Mi sono domandata dove fosse finito l’Ozpetek di “Le fate ignoranti“, di “Saturno Contro”, di “Un giorno perfetto” o di “Rosso Istanbul“. Mi sono chiesta dove fosse finito quel filo conduttore che ha caratterizzato negli anni il regista turco, ossia quella capacità di raccontare momenti di umana crisi, in un contesto intimo ma allo stesso tempo schietto, scevro di architetture stilistiche, senza urtare mai la suscettibilità di chi vive i suoi film.
A Napoli Velata manca più di qualcosa; manca intanto una buona sceneggiatura. Quella che c’è è debole, alcuni dialoghi sono miseri e poco realistici. Eppure come sempre Ferzan Ozpetek vince sia al botteghino che con la critica, considerato che da bravo regista, anche con poco ha saputo fare quel tanto che basta per poter essere ricordato. Si è servito di un ottimo cast, e di una città che pulsa, che affascina, che trasuda magia, storie, modalità di vita e veracità.
Ha raccolto tutto il regista e lo ha regalato attraverso squarci di città, le opere d’arte, i palazzi storici, i sotterranei; La Napoli di ieri, quella di sempre, fatta di superstizione, di numeri che hanno un significato, di opere semiserie, di vicoli, di opere d’arte e poi di sotterfugi, di segreti, di invidie e di silenzi velati. E poi la Napoli più nuova, quella metropolitana dove transita la vita, quella che passa e che diventa piccola fino a scomparire.
E’ un film che racchiude in se erotismo, e questo Ozpetek lo sa raccontare bene, considerato che non è certo la prima volta che se ne serve nei suoi racconti cinematografici. Lo fa con una Giovanna Mezzogiorno e un Alessandro Borghi che riempiono buona parte del film con scene di sesso molto credibili, aiutati anche dalla scelta del regista che inquadra dettagli, proponendo spesso i primi piani, preferendo una fotografia nitida, con un processo interpretativo coerente e senza effetti speciali.
Bene la Mezzogiorno nella parte iniziale, noiosa nel resto del film. Borghi va bene fin quando fa la parte del protagonista, ma quando veste i panni di un fantomatico gemello, perde verve e carisma e diventa anch’egli noioso.
Il film a mio avviso nasceva con l’aspirazione di essere un thriller, ma non ci riesce appieno, e non ci riesce perché la storia è misera. I thriller si basano su intrecci che qui mancano clamorosamente. E’ la storia di Adriana, una donna sola, che è cresciuta con i suoi zii, che nella vita fa il medico legale, che da bambina ha visto sua madre suicidarsi dopo aver ammazzato suo padre, e che sembra vivere una realtà normale, fin quando incontra un uomo, passa con lui una notte di sesso e grande passione, senza rivederlo mai più, perché lo stesso viene ucciso. Sarà lei stessa a identificarne il corpo durante l’autopsia. Il regista prova a raccontare le angosce sopite della protagonista che prendono piede quando la stessa, immagina di incontrare un ipotetico gemello dell’uomo con il quale ha consumato una indimenticabile notte di sesso e intorno a questa nuova storia, ruota il resto del film, che racconta di intrallazzi, di tradimenti, di interessi da difendere a qualunque costo, di vite tenute segrete troppo a lungo che finiscono per diventare la porta per capire, anche se troppo tardi, dove stia la verità.
Qualcuno lo ha definito un film filosofico, ma io non credo. E’solo un film che fa il punto su come si faccia spesso finta che vada tutto bene, fin quando la vita non ti presenta il conto e quello delude, spesso, perché troppo caro rispetto a quello che si è avuto. Ecco, dunque, cadere il velo dagli occhi che finalmente hanno voluto vedere. Ma il velo resta, su quelle cose che è bene restino così come sono, segrete o non del tutto comprensibili, ma esclusivamente perché appartengono ad un popolo e non un singolo, perché rappresentano emozioni collettive e non isolate. E poi racconta di quella “napoletanità” che è così verace che non ha bisogno certo di interpretazione, o di chiavi per convincere.
Il cast ospita oltre a Borghi e alla Mezzogiorno anche Anna Bonaiuto e Lina Sastri, entrambe brave anche nei loro ruoli marginali; e poi ancora Luisa Ranieri e la Isabella Ferrari che Ozpetek sceglie ancora, evidentemente perché le appartiene una capacità di interpretare le intenzioni, più che le battute. Non si fa fatica a notare la bravura spiccata di Peppe Barra, che nel film fa Pasquale, il promiscuo teatrale, colui che tiene insieme tutti gli altri personaggi, che sa tutto di tutti, che sa mediare, che sa raccontare storie vere ed inventate, che poi paga con la vita l’essere stato dalla parte giusta rispetto alle vicende che brulicano di interessi.
Napoli è dunque velata di misteri e svelata nella sua vena sanguigna, e nel binomio vedere-non vedere, si snoda una storia che un po’ ti fa credere di essere capitato nel posto giusto e un po’ ti fa rimpiangere le storie del passato, come quando scegli di fare le scale a piedi perché l’ascensore è rotto…tocca arrivare in cima per capire se è valsa la pena.
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Simona Stammelluti