenti penali rilevati a carico del marito della ricorrente, soggetto dal quale peraltro la ricorrente medesima risultava essere, all’epoca della proposizione del ricorso, legalmente separata e che, in ogni caso, era privo di qualsivoglia ruolo gestorio e/o partecipazione a qualunque titolo nella ditta ricorrente, essendo operario presso un’altra azienda operante in un settore del tutto diverso.
Ebbene il TAR Palermo, accogliendo le censure degli Avv.ti Rubino e Marino, ha annullato l’informativa interdittiva resa a carico della titolare della ditta , rilevando l’assenza nel caso di specie di ogni elemento da cui potere desumere l’esistenza di un possibile condizionamento mafioso negli affari della ditta ricorrente.
Inoltre il Tar Palermo ha anche disposto l’annullamento del conseguente provvedimento del GSE recante la risoluzione delle convenzioni in Conto Energia in essere con la ditta, unicamente fondato sulla detta interdittiva.
Pertanto, per effetto della superiore sentenza, la ditta empedoclina potrà nuovamente intrattenere rapporti contrattuali ed economici con la pubblica amministrazione ed il GSE dovrà immediatamente ripristinare le convenzioni precedentemente stipulate con la ditta.

Disabili torturati e i video pubblicati sui social, uno dei quali, con tanto di faccina sorridente e la didascalia: “Imballaggio Bartolini, consegniamo pacchi in tutta Italia”. I giudici della Corte di Appello di Palermo, hanno ridotto le condanne ai quattro imputati di Licata. Inflitti 7 anni e 6 mesi di reclusione ad Antonio Casaccio, 28 anni (9 anni in primo grado); 5 anni e 10 mesi a Gianluca Sortino, 25 anni (7 anni); 6 anni e 6 mesi a Jason Lauria, 27 anni (8 anni) e 4 anni ad Angelo Marco Sortino, 38 anni (7 anni).

Il sostituto procuratore generale di Palermo, Carlo Lenzi, aveva chiesto la conferma della condanna. Si è trattato del primo caso, in Sicilia, di condanna per il reato di tortura. Le pene sarebbero state superiori di un terzo se i difensori (gli avvocati Giovanni Castronovo, Giuseppe Glicerio, Dario Crocifisso Granvillano, Santo Lucia e Giuseppe Vinciguerra) in primo grado non avessero chiesto il giudizio abbreviato.

Tre i disabili che secondo l’accusa sarebbero stati sequestrati, umiliati, picchiati a calci, pugni e bastonate, e in alcuni casi torturati, nelle proprie abitazioni o per strada, e il tutto ripreso con dei telefoni cellulari, e i video diffusi in rete, sui social, anche con titoli di derisione. Le vittime hanno confermato le accuse in occasione dell’incidente probatorio.

La Procura di Agrigento ha chiesto il rinvio a giudizio di un quarantunenne di Favara A.L., accusato delle ipotesi di reato di violenza sessuale aggravata e lesioni aggravate. La vicenda risale al 16 dicembre del 2021. L’indagato avrebbe convinto la figlia della compagna e una sua amica sedicenne ad andare con lui in auto per andare a cenare in un ristorante del Villaggio Mosè. Durante il percorso, in contrada “Crocca”, con una scusa avrebbe fatto scendere la figliastra, e rimasto solo con l’amica della ragazza l’avrebbe baciata, toccandole la coscia.

Giunti al ristorante l’ha poi condotta in uno sgabuzzino, e dopo averla baciata sulla bocca e sul collo, le avrebbe palpeggiato il seno, infilandole una mano nelle parti intime, non riuscendo a consumare la violenza, per l’intervento di un cameriere. Il pubblico ministero Elenia Manno, titolare del fascicolo, contesta all’indagato anche di avere picchiato la compagna e la figlia della donna arrivate poco dopo. L’udienza preliminare è stata fissata per il 3 maggio davanti al Gup del Tribunale di Agrigento Micaela Raimondo. Il favarese è difeso dall’avvocato Salvatore Cusumano.

Maxi trasferimenti in corso dal Centro d’accoglienza di Lampedusa. Al mattino di oggi è approdata a Reggio Calabria la nave Diciotti con a bordo 589 migranti – tra cui molti nuclei familiari con bambini e donne – imbarcati ieri a Lampedusa. I migranti sono stati trasferiti in autobus secondo il piano del ministero dell’Interno. Ieri sono stati trasferiti da Lampedusa altri 230 migranti con la nave di linea verso Porto Empedocle. Altre 80 persone sono partite alla volta di Pozzallo a bordo di una motovedetta della Guardia di Finanza. A causa del mare mosso è stato rimandato il trasferimento di altri 400 migranti.

I poliziotti della Squadra mobile di Siracusa, in collaborazione con le unità cinofile antidroga e antiesplosivo di Catania, hanno arrestato un 45enne per detenzione illegale e alterazione di armi. Nel corso di una perquisizione domiciliare, l’uomo è stato sorpreso in possesso di oggetti qualificabili come armi da sparo artigianali, già realizzate o in corso di realizzazione, e di materiale per l’assemblaggio di manufatti (fra cui un trapano, delle punte per perforare i metalli, pezzi di leghe metalliche, tondini di metallo utilizzati come calibro) e il munizionamento, un grilletto con canna segata, ogive in piombo, bossoli, cartucce a salve, polvere da sparo. Trovata anche una pistola revolver calibro 380, originariamente a salve, modificata con sostituzione della canna originale in modo da consentire lo sparo di cartucce calibro 9. Ed è un manufatto qualificabile come arma clandestina.

Nella giornata di ieri 14 marzo, i dipendenti precari e i lavoratori ASU del Comune di Porto Empedocle, si sono riuniti in assemblea, alla presenza dei rappresentanti provinciali di CGIL FP, CISLFP e CSA,.

All’assemblea ha partecipato, in rappresentanza dell’Amministrazione Comunale, la Segretaria Generale dott.ssa Vella.

I lavoratori hanno discusso dell’annoso problema della trasformazione dei contratti da tempo determinato a tempo indeterminato e della stabilizzazione definitiva dei lavoratori ASU.

In seguito alla lunga ed animata discussione i lavoratori  presenti, hanno deciso di attivare un percorso di protesta che inizierà con la dichiarazione dello stato di agitazione e con la programmazione di un sit-in, da convocarsi nei prossimi giorni, per chiedere il rispetto degli impegni assunti dal Sindaco e per richiamare l’attenzione sulle problematiche evidenziate e sensibilizzare il Governo Regionale e la deputazione regionale e nazionale, in modo da poter avere una soluzione definitiva per i lavoratori precari, e rendere più efficace ed efficiente la fruizione dei servizi pubblici da parte  della collettività Empedoclina.

Ad Agrigento il 6 dicembre del 2016 a padre e figlio in automobile due vigilesse della Polizia Municipale impedirono il transito nella zona dello stadio Esseneto durante lo svolgimento di una partita dell’Akragas. Padre e figlio, Michele e Giuseppe Schilaci, 61 e 33 anni, le avrebbero insultate, aggredite, e colpito a calci l’automobile di servizio. Adesso in Corte d’Appello la condanna a loro carico è stata ridotta dagli 8 mesi inflitti in primo grado a 6 mesi. Accogliendo le istanze dei difensori, gli avvocati Fabio Inglima Modica e Daniele Re, i giudici non hanno riconosciuto l’imputazione di oltraggio a pubblico ufficiale, confermando invece la violenza a pubblico ufficiale.